ARCHIVIO 🟧 INCHIESTE su politici e potenti tenute nei CASSETTI – Falcone audito dal CSM dopo le accuse di Leoluca Orlando

SEGUE

 

 

26 luglio 1988 – Lettera di  Falcone e pool

 

ARCHIVIO 🟧 La Rete, e non solo, contro Falcone…

 

 

 

 


9.5.2022 LEOLUCA ORLANDO, direi stesse cose a Falcone ma tono diverso

 

Ribadirei oggi, come allora, quelle affermazioni sulle ‘prove nei cassetti’ riguardo ai rapporti tra mafia e politica, la mia, come era una denuncia politica non giudiziaria”.

Lo ha detto ieri sera il sindaco di Palermo Leoluca Orlando intervenuto alla proiezione del docu-film “Falcone e Borsellino trent’anni dopo”, prodotto dall’ANSA, al teatro ‘L’Idea’ di Sambuca di Sicilia.
    Nel 1990, durante una puntata di ‘Samarcanda’, Orlando attaccò Falcone: “Ha una serie di documenti sui delitti eccellenti ma li tiene chiusi nei cassetti”. Un’accusa che provocò polemiche e divisioni sul fronte antimafia e che. come ha ammesso lo stesso Orlando, causò anche grande dolore in me come in lui. Ieri a Sambuca il sindaco di Palermo ha ripercorso quegli anni e ha tracciato un bilancio della lotta alla mafia a trent’anni dalle stragi in un dialogo con i giornalisti dell’ANSA che ha promosso insieme all’amministrazione comunale un evento per ricordare i trent’anni dalla stragi del ’92. “Palermo – ha sottolineato Orlando – oggi non è piĂą la capitale della mafia ma una cittĂ  dei diritti, a dispetto degli anni in cui la mafia non stava a guardare ma governava attraverso Vito Ciancimino e Salvo Lima”. Nel corso della serata si è parlato anche del libro “L’ereditĂ  di un giudice” (Mondadori editore) scritto da Maria Falcone con Lara Sirignano che sarĂ  presentato al Salone del libro di Torino il prossimo 18 maggio.
    In teatro, dopo la proiezione del docu-film e il dibattito con Orlando, è andato in scena lo spettacolo ‘Nel tempo che ci resta. Elegia per Giovanni Falcone e Paolo Borsellino’, con la regia di Cesar Brie. Sulla scena quattro attori interpretano Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e Agnese Piraino Leto e poi lo stesso Brie nel ruolo di Tommaso Buscetta.
    L’iniziativa in teatro è stata anticipata dalla consegna di alcune gemme dell’albero Falcone di Palermo da parte dei carabinieri del nucleo Forestale ai giovani studenti di Sambuca, durante una cerimonia nella villa comunale antistante il teatro ‘L’Idea’.    ANSA 9.5.2022

 

ARCHIVIO 🟧 Quei cazzotti a Falcone

 

12.3.1992 NO A FALCONE SUPERPROCURATORE

 

25.5.2022 Falcone fu colpito da magistrati

Pizzorusso, Pci, del Csm, scrisse che era inaffidabile

 

L’Italia dagli ideali scarsi, l’Italia del populismo cialtrone, l’Italia che ha mollato gli ormeggi della sua Storia, quest’Italia si è prodotta nella 29ma ripetizione di un rito (quello del ricordo di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo, di Rocco Dicillo, di Antonio Montinaro e di Vito Schifani) il cui messaggio, ben nascosto tra le parole altisonanti, consiste nel dimenticare ciò che il capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel suo stile felpato e cauto, non ha mancato di ricordare: che nemici di Falcone si annidavano negli stessi uffici giudiziari dai quali doveva invece diffondersi il massimo di solidarietĂ  per la sua lotta contro la mafia, indebolita dalla defezione di tanti.
Molti di loro, anche se ormai usciti dalle istituzioni causa anzianitĂ , dopo averlo ostacolato sino a impedire che lui, capo di fatto dell’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, lo diventasse di diritto, mediante la nomina di un altro magistrato, Antonino Meli, il cui primo atto significativo, non appena insediato, fu lo scioglimento del pool antimafia con il formale e sostanziale ridimensionamento di Giovanni Falcone, diventato quindi negli uffici giudiziari di Palermo uno dei tanti, ne rivendicano illegittimamente l’ereditĂ .

Un retaggio riservato, invece, ai molti che avevano lavorato con lui o che ne avevano seguito il percorso, a coloro che credevano nella legalitĂ  e che avevano visto con partecipazione etica il successo del Maxi-processo n. 1, quello conclusosi in Cassazione con la conferma dell’impianto accusatorio definito da Falcone con Borsellino, nel celebre soggiorno dell’Asinara.Sulla questione Il Fatto Quotidiano ritiene di scrivere: «… Sulle stragi, infatti, si è preferito incoraggiare una narrazione ufficiale senza punti interrogativi: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati ammazzati da Cosa nostra – e solo da Cosa nostra – in segno di ritorsione …» un errore concettuale che contiene la cinica assoluzione di coloro che, nelle istituzioni Csm compreso, lottarono strenuamente contro Falcone sino a indicare al suo posto come capo della Procura nazionale antimafia Agostino Cordova. Nomina poi bloccata da Claudio Martelli. Di certo un innominabile per le «tricoteuse» di quel giornale.

Un errore concettuale, visto che la mafia uccide i suoi traditori e, nelle istituzioni, coloro che ne mettono in pericolo i turpi e sanguinosi affari. Falcone e, dopo la sua morte, Borsellino erano i piĂą autorevoli candidati alla direzione della Procura nazionale antimafia ed essi, con il loro ineguagliato bagaglio di conoscenze fattuali e con la loro ineguagliata capacitĂ  di lavoro, costituivano un pericolo immanente e concreto per il futuro di un mondo criminale che giĂ  allora, nel 1992, s’era esteso alle terre vergini del Nord, sviluppando affari che una cittadinanza ignara non era in condizione di percepire.

Avversari nelle istituzioni e non i soliti nomi, ma gente importante in Parlamento aveva depotenziato il disegno di legge di istituzione della Procura, trasformandola da procura vera e propria, secondo l’idea di Falcone, in organo di coordinamento, privo di poteri concreti. Chi aveva timore che il magistrato palermitano esercitasse una funzione reale, concreta, a livello nazionale di contrasto alla mafia. Chi? Chi si nasconde dietro l’espressione (de Il Fatto) «… incoraggiare una narrazione ufficiale senza punti interrogativi …»?

Non fu il Consiglio Superiore della Magistratura a maggioranza (compresi due su tre aderenti a Magistratura Democratica) a preferire Antonino Meli a Falcone? Non furono Leoluca Orlando, Carmine Mancuso e Alfredo Galasso, rappresentanti dell’allora “Rete”, a denunciarlo al Csm, accusandolo di tener chiusi nei suoi cassetti le veritĂ  sui delitti eccellenti a Palermo?E qui si può entrare nel merito della colossale contraddizione della tesi benaltrista de Il Fatto: se Falcone fosse stato colpevole delle mostruose accuse di Leoluca Orlando e soci, sarebbe stato nella realtĂ  complice degli autori dei delitti eccellenti. Non è vero?

Non fu Alfredo Galasso ad accusarlo di essere “fuggito” da Palermo e “disertare” la lotta alla mafia andando a dirigere l’ufficio Affari Penali del ministero di Giustizia a Roma? Un posto, evidentemente, di tutto riposo nella mente di questo Alfredo Galasso.Non furono i suoi colleghi magistrati a sostenere in un pubblico documento che la Direzione nazionale antimafia, ideata e proposta da Falcone (e che Falcone avrebbe dovuto guidare, se nel frattempo non fosse stato ucciso) era pericolosa?

Non fu Alessandro Pizzorusso (membro “laico” del Csm designato dall’allora Pci) a scrivere su “l’Unità” che Falcone era inaffidabile in quanto aveva accettato l’incarico di responsabile degli Affari Penali che gli aveva offerto l’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli?

Non fu il CSM a preferire Agostino Cordova a Falcone per la Direzione Nazionale Antimafia (e solo la caparbietĂ  di Claudio Martelli impedì che Cordova venisse insediato)? E invece non fu Claudio Martelli a bloccare la nomina di Cordova e a operare perchĂ© Falcone diventasse capo della Procura nazionale? Un’ammissione che “Il Fatto” rifiuterĂ  sempre.
Ora, si può riaprire tutto nella storia di questo Paese, anche le pagine peggiori dei vari settori politici. E riaprire il caso Falcone e il caso Borsellino può giovare molto ai veri professionisti dell’Antimafia, erroneamente indicati da Leonardo Sciascia.Ma a mio modo di vedere è immorale inviare ai giovani, soprattutto ai giovani che appaiono gli unici entusiasti dei programmi di lotta alla mafia, un messaggio del genere «sì sì la mafia, ma fu la politica romana a far uccidere Falcone e Borsellino» quando non c’è un elemento di fatto credibile a sostegno di questa tesi politica? Non vi rendete conto che, in questo modo, «si fa un favore» proprio al crimine organizzato? 

Che altro c’è da dire? Solo che le amarezze riservategli dai colleghi e dalla parte politica che lo avrebbe dovuto sostenere ma non lo sostenne per il cieco odio antisocialista che ne animava le giornate, spinsero Giovanni Falcone pochi giorni prima di morire a dichiarare: «Mi hanno delegittimato, stavolta i boss mi ammazzano.» ITALIA OGGI

 

 

Il “disarmo” dell’antimafia: la denuncia pubblica di Borsellino