15.10.2024 Tra Commissione antimafia e Procura nissena è teatro dell’assurdo – AD

 

 

di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari

Capitolo primo. Dallo scorso luglio l’ex magistrato Gioacchino Natoli, già Presidente della Corte d’Appello di Palermo ed ex pm che ha vissuto il periodo storico del pool antimafia al fianco di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, si ritrova ad essere indagato dalla Procura di Caltanissetta con l’accusa di favoreggiamento alla Mafia e calunnia.
In particolare al magistrato viene contestato di aver insabbiato l’indagine che riguardava una vecchia inchiesta sui Buscemi e i Bonura, imprenditori mafiosi vicini a Totò Riina, poi divenuti soci del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini. L’indagine, archiviata nel giugno del 1992, era nata su input della procura di Massa Carrara, che aveva puntato i riflettori sulle infiltrazioni mafiose nelle cave di marmo in Toscana.
Una delle “prove regine”, per la Procura di Caltanissetta, sarebbe il provvedimento con cui, nel giugno del 1992, l’allora sostituto procuratore di Palermo Natoli ordinava la “smagnetizzazione” dei nastri con le registrazioni telefoniche dell’inchiesta. In quell’atto, però, compare anche un’aggiunta a penna che dispone pure la “distruzione dei brogliacci”, cioè gli appunti scritti dagli uomini del Gico della Guardia di Finanza durante l’ascolto delle intercettazioni.
Secondo la Procura nissena l’ex magistrato avrebbe voluto consapevolmente smagnetizzare le bobine per “occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche”.
La notizia di ieri, però, è che quel documento che ordinava la distruzione delle bobine non sarebbe affatto “unico nel suo genere”, ma una vera e propria prassi interna alla Procura di Palermo, negli anni Novanta, che riguardava inchieste che venivano archiviate o andate in sentenza.
I legali di Natoli, gli avvocati Fabrizio Biondo ed Ettore Zanoni, nelle loro indagini difensive, hanno rinvenuto almeno 62 documenti (ordini di smagnetizzazione di intercettazioni realizzate per indagare su vari reati, tra cui mafia e droga, archiviate o andate a sentenza tra il 1992 e il 1998) con la stessa scritta a macchina che “ordina la smagnetizzazione dei nastri” e l’aggiunta a penna per “la distruzione dei brogliacci”.
Dunque si tratterebbe di un modello prestampato, fotocopiato nella sua interezza (aggiunta a penna compresa), a cui venivano aggiunti solamente i numeri dei fascicoli dei procedimenti, la firma del magistrato (non per forza il titolare dell’indagine) che ordinava la smagnetizzazione e la “presa in carico per l’esecuzione” (anche questa a penna) della segreteria dell’Ufficio Intercettazioni.
Un riscontro a quanto detto in più occasioni dallo stesso Natoli.
L’ex componente del pool Antimafia di Palermo in più interviste, e poi in un documento di 28 pagine, intitolato “brevi note di chiarimento“, depositato agli atti dell’Antimafia e inviato via pec pure alla procura di Caltanissetta, aveva spiegato che la smagnetizzazione delle bobine era una “prassi adottata dal Procuratore di Palermo dettata sia dalla necessità di riutilizzare le bobine smagnetizzate per la nota carenza di fondi ministeriali fortemente presente in quel periodo, sia per la mancanza di spazi fisici per la conservazione dei nastri”.
Se i fatti denunciati dalla difesa di Natoli dovessero trovare conferma, l’accusa per il magistrato non avrebbe più motivo di esistere.
Ciò nonostante c’è già chi continua ad insistere perché l’accusa di favoreggiamento della mafia sarebbe collegata alla conduzione dell’intera inchiesta e alla richiesta di archiviazione e non solo all’ordine di eliminazione di fonti di prova.
Ciò che non vogliono ricordare è che fu proprio Natoli a denunciare che le bobine con le intercettazioni dei Buscemi in realtà non erano mai state cancellate e che le stesse si trovavano ancora negli archivi del Palazzo di giustizia di Palermo.
La Procura nissena le ha recuperate e ne ha ordinato il riascolto da cui è emerso che non sarebbero state trascritte notizie di reato autonome come quelle che riguardavano il boss Franco Bonura e un tentativo di aggiustamento del processo che nel gennaio 1992 lo vedeva imputato di due omicidi.
Ma a questo punto si dovrebbe guardare a chi ha compiuto le trascrizioni delle registrazioni. Chi avrebbe dovuto segnalare ai magistrati?
Tra gli indagati a Caltanissetta c’è anche Stefano Screpanti, oggi generale del Nucleo per la repressione delle frodi Ue, all’epoca dei fatti era un giovane capitano della Finanza: secondo gli inquirenti sarebbe stato “coesecutore materiale” delle condotte di Natoli.
Ugualmente indagato è il magistrato Giuseppe Pignatone, negli anni Novanta addetto alle intercettazioni della procura. Secondo l’accusa la grafia dell’aggiunta a penna per l’ordine di distruzione dei brogliacci sarebbe la sua. A lui viene contestato di essere “l’istigatore” dell’insabbiamento dell’inchiesta sui Buscemi, insieme al Procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, deceduto nel 2018.
Ma c’è un altro elemento da considerare. Perché l’esistenza di questi documenti prestampati emergono soltanto ora? Possibile che i funzionari dell’ufficio intercettazioni della Procura di Palermo, sentiti dai magistrati di Caltanissetta, di tutto questo non abbiano parlato?
Non sarebbe meglio concentrarsi su mandanti e concorrenti esterni delle stragi e sulla sparizione dell’agenda rossa?
Già in passato nel nostro speciale “Via d’Amelio: la nostra verità” avevamo posto una serie di “domande non richieste” ai magistrati nisseni, mettendo in evidenza tutte quelle zone d’ombra su cui andrebbe urgentemente fatta luce. Ma allo stato attuale non ci sembra che ci si stia muovendo nella giusta direzione.


Capitolo due. Le mosse della Commissione antimafia

Sulla Procura nissena si avverte sempre di più una forte pressione politica.
Non è un caso che la Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Chiara Colosimo, da tempo sta dedicando una serie di audizioni per scandagliare un’unica pista processuale della strage di via d’Amelio ovvero l’interesse di Paolo Borsellino per l’inchiesta “Mafia-appalti”.
Un’operazione di parcellizzazione ed atomizzazione che rischia enormemente di allontanare dalla verità.
Non è un caso che questa strada che venga spinta con forza dagli ufficiali del Ros Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, imputati e poi assolti in Cassazione “per non aver commesso il fatto” nel processo sulla trattativa Stato-mafia.
Una linea che viene abbracciata con calore dai figli di Borsellino, tramite l’avvocato Fabio Trizzino (anche genero del giudice), e da tutti quei professoroni, intellettuali, benpensanti e libellisti del Potere che da tempo hanno avviato una vera e propria campagna contro tutti quei magistrati che hanno avuto l’ardire di alzare il tiro delle indagini sulle stragi (recentemente tra i più colpiti Nino Di Matteo e Luca Tescaroli), ma anche contro chi in passato si è occupato di certi argomenti come il senatore Cinquestelle Roberto Scarpinato.
Nei giorni scorsi il quotidiano La Verità ha fatto esplodere un vero e proprio caso (che non c’è) su una presunta “combine” con Gioacchino Natoli, prima dell’audizione in Commissione antimafia.
Come? Dando notizia dell’esistenza di intercettazioni (passiva e casuale, a detta degli investigatori), compiute dalla Procura di Caltanissetta, proprio nell’ambito dell’indagine aperta contro lo storico membro del pool antimafia.
Scarpinato ha evidenziato le falsità contenute in quell’articolo (“Come risulta dal resoconto della sua audizione dinanzi alla Commissione, su tale specifica vicenda non ho posto alcuna domanda. Quindi non si è concordato un bel niente”) ed ha specificato che la stessa Procura nissena, quando lo interrogò come persona informata sui fatti, non contestò alcunché.
Le intercettazioni tra Natoli e Scarpinato sono state trasmesse alla Commissione antimafia dalla stessa Procura di Caltanissetta prima della chiusura delle indagini.
Qualcuno potrebbe sostenere che si tratta del consueto scambio informativo che compete le due Istituzioni.
Essendo oggetto di indagini in corso è evidente che l’informazione sulle conversazioni non poteva uscire fuori dalle mura di Palazzo San Macuto, men che meno sottoforma di anticipazioni sul quotidiano La Verità.
L’intento, è evidente, è quello di estromettere Scarpinato dalla Commissione parlamentare antimafia, tanto che il centrodestra unito ha gridato allo scandalo chiedendo le dimissioni dall’organo parlamentare.
C’è di più, perché ora potrebbero essere messe a disposizione di ben 50 parlamentari (con un altissimo rischio di una nuova fuga di notizie).
Oggi, durante l’ufficio di presidenza di Palazzo San Macuto, si è parlato della vicenda che riguarda Scarpinato.
Ci sono due aspetti che vanno subito chiariti. Scarpinato, in quanto senatore, è protetto dall’articolo 68 della Costituzione. Inoltre, nella trasmissione, il nome dell’ex Pg di Palermo doveva essere omissato dalle intercettazioni, essendo una terza persona non indagata nell’inchiesta, in base alla riforma voluta dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio e approvata proprio da questa maggioranza.
Così Scarpinato, codice in mano, aveva chiesto alla Presidente Colosimo di restituire le intercettazioni a Caltanissetta e chiedere alla procura “di volere provvedere ad una nuova trasmissione alla Commissione delle predette intercettazioni solo dopo il deposito degli atti ai sensi dell’art. 415-bis c.p.p. o comunque dopo l’esaurimento da parte del giudice delle indagini preliminari della selezione delle intercettazioni rilevanti per le indagini” e “in subordine agli stessi fini si chiede il prolungamento della segretazione da parte di questa Presidenza ed il conseguente divieto di accesso dei componenti della Commissione agli atti trasmessi, sino al deposito degli atti ai sensi dell’articolo 415 c.p.p. da parte della Procura della Repubblica di Caltanissetta”.
Ma la sua richiesta è stata respinta. E, secondo quanto riferito dalle agenzie di stampa, gli atti saranno invece diffusi ai membri della commissione seppure in regime di segretezza.
Un aspetto che sarà comunque discusso dagli uffici tecnici del Parlamento che dovranno dare un parere. Nel frattempo, però, la stessa Colosimo è andata oltre, proponendo una modifica alla legge che disciplina l’istituzione della commissione Antimafia prevedendo un’apposita disciplina per i casi di incompatibilità dei singoli commissari in relazione a specifiche indagini dell’organo parlamentare.
Tra i possibili effetti  si disporrebbe l’astensione della partecipazione ai lavori dei componenti di San Macuto, quando dovesse emergere un profilo d’incompatibilità. E si prevederebbe anche l’astensione dalla consultazione di documentazione che riguarda gli atti di specifiche inchieste.
Un colpo di mano evidente per estromettere Scarpinato dai lavori della Commissione sulle stragi.
Un vero e proprio teatro dell’assurdo in particolare nel momento in cui viene dimostrato che la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci era una prassi.
Così decade il presupposto logico che porta all’iscrizione nel registro degli indagati di Natoli. E a pioggia perdono di senso anche le intercettazioni. Chi Presiede la Commissione antimafia dovrebbe capire che, forse, sarebbe il caso di interrompere questa follia.
Anche perché, come evidenziato in una nota dei grillini che chiedono un intervento della stessa Colosimo e della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, si sta mettendo a repentaglio lo stesso svolgimento della Giustizia.
“E’ un caso che il quotidiano La Verità abbia dato notizia delle intercettazioni pochi giorni dopo che sono arrivate alla Commissione? – si chiedono nella nota – Quali e quante altre fughe di notizie pilotate alla stampa per motivi politici si stanno preparando? La presidente Colosimo può garantire pubblicamente che nessun esponente politico della Commissione ha avuto accesso a queste carte, che nulla è uscito dal suo ufficio o uscirà in futuro? Questa diffusione colpisce anche il corretto svolgimento della Giustizia, dal momento che sono state diffuse informazioni idonee a compromettere il segreto delle indagini, come l’esistenza di una microspia collocata nello studio di Natoli di cui non si era a conoscenza”.
La deriva istituzionale che si sta generando non è iniziata con questa fuga di notizie. Ma, sin dal principio, dando spazio a teorie strampalate ed approfondimenti investigativi che allontanano dalla verità sulle stragi.Abbiamo sempre detto che l’inchiesta mafia-appalti, seppur di interesse, non è certamente decisiva per spiegare ciò che avvenne nel 1992. Il filo che lega la Calcestruzzi Spa, il gruppo Ferruzzi-Gardini e la mafia può dare una spiegazione, forse, assieme a ciò che stava emergendo nell’inchiesta Mani-Pulite, sul perché Raul Gardini, trent’anni fa, decise di togliersi la vita. E’ noto che avrebbe dovuto essere interrogato da Antonio Di Pietro sulle tangenti ai politici per favorire Enimont, la joint venture tra Montedison ed Eni, ma ciò non basta a segnare un punto di non ritorno con cui spiegare la morte di Borsellino. 

Dietro a questa operazione c’è un disegno: mettere sotto accusa i magistrati della Procura di Palermo che archiviarono alcuni filoni investigativi.
E’ così che si arriva all’indice puntato contro Gioacchino Natoli e, parallelamente, a Roberto Scarpinato.
La vicenda dell’ordine di distruzione delle bobine è stata sviscerata in Commissione antimafia in maniera spropositata.
Ampio spazio fu dato nel settembre del 2023, all’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino e legale dei figli del giudice. Dopo aver legato quell’indagine al dossier Mafia e appalti, considerata dal legale come il movente segreto della strage di via d’Amelio, Trizzino aveva accusato Natoli di aver “inspiegabilmente” chiesto di smagnetizzare le intercettazioni dei fratelli Buscemi.
Ed è in quel momento che lo stesso Natoli chiese di essere sentito in Commissione antimafia. Oggi che quella accusa specifica si dimostra infondata non ha nulla da dire Fabio Trizzino?
Oggi su La Repubblica è intervenuta Lucia Borsellino. Non una parola sulla novità emersa ieri, ma ovviamente non poteva mancare “il rispetto e la fiducia incondizionata” per la Procura di Caltanissetta.
Tutto come da copione, ci viene da dire.
Una condizione necessaria e sufficiente per spendere energie dietro a piste assolutamente marginali, usate come clava da questo Governo che, è evidente, non vuole in alcun modo la verità sulle stragi.