28 gennaio 1996 Tre ergastoli per via D’Amelio

 

Prima sentenza sulle stragi. Tensione in aula, un condannato urla: mi rubate la vita Prima sentenza sulle stragi. Tensione in aula, un condannato urla: mi rubate la vita Tre ergastoli per via D’Amelio.  Scarantino 18 anni: ma resta libero parola «ergastolo» rimbomba nella piccola aula gremita oltremisura.
I giudici popolari stanno in piedi, rigidi dentro la fascia tricolore. Il presidente Di Natale legge, il pubblico insegue pensieri contrastanti. I tre imputati guardano smarriti cercando di afferrare il senso delle parole scritte nella sentenza. La prima sezione della corte d’assise, ad un certo punto, si popola di fantasmi. Sfilano i volti di Paolo Borsellino e dei suoi «ragazzi», cinque giovani poliziotti strappati agli affetti più cari: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cusina, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli, annientati col giudice alle 16,58 di quella tragica domenica del 19 luglio 1992. Riemergono nei pensieri di quanti tra i familiari – sono presenti in aula. Il presidente Di Natale dice: ergastolo per Giuseppe Orofino, che ospitò nella sua officina la «126 bomba»; ergastolo per Salvatore Profeta, boss della Guadagna e organizzatore della strage; ergastolo per Pietro Scotto, operaio del settore conunicazioni, che si preoccupò di mettere a punto una centrale di intercettazione telefonica per spiare i movimenti di Paolo Borsellino. Alla severità della Corte non sfugge il pentito Vincenzo Scarantino, cognato di Profeta, «riscontro» e prova – secondo la magistratura della giustezza delle indagini: 18 anni di carcere, uno in più di quanti ne avevano chiesti i pubblici ministeri Carmelo Petralia e Annamaria Palma. Non rimarrà – tuttavia – detenuto, visto che i giudici hanno accolto la richiesta di scarcerazione avanzata dal difensore. Scarantino diventa collaboratore in attesa di giudizio definitivo. Il pubblico resta smarrito, le donne si guardano in faccia, gli uomini sono di pietra. Dura un attimo, poi è Orofino, il meccanico, che si abbandona. Prende la testa tra le mani, la spiaccica più volte contro il vetro blindato della gabbia e grida in direzione della corte: «La vita m’arrubasti». Continua a picchiare sul vetro spesso tre centimetri, ripetendo la sua angoscia di uomo «derubato della vita». Disperazione di fiancheggiatore «costretto» a collaborare con la mafia e a pagare, dunque, un prezzo ritenuto troppo alto? Oppure protesta di imputato convinto di essere rimasto vittima di un errore giudiziario? Difficile leggere in quella mente sconvolta dall’idea di esser destinato al carcere a vita. Né potrà bastare, al meccanico Orofino, la scene di solidarietà disperata dei parenti che gridano: «Avete creduto ad un pentito fasullo, siete degli assassini». Fanno eco le proteste misurate degli altri due imputati che lasciano l’aula: «Noi non c’entriamo niente, siamo solo comparse». Vanno via ammanettati/ mentre i carabinieri scavalcano le transenne per riportare ordine. Il timore è che possano venire a contatto i familiari degli imputati con le parti civili. E non è remota, questa possibilità. Il dolore per la perdita dei figli, dei mariti, dei fratelli, non si rimargina in fretta. Dall’altra parte, nei parenti dei condannati, sopraggiunge l’angoscia per il futuro, l’incertezza per i figli rimasti come orfani. Sarà per questo che persino Agnese Borsellino, informata dal legale, Francesco Crescimanno, non se la sente di esprimere «soddisfazione» per la sentenza e preferisce parlare di «pietà» per uomini che non hanno compreso appieno l’alto valore della vita umana. Provvidenza Li Muli, madre di Vincenzo, piange e ricorda il suo ragazzo che «risparmiava la lira per prepararsi al matrimonio», mentre altri «mangiavano coi soldi sporchi della mafia». «Allora non piangevano?», si chiede senza mai fare espliciti riferimenti. Ma è difficile rimanere freddi e lucidi. L’ultimo grido viene ancora dalla sorella di Orofino, mentre il padre dell’agente Catalano parla coi giornalisti. ((Anche i morti – dice rabbiosa non avranno pace. Non potranno riposare su una ingiustizia». Il piazzale del Tribunale si svuota lentamente, tra gli ultimi l’avv. Crescimanno che parla al telefono coi Borsellino. «Di fronte agli ergastoli – commenta – è sempre difficile trovare le parole giuste. Anche se si è compiuto un atto di giustizia che, in questa circostanza, è soltanto il primo. Altre responsabilità dovranno essere ricercate». Il riferimento è per uno stralcio dell’inchiesta che riguarda «complicità istituzionali» e che conta già un elenco di 40 avvisi di garanzia. [f. 1.1.] A destra: la disperazione di Giuseppe Orofino, che ospitò nella sua officina la « 126» carica di tritolo, alla notizia della condanna all’ergastolo. Sotto, da sinistra: Giulio Andreotti, Salvo Lima e un’immagine della strage di via d’Amelio.  LA STAMPA
 

 

27 gennaio 1996 SENTENZA “Borsellino Uno Iniziato il 4 ottobre 1994, dopo 65 ore di camera di consiglio, la Corte di Assise di Caltanissetta, sulla scorta delle false confessioni di VINCENZO SCARANTINO condanna:

  • Giuseppe Orofino alla pena dell’ergastolo per essersi procurato le disponibilità delle targhe e dei documenti di circolazione e assicurativi falsi che avevano permesso alla circolazione Fiat 126 di circolare e di essere parcheggiata in via D’Amelio;
  • Vincenzo Scarantino alla pena di 18 anni di reclusione e 4,5 milioni di multa per aver rubato, riempito di esplosivo e collocato in Via d’Amelio la Fiat 126, insieme a Salvatore Profeta, condannato all’ergastolo.
  • Pietro Scotto alla pena dell’ergastolo per aver manomesso l’impianto telefonico del palazzo di via d’Amelio per sapere, grazie alle telefonate alla madre di Paolo Borsellino, gli spostamenti del magistrato.

 

 

Alla lettura della sentenza, GIUSEPPEOROFINO sbatte violentemente e ripetutamente la testa contro le sbarre della prigione urlando “La vita m’arrubasti!” e venne fermato sanguinante dai carabinieri. Nell’impassibilità di Scotto e Profeta, le familiari dei condannati scoppiano in grida e pianti. L’aula viene sgomberata e gli avvocati di parte civile scortati all’uscita. Sarà scarcerato molti anni dopo perché estraneo alla strage e la sua famiglia indennizzata per l’ingiusta detenzione SEGUE

27 gennaio 1996 Dalla SENTENZA PRIMO GRADO “Borsellino Bis” ANALISI DEGLI ACCERTAMENTI MEDICO LEGALI, DEI RILIEVI TECNICI ESEGUITI E DEGLI SVILUPPI INVESTIGATIVI  SEGUE

27 gennaio 1996 PAOLO BORSELLINO: Consuetudini di vita e misure di protezione – dalla Sentenza “BorsellinoUno” SEGUE

27 gennaio 1996 Gli ultimi spostamenti del dottor Borsellino SEGUE

27 gennaio 1996 La collaborazione di ANDRIOTTA e SCARANTINO SEGUE 

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