Perché alle mafie interessa il calcio? La spiegazione del Procuratore Nazionale Antimafia Giovanni Melillo

Quello che accade attorno e dentro gli stadi è sotto la lente dei magistrati antimafia. Al punto che il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo, ha parlato nel 2023 in Commissione antimafia di un monitoraggio ad hoc sulla criminalità che si sviluppa attorno al mondo del calcio, cosa che fa pensare a una complessità e a un allarme che vanno oltre la contingenza della cronaca.

Dottor Melillo, perché questa esigenza?

«Le informazioni che giungono dai servizi centrali di polizia giudiziaria e il confronto con le esperienze investigative delle procure distrettuali restituiscono un quadro molto allarmante, che impone di approfondire le analisi e di affinare gli strumenti di intervento. Sia sul versante del contrasto della criminalità organizzata, sia su quello della ricostruzione di fattori di rischio meno percepiti, ma assai grandi e concreti, come quello della diffusione della propaganda razzista e antisemita di gruppi neonazisti e suprematisti che delle curve fanno strumento di azione politica e di reclutamento e addestramento di energie violente».

Come e perché la criminalità anche organizzata interagisce con il pallone?

«Come in tutti i fenomeni complessi, occorre considerare molti aspetti, due a mio avviso i principali. Da un lato, il controllo delle attività, lecite e illecite, che si svolgono negli stadi e attorno alla gestione delle società calcistiche: ci sono stadi che ogni settimana si trasformano in piazze di spaccio e diffusa è la presenza di interessi mafiosi nelle imprese che producono i servizi che ruotano attorno agli eventi sportivi. Dall’altro lato, le organizzazioni mafiose sanno che l’acquisizione del controllo di società, anche del calcio cosiddetto minore, produce consenso sociale e moltiplica le opportunità di espansione affaristica.
Un aspetto assai rilevante, che si ritrova non solo nelle regioni meridionali, ma anche nell’Italia settentrionale, accompagnando le logiche di mimetizzazione delle imprese mafiose. Soprattutto, per i dati di cui disponiamo, di quelle legate alla ‘ndrangheta. Su entrambi i versanti, salvo lodevoli eccezioni, il mondo del calcio appare largamente impreparato a fronteggiare quei rischi e i modelli organizzativi delle società sono lontani dall’esprimere piena consapevolezza del pericolo di trascinamento dell’impresa calcistica nei gorghi del condizionamento mafioso».
Spesso le società subiscono il ricatto delle curve.

Come si scardina quel legame perverso?

«Quello che da molto tempo accade nelle curve è sotto gli occhi di tutti. Ma, di regola, nel mondo del calcio si preferisce voltare lo sguardo e sottovalutare le logiche criminali che vi dettano legge: un atteggiamento nella migliore delle ipotesi assai miope».

Ha detto che è riduttivo affrontare il problema delle curve come ordine pubblico, in che senso?

«In passato largamente dominava l’idea che gli stadi fossero un luogo nel quale lo Stato potesse tollerare dosi variabili di violenza e illegalità, arginando i rischi con approcci votati essenzialmente alla mediazione e alla negoziazione coi gruppi violenti. Talvolta, questa visione ancora riaffiora e condiziona l’efficace applicazione degli strumenti che consentono, per esempio, di tener fuori dagli stadi non soltanto coloro che vi commettono reati, ma anche, e solo perché già condannati, mafiosi e trafficanti di stupefacenti.
Uno strumento importante, di cui sarebbe necessario assicurare metodica e omogenea applicazione. Ma, soprattutto, oggi è necessario prendere atto realisticamente della gravità del fenomeno, per applicare tutti gli strumenti investigativi tipici del contrasto della criminalità organizzata e del terrorismo».

Ha evocato rischi di collegamenti con fenomeni eversivi: di che cosa stiamo parlando?

«Una complessa rete di gruppi apertamente neonazisti e suprematisti utilizza gli stadi come luogo di propaganda, reclutamento e addestramento alla violenza. Una rete diffusa in larga parte d’Europa, come mille episodi dimostrano, che quotidianamente sviluppa connessioni sempre più forti e condivide strategie politiche imperniate sulla diffusione delle parole d’ordine tipiche della propaganda antisemita e razzista e delle peggiori campagne d’odio. Una rete che sa dimostrare la propria carica di violenza e pericolosità anche fuori degli stadi, fornendo autentiche “truppe d’assalto”. Contrastare questo fenomeno deve diventare priorità condivisa».

Lo sport attira sempre più scommettitori legali e illegali, tema “interessante per le mafie”. Più difficile il contrasto ora che passano per piattaforme online, internazionali, magari nascoste nel dark web?

«In termini generali, imponendosi di non fare riferimento a specifiche vicende, il gioco a distanza è il settore dell’azzardo che più interessa le mafie, a livello globale, non solo italiano.
Le ragioni sono semplici: un numero incalcolabile di consumatori, enormi profitti, rischi limitati e spesso risibili, facilità di sfruttamento delle asimmetrie tra le discipline dei singoli Stati, in un settore che ha diretta e immediata contiguità con i circuiti finanziari clandestini che reggono la rete del riciclaggio e dei reinvestimenti speculativi dei profitti della criminalità organizzata. Una rete che ha nelle tecnologie digitali il cardine organizzativo fondamentale, ma che sa anche di poter in ogni momento ricorrere alle tradizionali armi della violenza. Elisa Chiari FAMIGLIA CRISTIANA 5.9.2024

 

MAFIA e SPORT