Non è la prima volta che Salvo Palazzolo è oggetto di minacce per le sue inchieste riguardanti la riorganizzazione di Cosa nostra. Nel dicembre 2018, la squadra mobile di Palermo intercettò alcuni mafiosi del clan Inzerillo mentre discutevano di dare al cronista “due colpi di mazzuolo”: in quei giorni, Palazzolo stava raccontando il ritorno in Sicilia dagli Stati Uniti degli “scappati” della seconda guerra di mafia, dopo la morte di Totò Riina.
Nell’aprile 2020, un altro episodio. Il capomafia dello Zen Giuseppe Cusimano insultò pesantemente il cronista di Repubblica su Facebook (“Giornalisti peggio del Coronavirus”): il giovane boss, poi arrestato sei mesi dopo dai carabinieri, non aveva gradito l’articolo che svelava la sua distribuzione di generi alimentari agli abitanti della periferia palermitana durante il lockdown.
“Esprimo il mio sostegno al lavoro di Salvo Palazzolo – dice il presidente della commissione regionale antimafia Antonello Cracolici – Martedì, la commissione lo ascolterà per manifestare la sua solidarietà rispetto alle minacce subite e per fare il punto sulle scarcerazioni dei boss mafiosi”. Su X, interviene anche la presidente della commissione antimafia Chiara Colosimo: “Le inchieste di Palazzolo hanno infastidito Cosa nostra e questo dimostra l’importanza del suo lavoro. La Commissione antimafia – prosegue la presidente – ha stabilito di occuparsi del 4bis, che prevede i permessi premio e le misure alternative alla detenzione per capire quali iniziative possano essere intraprese per evitare che questo strumento, previsto dal nostro ordinamento, diventi potenzialmente pericoloso”. Messaggi di vicinanza anche da parte del presidente della Regione Renato Schifani e del presidente dell’Assemblea regionale Gaetano Galvagno. Il sindaco di Palermo Roberto ha fatto una nota: “Minacciare un giornalista significa mettere in pericolo non solo la libertà di stampa, ma la democrazia. Per questa ragione esprimo ferma condanna per le intimidazioni rivolte al cronista Salvo Palazzolo, che da sempre conduce la sua attività giornalistica con serietà e professionalità. A lui la solidarietà e il sostegno dell’amministrazione comunale, convinto che, insieme ai colleghi della redazione di Repubblica proseguirà il suo impegno per raccontare e denunciare con coraggio e determinazione i fatti, anche quelli legati alla criminalità organizzata e alle possibili infiltrazioni mafiose nella nostra società”.
A Palazzolo, sono arrivate tante manifestazioni di solidarietà. “Vicinanza e solidarietà non possono limitarsi a comunicati a dichiarazioni – dice Vittorio Di Trapani, presidente della Federazione nazionale della stampa – a chi minaccia deve arrivare un messaggio chiaro, che le denunce di Palazzolo sono le denunce di tutti noi, di tutti coloro che lottano contro le mafie”.
“Siamo accanto al collega Salvo Palazzolo – afferma l’Associazione siciliana della stampa con il Gruppo cronisti – ogni giorno con il suo lavoro di inchiesta contribuisce attivamente e coraggiosamente alla presa di coscienza nella società facendosi testimone di scomode verità che non possono essere taciute, come quella del ritorno in città dei boss. Le nuove minacce nei confronti del collega che lavora nella sede palermitana di Repubblica confermano un clima di fastidio crescente nei confronti dei cronisti che con il lavoro sui territori costituiscono un presidio di legalità”.
Bonura, il boss libero: “Se incontro qualcuno datemi l’ergastolo”. E al cronista dice: “Non scriva”
“I giornalisti sono sentinella dell’informazione – dichiara il presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia, Roberto Gueli – e quando fanno informazione danno fastidio. La nostra categoria deve essere compatta e respingere con fermezza gli attacchi al mittente. Esprimiamo la nostra vicinanza, il nostro sostegno e la nostra piena solidarietà al collega Salvo Palazzolo”.
Anche la Figec Cisal Palermo esprime preoccupazione per le nuove minacce nei confronti di Salvo Palazzolo, cui è stata rafforzata la vigilanza. “Esprimiamo solidarietà e la nostra vicinanza a Palazzolo, uno dei cronisti più impegnati nel raccontare il nuovo volto della mafia – sottolinea una nota della Federazione giornalismo editoria e comunicazione – e lo fa cercando di scavare sempre più a fondo, senza lasciarsi intimorire dalle attenzioni particolari più volte manifestate già in passato dai boss infastiditi dalle sue cronache. Segno che il collega fa bene il suo lavoro, offrendo chiavi di lettura nuove e originali che stimolano analisi e riflessioni su una città come Palermo in cui molti segnali fanno temere il ritorno a un passato buio che speravamo di esserci messi definitivamente alle spalle”.
All’inviato di Repubblica, solidarietà bipartisan da parte della politica: “Salvo Palazzolo, noto per la sua professionalità, dedizione e integrità, rappresenta un esempio di giornalismo serio e coraggioso – dice Carolina Varchi, parlamentare di Fratelli d’Italia, capogruppo in commissione giustizia – Recentemente, il giornalista di Repubblica è stato autore di una serie di approfondimenti su scarcerazioni di mafiosi che impongono attività di ulteriore controllo rispetto alle scelte della magistratura di sorveglianza, anche in considerazione dell’orientamento di questa maggioranza di governo, orientata per la permanenza di tutte le misure ostative a permessi e concessioni nei confronti di chi non prende le distanze dal proprio vissuto mafioso”.
Palermo, folla e campane alla messa per il boss. E poi le minacce del prete al cronista: “Lei la paga”
Enza Rando, senatrice del Pd, componente della commissione parlamentare antimafia, ricorda il lavoro di inchiesta di Palazzolo sui “permessi premio e le scarcerazioni dei boss”: “Un lavoro d’indagine prezioso – dice la senatrice – per accendere un faro nei sentieri oscuri in cui si dipana la fitta rete della criminalità organizzata. Un esempio di informazione libera, come sancito anche dalla nostra Costituzione”. La parlamentare del Pd aggiunge: “Sulla questione delle scarcerazioni dei boss ho presentato lo scorso anno un’interrogazione parlamentare al ministro Nordio che ancora attende una risposta. I gravi fatti che riguardano il lavoro di Salvo Palazzolo richiede una riposta urgente del governo”.
Il comunicato del Comitato di redazione
“Il cdr e tutta la redazione di Repubblica sono, come sempre, al fianco del collega Salvo Palazzolo, inviato della redazione di Palermo, di nuovo oggetto di minacce da parte di alcuni boss di Cosa nostra intercettati mentre commentano gli articoli pubblicati da Palazzolo sulle recenti scarcerazioni e permessi premio concessi ai mafiosi detenuti. Minacce che le autorità preposte hanno valutato seriamente tanto da indicare il collega come “oggetto di gravi ostilità”. A Palazzolo va la nostra totale solidarietà nel riaffermare che nessun giornalista di Repubblica si lascerà intimidire e verrà meno al suo dovere di raccontare la realtà dei fatti, quali essi siano”.
E’ intervenuto anche il Comitato di redazione del Giornale di Sicilia: “Quando un cronista è costretto a lavorare sotto scorta è come se venissero minacciate la libertà e la democrazia di un intero Paese. Ancora una volta a essere in pericolo è un giornalista che lavora in Sicilia, a Palermo. La notizia di un rafforzamento dei livelli di sorveglianza a Salvo Palazzolo, in servizio alla redazione palermitana di Repubblica, arriva per una inquietante coincidenza, alla vigilia dell’anniversario del delitto di Mario Francese, cronista di giudiziaria del Giornale di Sicilia, assassinato dalla mafia il 26 gennaio del 1979″. Il comitato di redazione del Giornale di Sicilia “si schiera al fianco del collega Palazzolo, invitandolo a continuare la sua attività di cronista impegnato sul fronte delle inchieste sulla mafia”. LA REPUBBLICA
Nuove minacce, rafforzata vigilanza per Salvo Palazzolo Assostampa e Gcs “Clima di fastidio per i cronisti che rappresentano presidio di legalità”
L’Associazione siciliana della stampa con il Gruppo cronisti siciliani esprime totale vicinanza al collega Salvo Palazzolo per il quale è stata rafforzata la vigilanza dopo nuove minacce dalla mafia. Nei confronti dell’inviato di Repubblica, che negli ultimi mesi sta conducendo un’inchiesta sui boss scarcerati che sono tornati a Palermo dopo lunghi periodi di detenzione, svelando anche i permessi premio concessi ad alcuni ergastolani condannati per omicidi e strage, nel corso di alcune indagini sono state rilevate quelle che gli inquirenti indicano come “gravi ostilità”.
Per Palazzolo che pure ha denunciato un fiorente giro di spaccio di droga sui canali Telegram e che più volte si è trovato nel mirino delle minacce di Cosa nostra per la sua attività giornalistica, adesso sono state rafforzate le misure di vigilanza da parte della Questura di Palermo
“Siamo accanto al collega Salvo Palazzolo – afferma il sindacato unitario dei giornalisti- che ogni giorno con il suo lavoro di inchiesta contribuisce attivamente e coraggiosamente alla presa di coscienza nella società facendosi testimone di scomode verità che non possono essere taciute, come quella del ritorno in città dei boss. Le nuove minacce nei confronti del collega che lavora nella sede palermitana di Repubblica confermano un clima di fastidio crescente nei confronti dei cronisti che con il lavoro sui territori costituiscono un presidio di legalità”. ASSOSTAMPA
QUANDO la signora AGNESE BORSELLINO decise di raccontare…
di SALVO PALAZZOLO
Un giorno di aprile del 2013, Agnese Piraino Borsellino ha deciso di uscire da casa. Nonostante fosse ormai costretta su una sedia a rotelle e i medici le avessero imposto cautela, per il terribile male che affliggeva il suo corpo. È uscita per incontrare i giovani che in corteo dal palazzo di giustizia erano arrivati davanti a casa sua, per esprimere solidarietà al sostituto procuratore Nino Di Matteo e ai magistrati di Palermo e Caltanissetta minacciati di morte per le loro indagini sulla trattativa mafia-stato e le stragi del 1992. A quei giovani Agnese Borsellino ha voluto affidare un messaggio: “Non ci fermeranno,” ha detto, “vogliamo sapere tutta la verità sulla morte di Paolo, Giovanni e di tutti gli altri martiri di Palermo”. E ha rassicurato Nino Di Matteo e il suo collega del pool Roberto Tartaglia: “Io farò di tutto perché la magistratura venga difesa dagli attacchi non solo della mafia, ma anche di certi uomini delle istituzioni”.
Agnese ha voluto ribadirlo per telefono anche ai magistrati di Caltanissetta che indagano sui misteri delle stragi, Nico Gozzo e Sergio Lari. Come se sentisse che non c’era più tempo. Come se temesse una deriva pericolosa nel paese. Poi, Agnese ha chiesto a tutti di recitare il Padre nostro. Salvatore, il fratello del giudice Paolo, si è inginocchiato accanto a lei.
Gli agenti di scorta hanno poggiato per terra le loro pistole e le loro mitragliette. Così, per il tempo di una preghiera, in quella strada di Palermo si è respirato il sogno di una città diversa. diversa.
Una città senza mafia, senza più armi e auto blindate, una città nuova.
Quella descritta spesso da Agnese nei messaggi inviati a un gruppo Facebook che porta il suo nome. Qualche mese fa, quel gruppo è nato per difenderla dopo le dichiarazioni di un generale dei carabinieri, Antonio Subranni, a proposito di una deposizione di Agnese Borsellino ai magistrati di Caltanissetta, che indagavano proprio sul ruolo di quell’ufficiale. Subranni aveva dichiarato in un’intervista al “Corriere della Sera”, il 10 marzo 2012: “Purtroppo, la signora Borsellino non sta bene in salute, mi dicono.
Forse un Alzheimer, non so quando cominciato…”. “Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino”,l’hanno chiamato quel gruppo nato sul social network.
Presto è diventato una grande piazza della resistenza, in un dialogo continuo fra Agnese e persone di tutte le età, che da nord a sud chiedono di conoscere la verità sulle stragi d’Italia.
In quel giorno di aprile, Agnese ha deciso che era venuto il momento di raccontare le sue tante battaglie, prima e dopo il 19 luglio 1992. “Per ridare entusiasmo e speranza al nostro paese,” mi ha detto con un sorriso grande. “Perché io non mi arrendo, devono saperlo gli uomini della mafia e gli uomini dello stato che conoscono la verità sulla morte di Paolo. Le mie parole vivranno per sempre, perché sono un gesto d’amore nei confronti del mio Paolo.” E ha iniziato il suo racconto.
La signora Agnese, ha voluto utilizzare gli ultimi mesi della sua vita per lasciare dietro di sé – ai figli, ai nipoti, alle persone che mantengono vivo il ricordo di Paolo Borsellino e, in definitiva, a tutti gli italiani – i ricordi di una vita accanto a un eroe civile, che era un uomo normale, innamorato della moglie, giocoso con i figli, timido ma anche provocatorio, generoso e indimenticabile.
Ho deciso di fare questo racconto una mattina, una di quelle mattine che avrebbero reso felice Paolo. Mentre sorgeva il sole, lui si accorgeva di un nuovo germoglio nelle piante sistemate con cura sul balcone della nostra casa di via Cilea. Sorrideva, rideva anche di gusto. Quante volte l’ho guardato strano, in quelle mattine. Gli chiedevo: “Paolo, a chi sorridi?”. Mi diceva: “Sorrido a fratello sole, perché oggi ci donerà un’altra . E accarezzava i nuovi germogli: “Sai, Agnese,” sussurrava, “sono un uomo fortunato, perché alla mia età riesco ancora a emozionarmi”. Si emozionava per le piccole cose della vita, nonostante i momenti difficili che viveva. Poi diceva: “In ciascuno di noi alberga il fanciullino di pascoliana memoria”. E cominciava un’altra giornata.
Intanto, i ragazzi si svegliavano, uno dopo l’altro. Manfredi e Fiammetta erano dei veri dormiglioni, amavano rigirarsi sotto le coperte. Lucia, invece, era già vestita.
Allora Paolo iniziava a battere le mani, e alzava le serrande delle stanze dei bambini. Era una festa che si ripeteva con il solito gioioso rituale. Paolo tirava via le coperte, magari apriva anche la finestra, primavera o inverno non faceva differenza, ma Fiammetta e Manfredi erano ancora aggrappati al cuscino. E protestavano per quel trattamento. Mi sembra oggi. Sento l’odore del caffè, che Paolo adorava. Sento la sua voce allegra mentre racconta le solite barzellette. A un certo punto, la voce si fa seria, Paolo chiede ai ragazzi delle cose di scuola.
Poi squilla il campanello di casa, sono gli uomini della scorta. Paolo mette sul fuoco un’altra caffettiera. Quegli agenti sono come dei figli per lui, li tratta con il massimo delle attenzioni. Dopo il caffè, ci saluta tutti con un bacio, ed esce velocemente, perché ci tiene ad arrivare in ufficio alle 8 in punto. Mentre Lucia, Manfredi e Fiammetta scorrazzano ancora per casa sistemando le ultime cose da mettere dentro lo zaino. “Sbrigatevi, si è fatto tardi,” dico all’allegra brigata. E intanto un sole bellissimo entra dalle finestre del salone di casa nostra. Sono una mamma felice, che non smette di sperare e di lottare in silenzio. I nomi che con Paolo abbiamo dato ai nostri figli sono proprio il simbolo della speranza e di un passato nobile che resta immortale, proiettato nel futuro: Manfredi, l’ultimo re di Sicilia; Lucia è la creatura di Alessandro Manzoni; Fiammetta è uno dei personaggi amati dal Boccaccio. Sento che Paolo è ancora qui con me, vivo. Aveva visto giusto mentre accarezzava i suoi germogli. Oggi sarà un’altra giornata bellissima. Con le battaglie di tante donne e tanti uomini che non si rassegnano.
Oggi aspetto soprattutto i miei nipotini: Agnese, Vittoria, Merope, Paolo, Fiammetta e Felicita. E un altro nipotino o nipotina, ancora non sappiamo, è nel grembo di Fiammetta. Le loro vocine allegre riempiranno questa casa. E mi sembrerà di sentire la voce di Paolo che accoglie a braccia aperte i suoi nipoti e a ognuno racconta una storia bellissima. Nessuno di loro ha conosciuto questo nonno così speciale. Ecco un altro motivo per cui ho deciso di scrivere, perché i miei bambini possano portare sempre nel cuore la gioia e la forza di nonno Paolo. Tutti i bambini del mondo dovrebbero crescere con la gioia e con la forza nel cuore. La gioia e la forza di una storia a cui si sono appassionati. Se non ce l’hanno ancora, proverò io a raccontargliela. dal libro “Ti racconterò tutte le storie che potrò” di Agnese Piraino Leto