21.4.1996 «lo moglie e poi vedova di un uomo nato in trincea»

 

GLI «ANGELI» ANTIBOSS «lo, moglie e poi vedova di un uomo nato in trincea» passati appena quattro anni, ma sembra un secolo fa». Il suo nome è Tina Martinez ed è una giovane donna rimasta troppo presto sola. Sola – da quel tragico maggio del 1992 – con due bambini da tirar su in una città che non è la sua, m un ambiente certamente non facile. Special- mente se sei la vedova di Antonio Montinaro, uno dei «ragazzi» saltati in aria con Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. Antonio non era «uno» della scorta, Antonio era il capo di quel gruppo di agenti che vigilava sulla vita del giudice. Antonio era un volontario; aveva chiesto lui di stare accanto a Falcone. Nessuno glielo aveva imposto e – quando il magistrato si trasferì a Roma – l’agente cominciò immediatamente a «smuovere le acque» perché trasferissero pine lui. Oggi Tina parla del marito e lo fa con un sentimento che è amore e rabbia insieme, con un pizzico di fatalismo meridionale. Ma senza far trasparire il rimpianto. «Lo so io – dice – quello che sento dentro. Ma quando parlo di Antonio intendo rispettare fino in fondo le sue scelte. Lui è morto sapendo che poteva accadere da un momento all’altro. Sapendo che la persona che tutelava era più che a rischio. Però ci credeva in quello che faceva, ed è per questo che non ho mai giudicato le sue scelte. Ho visto e sentito tanta gente devastata dal rimpianto. Io no, non voglio. Forse che troverei pace se vivessi col chiodo fisso di inseguire il “perché” della morte di Antonio? E’ morto per le sue idee, è morto perché difendeva una persona giusta. Questo dico a Gaetano e Giovanni, i miei bambini». Ma lei non ha mai cercato di convincere Antonio a scegliersi un lavoro meno pericoloso? «Io non ce l’ho mai avuta l’angoscia per quello che faceva mio marito. Mi è venuta dopo, quando mi sono improvvisamente ritrovata sola. Allora ho ripensato alla mia vita, alla vita con Antonio, ai momenti belli e a quelli meno sereni. Ma non avrei voluto, in nessun modo, condizionare le sue scelte. Per Falcone, Antonio faceva tutto. Con quale diritto avrei potuto pretendere di trasformare l’uomo che amavo ed amavo proprio perché fatto in quel modo?». Deve essere difficile la vita con uno che esce di casa e non sa se torna… «Non ci pensavo a questo. Vedevo ciò che accadeva a Palermo come spettatrice di un film. Leggevo i giornali e pensavo: “A noi questo non potrà mai accadere”. Antonio era splendido. Riusciva a lasciare fuori di casa tutte le ansie e i timori». Vuole dire che non ha mai avuto un momento di angoscia, per un ritardo, per qualche stranezza? «I ritardi di mio marito erano la norma. Se stai con Falcone il minimo che ti può capitare è di non avere più orari. Spesso lo sentivo venire a letto tardissimo ed alzarsi all’alba. Dormivamo insieme eppure non ci eravamo visti. Certo, mi mancava il fatto di non poter organizzare la nostra vita privata, mi mancava – ma solo qualche volta – la gioia di poter contare su ima giornata tutta per noi… un cinema, una gita… Antonio sapeva come tranquillizzarmi. Mi chiamava cento volte al telefono e sempre scherzava, rideva, lanciava battute. Quando rincasava evitava di farsi vedere armato e cominciava a giocare coi bambini». Parlava dei pericoli, delle sue preoccupazioni? «Mai. Credo che la garanzia migliore per lui, ma anche per tutti gli altri del gruppo, fosse quella di vivere con la squadra praticamente tutto il giorno. Mi chiamava per dirmi: “Mangio coi ragazzi ed aspettiamo che arrivi lui”. Si fidavano l’uno dell’altro perché sapevano che la loro vita non era nelle mani di mio solo. Credo non abbia mai diffidato di un suo collega». Forse avrebbe dovuto, stando a quanto accade… «Mi sale la rabbia, ogni volta che leggo di poliziotti accusati di infedeltà. Immediatamente penso al sacrificio di tutte le vittime. Ma poi mi fermo a riflettere e dico che bisogna essere molto cauti nel giudicare le persone. Non parlo di nessuno in particolare, perché questa persona accusata di recente neppure la conosco, ho visto la foto ma non mi dice nulla. Però non me la sento di condannare frettolosamente. Chissà, forse non accetto l’idea che tra i colleghi di Antonio possa esserci qualche traditore». Francesco La Licata «Sono gli spostamenti il momento più delicato per chi fa questo mestiere»