🟥 COMMISSIONE ANTIMAFIA -Strage di Via D’Amelio – VIDEO e TRASCRIZIONE Audizione Michele Santoro

DIRETTA TV 27.11.2024

 

 

 

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere
Seduta n. 68 di Mercoledì 27 novembre 2024
Bozza non corretta
TESTO DEL RESOCONTO STENOGRAFICO

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CHIARA COLOSIMO

  La seduta comincia alle 13.45.

Audizione di Michele Santoro, giornalista, nell’ambito del filone d’inchiesta sulla strage di via D’Amelio.

  PRESIDENTE . L’ordine del giorno reca l’audizione di Michele Santoro, giornalista, nell’ambito del filone di inchiesta delle stragi di via D’Amelio.
  Voglio ricordare che la seduta odierna si svolge nelle forme dell’audizione libera ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione. I lavori potranno proseguire in forma segreta a richiesta dell’audito o dei colleghi. In tal caso non sarà più consentita la partecipazione da remoto e verrà interrotta la trasmissione via streaming sulla web-tv.
  Questa audizione viene a seguito di una accorata richiesta del dottor Santoro, che ringrazio, che in un libro ha già spiegato e ha già scritto molto di quello che ora sentirete.
  Do la parola a Michele Santoro.

  MICHELE SANTORO , giornalista. Gentile presidente, gentili onorevoli e senatori, innanzitutto vi voglio ringraziare per aver deciso di ascoltarmi. Tengo subito a chiarire due cose. Siccome so che il vostro tempo è prezioso, la mia richiesta di audizione non ha niente a che vedere con la polemica sull’opportunità della partecipazione ai lavori di questa Commissione del senatore Scarpinato, perché le mie parole sono rivolte soprattutto a lui, che continua a parlare di recenti depistaggi senza citare il libro da me scritto con Guido Rotolo, di cui è protagonista Maurizio Avola, ma facendovi chiaramente riferimento.
  Come non tutti sanno, ma come emerge da numerose testimonianze, nella prima lista dei condannati a morte di cosa nostra c’era anche il mio nome accanto a quelli di Costanzo e soprattutto di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Questo non mi ha mai concesso alcun privilegio, né scorte, che ho sempre rifiutato, ma avrebbe dovuto quantomeno concedermi la patente della buona fede. In secondo luogo, la ragione vera per cui sono qui è che sono molto preoccupato di ciò che potrebbe accadere a Maurizio Avola che da cinque anni conduce una vita irreprensibile. Non vuole certo cancellare gli orrori da lui commessi, cosa che gli sarebbe impossibile, ma vuole cercare di mostrare ai suoi figli la convenienza del lavoro e dell’onestà. Per noi questa è una cosa normale, per uno come lui è una lotta quotidiana contro i fantasmi del passato.
  È il primo in assoluto che ha raccontato di aver preso parte alla strage di via D’Amelio, ad aver fornito una accurata descrizione della composizione del commando e di come si sono svolte le cose. Afferma di aver confezionato personalmente l’autobomba e che in questa circostanza non erano presenti agenti dei servizi segreti. Soprattutto questa affermazione ha scatenato le reazioni di Scarpinato, di Salvatore Borsellino e di altri teorici che li fiancheggiano con giornali e media diversi. Costoro arrivano, a mio parere, a cancellare il ruolo e l’importanza storica di cosa nostra, per ridurre la mafia ad una appendice militare, a un gruppo di killer al servizio di pezzi dello Stato o dello Stato tout court.
  Per come ho conosciuto io Falcone, non credo che troverebbe questa impostazione accettabile oltre che condivisibile. La procura di Caltanissetta ha, in pratica, assunto un atteggiamento simile a loro e all’uscita del nostro libro ha stilato un comunicato inusuale, che andrebbe bollato come un comportamento istituzionalmente scorretto, ventilando l’ipotesi di un depistaggio di cui sarebbero autori non solo Avola, ma il suo avvocato Ugo Colonna e chi ha scritto il libro. In pratica, il libro è stato messo all’indice e considerato notizia di reato. Con incredibile tempestività, Aldo Ercolano, un padrino di primo livello, che Avola accusa di aver partecipato con lui alla strage di via D’Amelio e di aver appoggiato la strategia stragista di Riina, ha presentato una denuncia per calunnia. Su questa base è partita un’attività investigativa con trojan, cimici, pedinamenti e quanto altro, da cui non è emerso assolutamente nulla.
  Nel frattempo, nel silenzio generale, frastornante, quello de Il Fatto Quotidiano, Aldo Ercolano ha ottenuto di uscire dal carcere duro e Marcello D’Agata, il consigliere del capo dei Catanesi, Nitto Santapaola, da quando ha reso accuse contro Avola ha addirittura, pur non essendo un pentito, il permesso Pag. 6 di uscire regolarmente dal carcere, che presto sarà esteso credo anche ad Aldo Ercolano.
  Con Guido Ruotolo, mentre eravamo indagati e intercettati a nostra insaputa, siano stati invitati a deporre come testimoni. Come sapete, i testimoni hanno l’obbligo di dire la verità. Un abuso definito come tale dal procuratore di Catania, ma, a suo parere, non punibile perché la legge consente ai pubblici ministeri di fare quello che vogliono. Non condivido questa visione, ma nel caso bisognerebbe che vi occupaste di sottolineare l’obbligo per il pubblico ministero di agire conformemente alle leggi, come avviene in altri Paesi.
  Mettere sottosopra la vita di Maurizio Avola, rendere pubblici tutti i luoghi dove conduce la sua nuova esistenza, senza tutela, fotografare la casa dove abita, allarmando il condominio e includendo le foto nel fascicolo consultabile da tutti, interrogare i proprietari che faticheranno a rinnovargli il contratto di affitto, recarsi sul luogo dove lavora, generando allarme, per me è inaccettabile. Sono qui per dire che se accadesse qualcosa a Maurizio Avola sapremmo contro chi rivolgere il dito.
  Perché Avola viene trattato così? Perché ha detto che lo sconosciuto che afferma di aver appena intravisto nel garage dove aveva portato la macchina rubata, con la quale è stata costruita l’autobomba per via D’Amelio, non era un agente dei servizi segreti, non catanese, lui stesso o più presumibilmente Aldo Ercolano.
  Spatuzza all’epoca non era uomo d’onore. Un uomo d’onore di cosa nostra poteva avergli parlato di un agente segreto? Soprattutto, poteva presentargli un altro uomo d’onore? Secondo il codice di quell’organizzazione assolutamente no. Spatuzza conosceva i Catanesi? No. C’è una sola prova del fatto che cosa nostra abbia compiuto una strage o uno dei suoi omicidi eccellenti con la presenza di un poliziotto o di un agente? Non c’è.
  Dobbiamo accettare, senatore Scarpinato, l’inversione dell’onere della prova? Dobbiamo essere noi a dimostrare che lo sconosciuto intravisto nell’ombra da Spatuzza, testualmente un’immagine così sfocata, non fosse un agente dei servizi? Dal mio punto di vista, disegnare il contesto in cui si sono svolti i fatti per poi collocarceli dentro può essere utile per un film di Oliver Stone o per un romanzo con protagonista Jack Ryan, ma se lo facciamo diventare un metodo processuale diventa un’aberrazione e non ci porterà mai alla verità, anche se chi si nutre di teorie che non diventano sentenze e dalle sentenze vengono sempre smentite, si assicura una lunga vita professionale, con buoni privilegi.
  Il giudice delle indagini preliminari, non io, sottolinea come Avola abbia fornito un racconto in prima persona su via D’Amelio e in precedenza si era accusato di cinquanta omicidi sui quali non esistevano prove prima che lui ne parlasse. Non è stato mai condannato per calunnia. Come si fa a giudicare inattendibile questo collaboratore di giustizia? Bisognava accertare i fatti e invece si è scelto di demolire l’attendibilità del collaboratore di giustizia fino a negare la partecipazione dei Catanesi al disegno stragista che parte dal 1991, quando, in seguito alla partecipazione di Pippo Baudo alla mia staffetta con Maurizio Costanzo, si decise prima di uccidere il famoso conduttore e poi di fargli saltare la villa. I Catanesi non c’entrano? Eppure è al catanese Pulvirenti della famiglia Santapaola che Nino Gioè chiede in prima battuta di compiere l’attentato a Maurizio Costanzo.
  È inquadrato nella famiglia catanese Rampulla l’artificiere di Capaci. Nino Gioè, intercettato, conferma il racconto di Avola, parlando di un gruppo di fedayn spietati della famiglia Santapaola pronti a tutto per favorire i disegni di Riina. Certo, Santapaola era contrario alle stragi, ha tenuto fuori il suo territorio da azioni stragiste, ma per sopravvivere ha dovuto permettere ad Aldo Ercolano di assecondare la strategia di Riina e di prendervi parte. Pur di tenere in piedi una teoria che fa acqua da tutte le parti, si continuano a negare i fatti. Dunque, che succede? La procura di Caltanissetta indaga per rendere inattendibile Avola. Scopre che la mattina del sabato era a Catania e non a Palermo, che è stato fermato dalla polizia, che non poteva muovere il braccio sinistro perché portava il gesso e che Aldo Ercolano era sottoposto a sorveglianza speciale. Avola dice: «Non mi ricordavo di essere stato fermato, ma vi avevo detto che prima della strage siamo andati su e giù da Catania. La mattina ero a Catania e il pomeriggio di sabato, giorno prima della strage, ero a Palermo a confezionare la bomba».
  È possibile? È possibile. Poi fornisce ragguagli sul gesso. Spiega che lo aveva sostituito con un gambaletto che toglieva e metteva a seconda delle convenienze e indica l’ospedale e l’infermiere amico dei mafiosi che ha eseguito l’intervento. Controllano e l’infermiere esiste. Con qualche esitazione assolutamente spiegabile, Avola riconosce il garage, spiega che la bomba non è stata confezionata nel box indicato da Spatuzza e che l’auto è stata spostata in quello di fronte. Descrive com’era il pavimento e l’illuminazione, quindi conduce gli investigatori nella casa poco distante da via D’Amelio, dove ha dormito con Ercolano. Ci doveva abitare una bambina, secondo lui, perché c’era una cameretta rosa con le bambole, ma la casa apparteneva a un carabiniere e secondo gli investigatori questo renderebbe poco credibile la testimonianza.
  Un agente segreto dello Stato può confezionare la bomba, ma il carabiniere non può affittare la casa. Si è controllato dove erano in quel giorno i proprietari della casa e del box? Non risulta. La bambina? Un colpo di fortuna.
  Soprattutto non viene smentita la presenza in via D’Amelio di nessuno dei componenti del commando indicati da Avola. In particolare non ci sono stati controlli a casa di Ercolano nel periodo della strage. «Volete che vi dica quanti reati ho commesso mentre ero sottoposto a sorveglianza?», ci dice Avola. La procura, intanto, è costretta ad ammettere che non ha trovato prove di depistaggi, ma chiede l’archiviazione, giudicando completamente false dichiarazioni e inattendibile il collaboratore di giustizia.
  Il fatto è che il giudice clamorosamente respinge la richiesta di archiviazione. In primo luogo decreta che non si può considerare inattendibile uno che ha consentito di ricostruire con precisione cos’era cosa nostra a Catania. Scrive: «è certa la generale affidabilità del dichiarante», quindi dispone di continuare le indagini e incarica un perito di fare una perizia sul braccio di Avola.
  L’autorevole perito del tribunale conclude che effettivamente Avola può essersi tolto il gesto rigido, perché presenta una evidente deformazione che ne è la conseguenza. Finirà probabilmente in archiviazione, perché non può essere il giudice a condurre le indagini che la procura non fa. Non sapremo mai se il dichiarante ha detto la verità o ha mentito.
  Speriamo che, invece, mi sbagli.
  Inventare depistaggi inesistenti, continuare a seguire piste inesistenti quanto suggestive, concederà un tempo infinito a una magistratura che da emergenziale si è fatta ordinaria. Avremo mai una sentenza che collega piazza Fontana e Capaci con via D’Amelio? Si troveranno le prove che Borsellino avesse scoperto la trama che teneva insieme le bombe fasciste con quelle di cosa nostra? Io di certo non ci sarò più quando dovessero Pag. 10 emergere le prove di questa ipotesi che nessuno storico, figuriamoci un magistrato, al momento può azzardarsi a ritenere verificate. Avola, al contrario, ci racconta di una strategia stragista concepita da cosa nostra per destabilizzare un sistema in crisi dentro il quale era cresciuta e che, pur di sopravvivere, minacciava la sua esistenza. Una strategia che parte con l’omicidio derubricato «di Pippo Baudo», continua con l’omicidio Lima, che affossa la candidatura di Andreotti alla Presidenza della Repubblica, programma l’annientamento dei suoi principali nemici, Falcone e Borsellino, e il crollo della Prima Repubblica, per trovare nuovi interlocutori accanto a cui continuare ad esistere.
  Spiega tutto ciò la morte di Borsellino? Certo che la spiega. Con lui Procuratore nazionale antimafia questo disegno di destabilizzare per stabilizzare non si sarebbe potuto realizzare. Appalti o non appalti, Borsellino doveva morire. Può esserci stata un’accelerazione, ma i fatti dicono che l’incarico per rubare l’auto per l’autobomba non è stato dato a Spatuzza un giorno o una settimana prima, ma a giugno, subito dopo la strage di Capaci.
  Cosa nostra ha agito da sola? Certamente no. Tanti soggetti si sono mossi: massonerie, servizi segreti deviati, politici. C’era una lotta per conquistare posizioni di rilievo nel nuovo sistema che sarebbe nato dalle ceneri della Prima Repubblica e questo era più importante della rimozione del carcere duro.
  Come poteva sperare cosa nostra che le cose sarebbero migliorate con Borsellino che diventava Procuratore nazionale antimafia? Anche nella magistratura c’era questa stessa lotta e cosa nostra conosceva la differenza tra Borsellino e Giammanco, ma l’atto di archiviare l’inchiesta su mafia e appalti, senatore Scarpinato, c’è, porta la sua firma…

  PRESIDENTE . Si rivolga a tutti.

Pag. 11 

  MICHELE SANTORO , giornalista. Allora, del senatore Scarpinato c’è e porta la sua firma, anche se a Giletti ha detto il contrario.
  Chi era l’amico che ha tradito Borsellino? Ci vorrebbe poco a dargli un nome, interrogando le persone giuste. Il «grande vecchio» che dà ordine a Riina è una fantasia che offende la storia. Cosa nostra è stato un soggetto potente, capace di giocare in proprio la sua partita, di stabilire alleanze, di concedere favori, di conquistare e distribuire consensi. Credo che ancora esista, in forme a noi oggi sconosciute, ma che considerano, alla stessa stregua della finanza, la politica meno importante di un buon investimento in bitcoin.
  Quella guerra è finita e gli strumenti dell’emergenza con cui l’abbiamo combattuta sono superati. Possiamo tornare al diritto, fare ciò che ci chiede di fare l’Europa, mettere fine all’ergastolo ostativo e ripristinare «la legge è uguale per tutti». Nient’altro che la verità è questo che sosteneva, non perché ce l’aveva suggerito qualcuno, ma perché è giusto. I libri restano e fanno paura.
  Avola indica la pista non esplorata di cosa nostra americana e la funzione di Catania come «Santa Barbara» di cosa nostra, l’uso del T4 a Capaci, a via d’Amelio e nelle stragi del 1993. Sono i fatti che dobbiamo collegare, puntini da mettere insieme con un tratto di matita.
  A cosa è servito l’arresto di Matteo Messina Denaro? Quale conoscenza in più di cosa nostra ne abbiamo ricavato? Abbiamo trovato una pistola e 2 mila euro. Era così pericoloso che io lo incontrassi in carcere – come lui aveva chiesto – per scrivere un libro che sarebbe uscito postumo? Pericoloso per chi? La procura di Palermo si è opposta, ma senza nemmeno mandarmi una risposta scritta. Ci sono giornalisti buoni al servizio delle procure e giornalisti cattivi. Inutile che vi dica in Pag. 12 quale categoria mi hanno messo. E io stesso mi ci metto con piacere.
  Grazie.

  PRESIDENTE . Grazie a lei.
  Chiedo se ci sono iscritti a fare domande.
  Inizio io, per inquadrare il tema. Nel suo libro lei riporta un’affermazione di Avola sui rapporti tra mafia e politica. La cito, virgolettata: «Non è che il politico mi dà l’ordine. Lo faccio per convenienza, così il politico ha un conto in sospeso da pagare. Nessuno ci ha dato ordini» riferendosi alle stragi, ovviamente «le ha decise cosa nostra, ma molti altri ci hanno guadagnato». Lei, di fatto, mi sembra condividere questa ricostruzione, tanto che afferma, sempre nel libro, che in fondo anche Falcone escludeva che esistesse un’entità superiore.
  Mi può spiegare le ragioni di questo convincimento?

  MICHELE SANTORO , giornalista. Innanzitutto bisogna dire che Avola era un militare, era un soldato e, per quanto un graduato nell’organizzazione di cosa nostra, non era a conoscenza dei rapporti politici che, per esempio, aveva sicuramente Nitto Santapaola. Li ha potuti intravedere in qualche circostanza, ma dovete tener conto del fatto che nessun padrino di cosa nostra, capofamiglia, si è mai pentito.
  Noi parliamo sempre con quelli che sono al di sotto di questa suprema gerarchia di cosa nostra. Però Avola ha una caratteristica particolare che portava avanti anche come killer. Ha ucciso più di ottanta persone, non le cinquanta citate. Lui dice che non c’è mai stato un processo per tentato omicidio, nel senso che li ha sempre realizzati. Era un meticoloso, una persona molto attenta ai dettagli e ai particolari, quindi spiava. Addirittura ci sono magistrati importanti che l’hanno riconosciuto come «il costituzionalista», uno che, per esempio, ha sempre spiegato che non esisteva la «cupola», la «super cupola» di cosa nostra, ma che i padrini, nei loro territori governati dalla loro famiglia, erano sovrani, erano re. Di questo, quindi, Riina doveva tener conto. Non poteva agire a Catania senza avvisare Nitto Santapaola. Doveva comunque entrare in contatto con il padrino, cioè la persona che in quel momento aveva il comando su quel territorio. Questa era l’architettura di cosa nostra, molto più federale di come, invece, appare da certa letteratura.
  È chiaro che Riina aveva fatto in modo che tutti i capi delle varie famiglie fossero amici suoi, uccidendo quelli che c’erano prima di loro o facendoli uccidere da persone che ne avrebbero preso il posto, come era avvenuto a Catania con Nitto Santapaola nei confronti di Calderone.
  Avola dice che non è che non ci siano rapporti con la massoneria. Per esempio, spiega benissimo che nel delitto Scopelliti tutte le informazioni arrivano agli esecutori attraverso la massoneria, attraverso i legami che aveva Matteo Messina Denaro con elementi della politica e della massoneria. Questi rapporti, quindi, c’erano. Lui non ne era a conoscenza. Quello che, invece, lui ribadisce è che cosa nostra non agiva su comando: era una forza dotata di una propria autonomia. D’altra parte, il problema vero è capire: cosa nostra quanto valeva economicamente? Abbiate pazienza. Questa è la domanda che ci dobbiamo porre. Se valeva effettivamente quello che noi pensiamo, e parliamo di migliaia di miliardi dell’epoca, addirittura l’acquisto di un’isola di fronte a Malta con 1.500 miliardi di lire – questo risulta dalle carte giudiziarie –, vuol dire che non potevano prendere gli ordini dal primo che passava.
  Questa visione di Riina come una specie di deficiente è completamente sbagliata. Queste erano persone che avevano intelligenza politica. Non avevano la cultura politica, non riuscivano a gestire loro i rapporti direttamente, però sapevano esattamente valutare che cosa gli conveniva e che cosa non gli conveniva. Il punto è capire se esisteva un’organizzazione piramidale che in testa vedeva lo Stato, i servizi segreti, in qualche maniera i politici, e loro eseguivano, oppure no. Io francamente dico di no.
  Comunque, vi consiglio di andare a vedere Il Padrino che, forse, come elemento di letteratura è più interessante, più vicino alla realtà.

  PRESIDENTE . Grazie mille.
  Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAURO D’ATTIS . (intervento da remoto). Signor presidente, la ringrazio.
  Chiedo scusa se sono online. Avrei voluto partecipare personalmente. Ringrazio il dottor Santoro per questa audizione.
  Volevo porre una domanda, sempre riferendomi alle pagine del libro. A proposito della teoria secondo cui le stragi terminano quando Forza Italia vince le elezioni nel 1994, afferma che c’è una gigantesca contraddizione – mi ha particolarmente colpito questa cosa – in chi vuole dimostrare il coinvolgimento di Berlusconi e di Dell’Utri nella strategia delle stragi, perché indica come esempio, a seguire, questa evidenza di presenza di contraddizioni, il fallito attentato all’Olimpico. La domanda, ovviamente, anche da lettore, oltre che da commissario della Commissione antimafia, è se può spiegarci meglio questa valutazione, il senso di questa affermazione doppia: la gigantesca contraddizione e l’esempio del fallito attentato all’Olimpico.
  Grazie.

Pa

  MICHELE SANTORO , giornalista. È evidente che quando, nel 1991, facciamo una staffetta con Maurizio Costanzo, per cosa nostra – e questo è documentato – che guardava la trasmissione con grande attenzione, è chiaro che i protagonisti della Prima Repubblica l’hanno completamente abbandonata. Hanno chiamato Falcone all’interno del Ministero di grazia e giustizia, che è il nemico principale di cosa nostra e cosa nostra, che aveva camminato – come dice Avola – parallela rispetto al vecchio sistema, pensa di essere, in realtà, stata indicata come il capro espiatorio per i protagonisti della Prima Repubblica, per salvarsi. Quindi, decreta l’inizio di una strategia stragista che ha termine quando la Prima Repubblica viene completamente seppellita e si crea una situazione completamente nuova sul piano politico.
  Che ad agire perché questo avvenisse siano stati soggetti vari lo dico, lo ribadisco ed è evidente, ma è evidente anche dal fatto che, per esempio, i primi club – forse non vi ricordate, ma Forza Italia nasce con questa organizzazione dei club – vengono a crearsi, il primo e il secondo, non ricordo esattamente l’ordine, uno a Milano, in casa di Rapisarda, che era un colletto bianco vicino agli ambienti mafiosi, e uno in un altro appartamento di proprietà dei Graviano.
  Dire che, quindi, loro hanno visto con simpatia la nascita di quel movimento è del tutto ovvio. Anche perché quel movimento inizialmente si proponeva una forte accentuazione anche di tipo garantista e loro hanno sempre appoggiato chi faceva del garantismo la sua bandiera. Che si trattasse di Pannella o che si trattasse di Martelli precedentemente, loro avevano votato per le liste del Partito Socialista a Palermo e avevano dato indicazioni chiare di voto. Perché? Perché il garantismo era esattamente quello che loro volevano. Non volevano la legislazione d’emergenza.Pa
  Da qui a dire – per come l’ho conosciuto io, la cosa mi sembra anche abbastanza grottesca – che Berlusconi al telefono dà gli ordini a cosa nostra francamente lo trovo… A parte che non c’è nessun elemento per poterlo dire, quindi non capisco perché dobbiamo presumere che le cose siano andate così se non abbiamo alcun indizio, alcuna prova. Questo collateralismo c’è e noi lo dobbiamo indicare, perché è provato storicamente, intendo il collateralismo da parte di cosa nostra nei confronti dell’ascesa al potere di Forza Italia.
  Quello che, invece, assolutamente non si può dire è che il «grande vecchio» che ha governato le cose della mafia fosse Berlusconi. Secondo me, continuare a insistere su questa roba ci farà perdere un sacco di tempo. Ovviamente, se emergono degli elementi contrari a quello che io vi sto dicendo, sarò il primo a prenderne atto. Al momento non ce ne sono. Conosciamo la storia di Dell’Utri, sappiamo benissimo che c’è una condanna riguardo a questo, ma non era Dell’Utri che poteva dare ordini a Riina. Spero siate d’accordo con me su questo elemento. Questa è la mia visione delle cose.
  Sull’attentato all’Olimpico che non si è fatto più, ci sono varie interpretazioni. Francamente, anche per me è un episodio molto interessante, che va approfondito. Comunque, sta di fatto che non si è fatto. Poi qualcuno dice perché non hanno funzionato i congegni che erano stati preparati. Io cercherei di capire un po’ meglio come sono andate le cose riguardo a quell’episodio, perché mi sembra contraddittorio con quello che è successo precedentemente e anche con la natura degli attentati del 1993 che, se ci pensate bene, i morti li hanno fatti sempre un po’ o per imperizia o per caso. Non erano attentati che dovevano finire sanguinosamente. Anche in quello di Firenze hanno sbagliato la carica esplosiva. Non sapevano della presenza dietro certe situazioni di una famiglia e quindi hanno Pag. 17 fatto questo, ma avevano lo scopo di capire lo Stato se entrava o no in una maniera rassicurante in un rapporto con l’organizzazione di cosa nostra, direttamente o indirettamente, cioè di allacciare quella che fu chiamata una trattativa.

  PRESIDENTE . Grazie mille.
  Do la parola al senatore Russo.

  RAOUL RUSSO . Signor presidente, ringrazio naturalmente l’onorevole Santoro per le sue dichiarazioni che peraltro lo connotano anche per la sua nota libertà di pensiero. Lei oggi ci ha confermato quello che aveva già anticipato in una lettera pubblica che ha fatto al Presidente della Repubblica nel 2023. Sostanzialmente, era una lunga lettera in cui lei denunciava lo stato in cui si è trovato a seguito della pubblicazione del libro che lei ha citato sul pentito Avola.
  Sostanzialmente, in questo libro, come lei ci ha ribadito oggi con chiarezza, ha totalmente messo in discussione, e l’ha confermato nel suo intervento di poc’anzi, il fatto che esistessero entità esterne che potessero comandare cosa nostra.
  Ricordo peraltro che in uno dei convegni a cui partecipai tanti anni fa, da palermitano, Borsellino sosteneva che la mafia non è un potere sottostante, è un potere che coesiste sul territorio, è uno Stato che dialoga con altri Stati. Questo non lo dico io, ma lo diceva Borsellino qualche anno prima di morire.

  MICHELE SANTORO , giornalista. Sottoscrivo.

  RAOUL RUSSO . Lei ritiene, oggettivamente, per quanto è a sua conoscenza, che queste accuse di depistaggio, mosse in vario modo, possano essere legate al fatto che una persona libera come lei, che notoriamente ha avuto sempre un atteggiamento sicuramente non prono al pensiero del centrodestra piuttosto che ad altro, un pensiero libero, abbia messo in discussione che ci fossero entità esterne in grado di costruire una regia così precisa che porti alla morte di Borsellino e costruisca tutta questa teoria tragica di stragi in Italia?

  MICHELE SANTORO , giornalista. Non escludo niente. Bisogna partire dai fatti e i fatti sono quelli che si possono provare. Se non si possono provare, le cose per me non esistono, sono delle ipotesi, possono essere delle ipotesi suggestive, letterarie, anche politiche, anche storiche, ma diventano opinioni. Non le possiamo trasformare in fatti. Se uno teorizza che noi dobbiamo vedere un filo unico che parte da piazza Fontana e finisce a via D’Amelio, dovrebbe dimostrare che questo sia vero. Per esempio, è vero che a un certo punto Falcone ipotizza la presenza di terroristi neri in alcuni attentati avvenuti in Sicilia, però è altrettanto vero che a Buscetta, che era il suo principale collaboratore, consulente, se vogliamo, di cose mafiose – e questo mi risulta personalmente perché sono dichiarazioni che Buscetta ha fatto a me –, ho spiegato io che non poteva essere assolutamente così, che non era vero. Comunque, non si è arrivati a niente. Noi possiamo dire che Mattarella è stato ucciso da terroristi, però fino a questo momento non abbiamo provato che i terroristi neri ci fossero e, invece, sicuramente quello è un omicidio deciso da cosa nostra.
  Avola ci dice: «Perché non siete andati a chiedere a Campanella, che è ancora vivente, se era lui? Perché assomigliava molto, per esempio, a Fioravanti, aveva lo stesso aspetto, quindi la moglie di Mattarella, che ha ricostruito l’identikit del killer, potrebbe, in qualche maniera, aver individuato una figura che si avvicina a quella di Campanella, perché Campanella mi ha detto che lo aveva fatto lui». Questa è un’attività che si vuole portare avanti oppure noi dobbiamo mantenere una sorta di leggenda perché ci deve essere qualcosa di assolutamente uguale nella morte di Moro e nella morte di Mattarella? Noi dobbiamo partire dal contrario, dobbiamo capire chi ha ucciso Mattarella, chi è stato, chi sono i killer. Trovando i killer, trovando i mandanti, possiamo riuscire a ricostruire esattamente quello che è accaduto. Io non escludo nessuna entità. Poi ci stavano entità. Quando si parla di entità esterne sappiamo che c’erano anche entità eversive, esterne, figuriamoci se lo escludo.
  Io ho passato una vita a lottare contro queste entità esterne, però quello che io escludo è che cosa nostra, per come l’ho studiata io, ricevesse gli ordini via fax. Se volete capire come funzionava, secondo me, ma può darsi che mi sbagli, basta vedere l’intervista a Buscetta che ho ricostruito e che è su internet, dove Buscetta spiega la dinamica per la quale lui è arrivato ad accusare Andreotti del delitto Pecorelli. Spiega come funzionavano le cose.
  Quando gli chiedono: «Andreotti ha mai dato l’ordine di ammazzare Pecorelli?», Buscetta risponde: «No, assolutamente, non funziona così, guardate che vi sbagliate, non dovete ricostruire le cose così, è totalmente sbagliato, leggete quegli atti». Se guardate la mia ricostruzione è più facile, si arriva subito al cuore delle cose. Questo è quello che penso io. Non funziona così. È chiaro che se cosa nostra pensa che ammazzare Pecorelli gli fa gioco perché in qualche maniera devono tenere in piedi il potere di Andreotti, lo ammazzano. Punto. Non è che vanno a fare un contratto con Andreotti o aspettano l’ordine di Andreotti prima di ammazzarlo. Questa è la realtà delle cose per come funzionavano. Vogliamo dire che funzionavano diversamente? Dovremmo avere un testimone che ci spiega che invece si mandavano gli ordini con i colombi viaggiatori o un’altra cosa. Dovremmo spiegare come funzionavano. Loro hanno parlato con Andreotti? Mai, neanche per idea. È ovvio. Come fai a ricostruire la storia in questa maniera così maldestra quando cosa nostra non solo era affiancata da «menti raffinatissime», ma era fatta anche da menti che magari…
  Non è che i contadini sono stupidi. I contadini hanno «scarpe grosse e cervello fino». Quando sono capi, sono capi. Io nel libro racconto di quando un emissario di cosa nostra americana incontra il capomafia di Corleone e c’è Riina. A un certo punto, l’americano dice: «Chi è questo “piccoletto” che sta qui e che parla?». L’altro dice: «Stai attento a quello che dici, che questo “piccoletto” comanda la Sicilia, comanda il mondo e comanda pure te». Questo è un punto importante. Comanda anche cosa nostra americana. Andare a studiare quello che ci suggerisce Avola della strategia di potere di Riina, che è legata a quella di John Gotti, forse ci darebbe qualche elemento in più, non lo so. Però, se vogliamo continuare a dire del disegno unico, lo facciamo. Chi vuole studiare, studi. Non dobbiamo impedire a nessuno di farlo, né di formulare le sue ipotesi.

  PRESIDENTE . Grazie mille.
  Do la parola all’onorevole Ascari.

  STEFANIA ASCARI . Torno alla lettera aperta che ha citato il collega. Nella lettera aperta dell’agosto 2023 lei ha scritto: «Sembra che le indagini siano state svolte per confermare ad ogni costo il teorema di entità esterne a cosa nostra, di uomini dello Stato che non solo hanno commissionato la strage, ma sono anche stati fisicamente presenti nelle fasi esecutive. Chi non accetta il teorema e prova a mettere insieme fatti accertati o a portare nuovi elementi per le indagini, diventa un nemico di cui è lecito calpestare tutele personali e diritti». In particolare, il riferimento era all’uomo visto da Gaspare Spatuzza nel garage di via Villasevaglios nel pomeriggio del 18 luglio 1992, mentre veniva imbottita di esplosivo la FIAT 126 utilizzata per la strage e da Spatuzza stesso ritenuto uomo estraneo a cosa nostra.Pag.
  Secondo Avola, invece, sarebbe da identificare con se stesso, come ricordava lei prima, o con Aldo Ercolano, asseritamente presenti sui luoghi. Io, però, le chiedo questo: come si spiega che nessun collaboratore di giustizia di cosa nostra palermitana, fra gli altri Gaspare Spatuzza, che noi abbiamo sentito nella scorsa legislatura nel Comitato ad hoc, Fabio Tranchina, persone vicinissime ai fratelli Graviano, Giovanni Brusca, Giovambattista Ferrante, Francesco Onorato, Salvatore Cancemi, Tullio Cannella e altri ancora non abbiano mai saputo della partecipazione di mafiosi catanesi nella strage di via D’Amelio? Questo per citarne alcuni. Questa è la prima domanda.
  Vengo alla seconda domanda. Il 25 e il 26 giugno 2024 Maurizio Avola è stato esaminato davanti al GIP di Caltanissetta in incidente probatorio nel contraddittorio delle parti. Il 26 giugno 1994 Avola ha dichiarato di aver partecipato, tra la fine del 1992 e i primi due mesi del 1993, alla commissione fuori dal territorio siciliano di omicidi richiesti a cosa nostra da esponenti dei servizi segreti, rifiutandosi poi di rivelare di quali delitti si tratti.
  Con voi Maurizio Avola ne ha parlato prima della pubblicazione del libro? Perché queste sono dichiarazioni che sono state date espressamente e sono agli atti.
  (omissis)* 
  Grazie.

  MICHELE SANTORO , giornalista. Continuiamo a fornire molti dettagli su quello che fa Avola. Le sue domande sono numerose e cercherò di rispondere a tutte brevemente.
  I pentiti che lei ha citato erano presenti nel momento in cui si svolgevano le azioni descritte da Avola? È un punto molto importante questo, perché in questo modo potrebbero effettivamentePag. 22  smentire quello che Avola dice, perché, se non erano presenti, non credo che cosa nostra quando va a compiere un’azione così importante non segua il principio della contingenza dell’azione. Loro dicono: «Facciamo l’appello. Tutti quelli che parteciperanno sono questo, codesto e quello». Noi dobbiamo smentire in maniera inequivocabile quello che ha fatto Avola. Per farlo, ci vuole qualcuno che dica: «No, l’autobomba l’ho fatta io», come ha fatto Spatuzza nei confronti di Scarantino. Ha detto: «Scarantino non ha partecipato al furto della macchina, perché la macchina l’ho rubata io». Sulla base di questa ricostruzione noi siamo riusciti a capire esattamente la strada per ricostruire. Parliamo di una macchina rubata, ma da lì siamo partiti per capire che era tutta un’altra la vicenda di via D’Amelio. Quindi, quando ci saranno degli elementi inequivocabili che smentiscono Avola, io potrò anche darle ragione. Anzi, sarò felice di darle ragione, perché mi libererò dal peso di aver contribuito in qualche maniera, anziché ad accertare la verità, ad allontanare la conoscenza della verità.
  Per quanto riguarda Spatuzza, le ribadisco che Spatuzza non era così importante allora, nel 1992, nell’organizzazione di cosa nostra e non era stato ancora affiliato. Spatuzza dice di aver visto un’ombra, di aver individuato una persona e di essersi fatto l’idea che non appartenesse a cosa nostra. È un’idea che lui si è fatta. Ma nessuno gli ha detto: «guarda, questo non è di cosa nostra o ti confermiamo che sia un agente dei servizi segreti», prima di tutto perché non potevano dirglielo senza violare il codice di cosa nostra. Quindi, la sua è un’opinione. Peraltro, rispetto a ciò che dicono i pentiti o i collaboratori di giustizia, a volte registriamo che ci sono alcune forzature nella verbalizzazione. Però, non ho motivo di ritenere che Spatuzza non si fosse successivamente fatto un’idea che quello poteva essere qualcuno che non appartenesse all’organizzazione. Ripeto, è un’opinione legittima, ma che non smentisce il racconto di Avola, perché Avola sostiene che effettivamente lui i Catanesi non li conosceva. Uno dovrebbe chiedere a Spatuzza: «Ma tu li conoscevi i catanesi?». Se lui risponde di no, vuol dire che è possibile che quello che dice Avola sia corretto.
  Per quanto riguarda i delitti commissionati dai servizi segreti, queste sono cose, su richiesta dei servizi segreti, che sono emerse successivamente al libro, durante le intercettazioni che sono state fatte ad Avola, di cui io francamente non ero a conoscenza. Io ho cercato sempre, per quanto riguarda Avola, di dirgli: «Senti, tu parla delle cose che sai, che provi eccetera, eccetera, perché già c’è questa situazione nei tuoi confronti, per cui cerca di dire la verità e di corredarla di tutti gli elementi che possono portare a individuarla come tale». Ripeto, non nego che cosa nostra abbia avuto contatti con i servizi segreti, non nego che abbia avuto uno scambio di favori sia con alcuni elementi dei servizi segreti sia con alcuni elementi della politica. Potrebbe essere capitato. Ci riferiamo soprattutto a qualche delitto che riguarda la Banda della Magliana. Potrebbe essere avvenuto. Io non ne ho mai parlato con lui, quindi non posso esserle utile a tal riguardo.

  (omissis)* 

  PRESIDENTE . Grazie mille.
  Do la parola al senatore Cantalamessa.

  GIANLUCA CANTALAMESSA . Grazie, onorevole, per schiettezza, coraggio, libertà e pragmatismo. Quando ci sono le audizioni, soprattutto su cose così importanti, spesso si inizia a Pag. 2parlare della qualunque, invece lei ha ricordato molto bene che abbiamo il dovere di parlare di fatti e non di altre cose. Poi, se vogliamo parlare di altre cose, diciamo che sono altre cose, perché i fatti sono fatti.

  MICHELE SANTORO , giornalista. Esatto.

  GIANLUCA CANTALAMESSA . Vengo a una domanda che mi è sorta dopo aver letto alcune cose sul suo libro. C’è un riferimento critico all’antimafia che si coglie in diverse pagine. Lei, a pagina 157, scrive: «È come se le istituzioni continuassero a fare la guerra ad una mafia che non c’è più. Si moltiplicano le scorte come se fossimo ai tempi di Falcone, ma non si capisce chi dovrebbe voler uccidere tutti questi scortati». Poi, a pagina 286, lei critica il seguente ragionamento: «Non sparano da quasi trent’anni, ma non si può mai sapere. Aumentiamo il numero delle scorte e ci mettiamo l’anima in pace».
  Lei ritiene che si sia abbassata veramente la soglia del pericolo? Grazie.

  MICHELE SANTORO , giornalista. Sicuramente non siamo di fronte a quel tipo di strategia armata. Questo emerge con evidenza dal fatto che è passato quasi mezzo secolo e di delitti eccellenti non se ne sono visti. Questo non vuol dire che un magistrato che ha in mano un’indagine particolarmente delicata che riguarda la droga o qualunque altra cosa, o cosa nostra, eccetera, non debba essere scortato. Però, questa diffusione che si fa in Italia delle scorte, che sono una sorta di attribuzione di una patente istituzionale, quasi a dire che una certa persona è buona perché è scortato, francamente non mi trova d’accordo.
  Preferirei che gli uomini della polizia fossero impiegati alla stazione Termini, piuttosto che andare a scortare qualunque Pag. 25 mio collega che non si capisce che cosa rischia, in realtà. Ovviamente, le scorte devono avere, pure loro, un giorno in cui vengono assegnate perché c’è una ragione di particolare pericolosità che emerge dagli atti e un giorno in cui possono essere tolte perché quelle ragioni sono venute meno, perché per esempio una certa banda è stata sgominata e non ha più desideri di vendetta, di conseguenza non ha più senso assegnare quelle scorte.
  Detto questo, questa polemica l’ho fatta in un libro proprio perché non mi va di farla pubblicamente, dal momento che è molto delicata e va a toccare problemi delicati. Del resto, se poi succede qualcosa, non si vede l’ora di dire: questo è Santoro che non voleva le scorte. No, io dico che le scorte vanno date quando è necessario. Non devono diventare una specie di status symbol. Questo non va bene.

  PRESIDENTE . Grazie mille.
  Do la parola al senatore Verini.

  WALTER VERINI . Signor presidente, ringrazio Michele Santoro per questa sua esposizione e più in generale – unisco la mia voce a quella degli altri – per tutto il suo impegno professionale, sempre dalla parte dell’informazione e della libertà di informazione.
  Lei, Santoro, poco più di un anno fa, poco dopo l’uscita del libro, scrisse una lettera aperta anche alla più alta magistratura dello Stato nella quale, tra l’altro, sosteneva che la sua incolumità, ma anche quella di altri, era a rischio. Questa denuncia è ancora attuale? Ha avuto qualche riscontro? Lo dico non formalmente, presidente: se dall’ipotetica prossima risposta di Michele Santoro questo venisse definito ancora un pericolo attuale, credo che la Commissione parlamentare antimafia debba far sentire la sua voce al Ministro dell’interno per sostenere quanto meno l’attenzione su questo tema.
  Seconda domanda. Dopo la pubblicazione del suo libro venne aperta un’inchiesta dalla procura di Caltanissetta, un’inchiesta che, però, è stata archiviata…

  MICHELE SANTORO , giornalista. No, non ancora.

  WALTER VERINI . Non è stata archiviata?

  MICHELE SANTORO , giornalista. No.

  WALTER VERINI . Però, ne è stata chiesta l’archiviazione, probabilmente.

  MICHELE SANTORO , giornalista. Dalla procura.

  WALTER VERINI . Chiedo scusa, è vero, non è stata formalmente archiviata. Comunque, cambia poco la domanda. Il senso è questo: siccome la procura di Caltanissetta è titolare di inchieste importanti, che in alcuni casi riguardano stragi, il post-stragismo, eccetera, secondo lei perché la procura di Caltanissetta ha chiesto l’archiviazione di questa indagine? Ovviamente, si pensa perché ritenga infondate quelle ricostruzioni. Oppure, ci possono essere anche altri motivi? Affido a lei se mai ritenesse che ci fossero altri motivi. Fino a prova contraria la procura di Caltanissetta, che ha chiesto l’archiviazione, è comunque una procura che compie il suo dovere, come devono o dovrebbero fare tutte le procure di questo Paese.
  Terza domanda. Per carità, non sono il Vangelo – nessuno lo è, ce n’è uno di Vangelo, anzi forse un po’ più di uno, ma molti sono apocrifi – ma mi pare che anche Maria Falcone abbia espresso a sua volta molte perplessità sulla ricostruzione di Avola. Lei ha fatto, come sempre, il suo lavoro e lo ha fatto egregiamente pubblicando quel libro, però probabilmente qualche interrogativo, dopo la richiesta di archiviazione della procuraPag. 27  e magari dopo le prese di posizione di personalità, ho citato Maria Falcone tra queste, se lo è posto sulla veridicità non di quello che lei ha riportato, ma di quello che Avola può aver detto?
  Ultima domanda. Lei sostiene che non vi sia stata una meccanica obbedienza di cosa nostra a certe direttive da parte di entità che potrebbero essere legate ad apparati dello Stato, a settori della politica. Su questo non vi è alcun dubbio rispetto a quello che lei ha detto, se ho capito bene. Però, non pensa che, comunque, ci sia stata una forte convergenza di interessi in un particolare momento storico-politico? Davvero, pur sostenendo lei che non vi sia stata nessuna entità che può avere in qualche modo ordinato certe cose, pensa che questa mafia contadina possa da sola aver studiato e strutturato non solo quelle stragi, ma anche altre, con obiettivi molto raffinati, ideati da «menti raffinatissime»? Penso a Georgofili, penso a Velabro. Insomma, l’idea che arriva questo contadino furbo – è vero, «scarpe grosse e cervello fino» – parliamo di Totò Riina, che possa avere architettato tutto questo, con un disegno politico raffinato, francamente mi lascia perplesso. Chiaramente – e qui ha ragione lei – se non ci sono prove, non ci sono prove. Però, esistevano contatti politici con ambienti politici che ambivano a sostituire i partiti dopo la cosiddetta «fine della Prima Repubblica», che in realtà non è mai finita nella prassi quotidiana. Quindi, se non vi è stata una meccanica trasposizione di ordini e di esecuzione di ordini, quantomeno non pensa che vi sia stata una convergenza di interessi molto forte? Questo al netto dei Graviano, dei Mangano, delle condanne, che magari uno come Dell’Utri ha già ricevuto.

  MICHELE SANTORO , giornalista. Sono domande che richiederebbero un approfondimento molto ampio. Comunque, parto dalla fine.

  PRESIDENTE . Chiedo scusa, vorrei solo ricordare che alle 15 riprende il Senato.

  MICHELE SANTORO , giornalista. Sto cercando di essere estremamente sintetico.
  Innanzitutto, la inviterei a pensare che non tutta cosa nostra assomiglia a Riina. Riina ha una particolarità, sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista dell’eloquio. Noi ci ricordiamo questo modello, ma se lei va a vedere il processo Aiello – le faccio il nome di un altro condannato, che era proprietario delle cliniche di Bagheria – vedrà che ci sono dei professionisti in giacca e cravatta assolutamente simili a lei, simili a me, che partecipano a quel processo e che erano mafiosi. Erano medici. Guttadauro, che è stato il capo mandamento di Brancaccio, era un primario nel principale ospedale palermitano. Quindi, non è che ci troviamo di fronte a tutti i Riina perché abbiamo quest’immagine del contadino. Quello era un contadino, sicuramente, infatti interpretava anche una rivolta del popolo di cosa nostra nei confronti dei vecchi padrini, che si erano arricchiti, che venivano chiamati «principi di Palermo» proprio per la loro eleganza, per il loro carattere anche forbito, ma avevano dimenticato le condizioni del popolo di cosa nostra, che è quello delle carceri, quello dei quartieri dei quali cosa nostra si occupava.
  Prima di tutto, quindi, non facciamo questo errore di considerare cosa nostra una specie di alleanza contadina. Non è così. Parliamo di professionisti, parliamo di persone dentro le professioni, che sono…

  WALTER VERINI . La zona grigia di Messina Denaro.

  MICHELE SANTORO , giornalista. Parliamo di Ciancimino.
  Il rapporto di questa organizzazione con la politica è sempre stato, continuamente, un rapporto di scambio. Quello che nego Pag. 29 – ripeto, fino a prova contraria, nel senso che non sono chiuso al fatto che si possa dimostrare il contrario – è che cosa nostra abbia agito come una sorta di sezione distaccata al servizio degli altri poteri. No. Era un potere con una sua identità. Questo è tutto.
  Gli scambi ci sono stati. Ho parlato anch’io di quando è nata Forza Italia e di dove è nata Forza Italia. Lei questo lo può riscontrare e vedrà che è assolutamente aderente alla realtà quello che le ho raccontato, però questo non vuol dire che erano loro la sezione di Forza Italia. Vuol dire che loro con i soldi entravano dentro la politica e cercavano di condizionarne gli esiti. Punto. Questo è quello che è avvenuto.
  Per quanto riguarda la procura, il punto non è che la procura dovesse accogliere la verità di Avola. Assolutamente. La procura poteva tranquillamente registrare queste dichiarazioni di Avola e aspettare che ci fossero dei riscontri in futuro. Il problema è la reazione della procura di Caltanissetta alle dichiarazioni di Avola, che – le ripeto – è avvenuta su un punto, cioè sul fatto che Avola dice che nel momento in cui è stata confezionata l’autobomba non c’era un uomo dei servizi segreti. È questo che io critico, non il fatto che non abbiano preso per buone quelle dichiarazioni. Io non ho mai chiesto che loro prendessero per buone e certificassero la verità. Dovevano, però, non scatenare una campagna, come hanno fatto fin dal primo momento. Vuol dire che si è toccato un nervo scoperto.
  Poi che Avola abbia spiegato che l’esplosivo non stava soltanto nel cofano, ma stava anche sotto il sedile del passeggero, che io sia andato a controllare le caratteristiche del buco, della voragine che ha creato lo scoppio, che corrispondono a questo racconto di Avola, che nessuno gli abbia fatto fare un confronto per capire se era veramente così esperto da poter Pag. 30 confezionare l’autobomba oppure no, questi sono altri fattori. Non so se sono stato chiaro.
  Riguardo a me, la rassicuro. Io ho avuto, nel corso della mia vita, qualche migliaio di minacce di morte. Non le ho portate mai alla questura, perché io voglio vivere da uomo libero. Questo le deve essere chiaro. Né ho scritto una lettera a Napolitano perché volevo la scorta. Non ci ho pensato nemmeno per un attimo. Tre volte mi hanno mandato dei proiettili in una busta, tre volte è stata evacuata via Teulada perché si minacciava la presenza del famoso veleno anti-giornalisti, all’epoca delle due torri. Mai mi hanno dato la scorta, perché non mi potevano dare la patente di «uomo delle istituzioni». E non la voglio. Ho vissuto tutta la vita senza questa patente.
  Avola, però, è un altro discorso. Avola rischia, perché se lo ammazzano può morire in una strada come un cane, e chi se ne importa, in fondo ha ucciso ottanta persone. Un morto in più. Questo, francamente, mi farebbe sentire responsabile, come mi sono sentito responsabile della morte di Libero Grassi. Sarebbe la seconda volta nella mia vita e questo sarebbe troppo.
  Mi ha chiesto altre cose. Il trojan no. Non si può mettere il trojan a dei giornalisti, caro senatore. Sa cos’è un trojan? La procura l’ha messo. Sulla base di quale notizia di reato? Questa era la mia lettera a Napolitano. Quale era la notizia di reato? Hanno scoperto che uno dei servizi segreti mi passava un plico per poi pubblicarlo? Questo significa depistare. Ci vuole un uomo che ti commissiona il depistaggio. Avevano una prova, un indizio di questo? No. Hanno letto un libro. Capisce la gravità di questa cosa? Adesso parliamo del libro, ma io vi ho esposto cose che sono successe dopo il libro. Del libro non me ne importa più niente. È già archiviato, da un certo punto di vista.

  PRESIDENTE . Prima di chiudere, ho un chiarimento da Russo e una domanda di Della Porta che vi faccio fare insieme perché so che dovete andare.

  WALTER VERINI . Presidente, posso dire una cosa sulla scorta? Io ho affetto e stima e bisogna tutelare tutte le persone, però se ipoteticamente lei – o altri – rischiasse qualcosa, va a fare la spesa al supermercato e le fanno un attentato, a rimetterci, oltre lei, sarebbe la cassiera e gli altri clienti. Quindi, la tutela non è solo per la persona, ma anche per il contorno.

  MICHELE SANTORO , giornalista. Va bene. Prefiero la muerte.

  RAOUL RUSSO . Onorevole Santoro, una precisazione. Lei ha ampiamente risposto alla mia domanda sulla parte dell’esclusione delle entità esterne, però io avevo fatto anche un altro passaggio. Lei pensa che questo suo libero pensiero, di basarsi esclusivamente sulla ricostruzione fattuale – lei non esclude a priori, ma dice semplicemente che non ci sono teoremi da difendere a oltranza –, sia stato all’origine di questo accanimento che lei facesse depistaggio e non semplicemente ricerca della verità? Quello che lei ha avuto, il trojan e quant’altro.

  COSTANZO DELLA PORTA . La mia è una domanda velocissima. Nella lettera al Presidente della Repubblica lei ha informato che vi siete rivolti a una grande agenzia internazionale specializzata per sottoporre – con il suo consenso, ovviamente – Maurizio Avola, che poi è l’oggetto della sua relazione di oggi, per ben due volte alla macchina della verità. Può dirci qual è stato l’esito?

  PRESIDENTE . Può rispondere a entrambi, così poi chiudiamo. Grazie.

  MICHELE SANTORO , giornalista. Staremo nei tempi.
  Parto dalla seconda, che ricordo meglio rispetto alla prima. C’è un’agenzia molto importante israeliana, perché loro sono i super specialisti riguardo a questo, che usa l’analisi meccanografica. Praticamente, uno dà loro la voce, loro la periziano e ti forniscono una loro analisi. Negli Stati Uniti questa non viene considerata una prova, ma viene considerato un indizio per poter portare avanti un’indagine. Questa ricerca – che poi è stata fatta sulla base di contatti con poliziotti che ci hanno indicato l’esistenza di questa agenzia israeliana – ha dato come esito che assolutamente Avola non mentiva, però non diceva tutta la verità. La sintesi estrema è questa. C’erano molte cose che lui nascondeva. Il suo era un racconto che loro non si sentivano di considerare falso. Questo è stato l’esito. Tuttavia, bisogna prenderlo con beneficio d’inventario. Ci potevano essere vari motivi per cui ho fatto questa cosa qui. Non è escluso anche il farne un uso magari più spettacolare, se vuole, che rientra comunque nel mio mestiere.
  Mi era stata chiesta un’altra cosa. Me la ricorda?

  PRESIDENTE . Gliela ricordo io. Se lei pensa che il fatto che non abbia mai voluto riconoscere le entità esterne sia il motivo per cui lei è stato spesso accusato di depistaggio.

  MICHELE SANTORO , giornalista. Io credo che la procura sia sinceramente convinta delle sue tesi, però la convinzione nelle sue tesi è stato un pregiudizio nell’accertare la verità delle dichiarazioni di Avola. Non penso che loro siano disonesti. Penso che siano onesti. Purtroppo, il fatto che i pubblici ministeri possano abusare del loro potere, ripeto, un pubblico ministero di Catania mi ha detto che è assolutamente legale. Mi auguro che voi, come rappresentanti del popolo italiano, invece, interveniate su questo elemento, perché, come avviene negli altri Paesi, i pubblici ministeri devono rispettare la legge.

  PRESIDENTE . Grazie mille.
  Buon lavoro a tutti.
  Dichiaro conclusa l’audizione.

  La seduta termina alle 14.55.

 

25.10.2024 𝐌𝐢𝐜𝐡𝐞𝐥𝐞 𝐒𝐚𝐧𝐭𝐨𝐫𝐨 𝐜𝐡𝐢𝐞𝐝𝐞 𝐚𝐮𝐝𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐚𝐥 𝐏𝐫𝐞𝐬𝐢𝐝𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐨𝐦𝐦𝐢𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐩𝐚𝐫𝐥𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐀𝐧𝐭𝐢𝐦𝐚𝐟𝐢𝐚

 

Le AUDIZIONI in COMMISSIONE ANTIMAFIA