STRAGE di CAPACI: il giudice smentisce la pista nera

 

 

 
Si sono sprecati anni e risorse a inseguire un’indagine già velleitaria per chi conosceva almeno le basi del modus operandi della mafia corleonese stragista. La “pista nera” sulla strage di Capaci del 23 maggio 1992– che costò la vita a Falcone, Morvillo e alla scorta – è nata da un’iniziativa della scorsa Procura nazionale, ripescando colloqui privi di valore probatorio dell’ex sostituto Gianfranco Donadio (già consulente nella scorsa commissione Antimafia) e rilanciata dall’allora procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, oggi commissario M5S della Antimafia.
Presentata dai media come “indicibile verità”, ipotizza il coinvolgimento della destra eversiva – a cominciare da Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale – nella progettazione ed esecuzione delle stragi del ’92.
La sua presenza a Palermo e i presunti legami con vertici di Cosa Nostra erano già emersi decenni fa in indagini della Procura di Caltanissetta, ma finirono in un fascicolo archiviato per manifesta fragilità. Eppure, come un déjà-vu, la pista nera ritorna ciclicamente, alimentata ogni volta da un documento “decisivo” che, alla prova dei fatti, non dimostra nulla.
Per comprendere appieno, è utile l’ordinanza di archiviazione a firma del Gip nisseno Santi Bologna. Il contenuto chiarisce come, purtroppo, si sia commesso l’errore di non vagliare l’attendibilità di alcuni personaggi con un metodo rigoroso, come ha insegnato Falcone; di come sia facile creare suggestioni; e di come, purtroppo e inevitabilmente, i clamori mediatici abbiano influenzato i collaboratori di giustizia, in particolare Francesco Onorato.
Non solo. Viene anche bacchettato l’avvocato Fabio Repici che, nel 2023, in commissione Antimafia, presieduta da Chiara Colosimo, ha dato per certo un episodio, in realtà completamente smentito.
Ma – e questo va detto – non è l’unico a fare errori di ricostruzione. Questo dovrebbe insegnare che, soprattutto dopo 33 anni, ha più senso studiare con i documenti, anziché affidarsi a ricostruzioni del tutto soggettive o – come ha chiesto il M5S tramite una memoria – portare a sentire in commissione personaggi che, dopo 30 anni, si ricordano dettagli mai detti prima e casualmente compatibili con le piste mediatiche del momento.
Oggi, affidarsi alla memoria dei protagonisti dell’epoca è deleterio per tutti. Che valore possono avere, se non contribuire alla strategia della confusione che regna in questo momento?
Partiamo dall’ipotesi della pista nera. In sintesi, come è stata anche raccontata mediaticamente da Report, durante la fase esecutiva della strage di Capaci ci sarebbe stata la presenza di Stefano Delle Chiaie.
Tutto ciò si basa sostanzialmente sul racconto di Maria Romeo, ex compagna del pentito Alberto Lo Cicero. Quest’ultimo, morto di cancro, non affiliato a Cosa Nostra (da ricordare che mentì dicendo di esserlo), ma autista del boss Tullio Troia. Nel racconto della Romeo, interrogata dall’allora procuratore generale Scarpinato, emerse la “certezza” del coinvolgimento del nero nella strage di Capaci. Non solo. Tutto ciò troverebbe riscontro nella famosa “nota Cavallo”: il documento presentato come prova decisiva di tale tesi.
Dopo quell’interrogatorio svolto innanzi alla procura generale di Palermo, il 3 dicembre del 2021, arriva la trasmissione di Rai3 Report, che il 30 maggio del 2022 porta la donna in prima serata, che svela – aggiungendo altri elementi rispetto all’interrogatorio che fece in precedenza – questa presunta verità.
La decisione del giudice di archiviare le indagini sulla cosiddetta “pista nera” nella strage di Capaci si regge proprio su questo pilastro centrale: l’inattendibilità strutturale di Maria Romeo, testimone chiave le cui dichiarazioni sono state smontate pezzo per pezzo. Un caso di cronaca giudiziaria che sembra uscito da un romanzo noir, tra contraddizioni, dettagli grotteschi e un’ossessione per lo status di collaboratrice di giustizia.
Come detto, tutto inizia nel dicembre 2021, quando lei depone innanzi all’allora procuratore generale di Palermo: racconta di aver incontrato Stefano Delle Chiaie solo due volte, alla fine degli anni ’80, mai a Palermo.
Una ricostruzione minimalista. Ma quando i magistrati le contestano la “nota Cavallo” – un appunto del 1992 dove lei stessa, sempre de relato, colloca Delle Chiaie in Sicilia prima della strage – il suo racconto si trasforma. Improvvisamente, afferma che Delle Chiaie fu a Palermo nell’aprile 1992, durante la campagna elettorale, per “contatti politici”. Aggiunge dettagli: una telefonata concitata con un misterioso “Mario”, un sopralluogo a Capaci per procurarsi esplosivi, persino un incontro tra Delle Chiaie e il boss Mariano Tullio Troia. Ma ogni nuovo passaggio si scontra con le versioni precedenti.
Il colpo di scena arriva nel 2022: in un’intervista a Report, allarga ulteriormente il quadro, rivelando che il presunto incontro tra Paolo Borsellino e il suo ex compagno Alberto Lo Cicero – presentato come informatore – sarebbe durato “dalle 19 a mezzanotte”, con rivelazioni operative sulla strage. Peccato che pochi mesi prima, alla Procura generale, avesse parlato di un colloquio di “10 minuti” senza dettagli.
A minare ulteriormente la sua credibilità sono i narrati grotteschi, privi di qualunque riscontro. Come l’episodio della festa di cresima di Tommaso Natale, dove un Totò Riina camuffato da “stalliere” avrebbe baciato la mano al boss Troia, sotto gli occhi di decine di invitati. Una scena definita dal gip Bologna “degna di un film di Ciprì e Maresco”. O come le audioregistrazioni mai ritrovate: la Romeo giura di aver nascosto un registratore sotto il divano di casa, catturando conversazioni tra Delle Chiaie, l’avvocato Menicacci e suo fratello. Cassette che avrebbe consegnato a un maresciallo dei Carabinieri, “Ramon”. Ma l’ufficiale nega, e il tecnico citato per i duplicati smentisce: “Non ho mai lavorato per lei”.
Non manca il fatto che i tentativi di verificare le sue dichiarazioni si infrangono su bugie documentali. Il numero che attribuisce a “Mario” risulta attivato solo nel 2002, dieci anni dopo i fatti.
Le presunte rivelazioni su Delle Chiaie a Borsellino? Non trovano traccia negli atti, né nelle memorie dei colleghi del magistrato. Dietro le incongruenze affiora un profilo personale turbolento.
I Carabinieri la descrivono come una donna con problemi di alcolismo, ossessionata dall’ottenere lo status di collaboratrice. Dettagli che gettano luce sulle sue motivazioni strumentali, aggravate dal fatto che molte “rivelazioni” esplodono solo dopo la morte di Lo Cicero, quando non può più smentirla.
L’ordinanza non usa mezzi termini: la donna ha costruito una trama da romanzo, fondendo elementi veri (la relazione con Lo Cicero, i contatti del fratello con ambienti neofascisti) con invenzioni funzionali a ottenere visibilità e protezione. Un caso di mitomania giudiziaria, dove il confine tra realtà e fantasia si dissolve in un crescendo di dettagli drammatici, mai verificabili.
Tutti i maggiori pentiti che hanno partecipato alla strage di Capaci smentiscono categoricamente la presenza dei neofascisti.
Tutti tranne Francesco Onorato, che per la procura nissena è credibile. Invece no. Come sottolinea il gip, è stato escusso in data successiva al clamore mediatico-giudiziario suscitato da due servizi televisivi andati in onda da Report. Inutile dire che la suggestione è evidente. E non sarebbe la prima volta.
Infine, il gip ricorda il caso di Alberto Volo, neofascista già interrogato, vagliato e infine bollato come mitomane dallo stesso Falcone, come si può leggere nella requisitoria del 9 febbraio 1991 per gli omicidi Reina, Mattarella, La Torre e Di Salvo. Un ulteriore monito sul rischio di credere a storie che, più che alla verità, servono a nutrire la confusione. A chi giova? IL DUBBIO

Strage di Capaci, archiviata l’inchiesta sulla ‘pista nera’


Ci sono voluti due anni per sviluppare l’ultimo capitolo di indagine sulla bomba di Capaci.
E, adesso, la procura di Caltanissetta è arrivata a una conclusione ben precisa: “Nella fase ideativa ed esecutiva della strage del 23 maggio 1992 non ci fu il coinvolgimento di soggetti collegati ad ambienti della destra eversiva tra cui il noto Stefano Delle Chiaie, uno dei fondatori della formazione politica “Avanguardia nazionale”, della cui presenza a Palermo in epoca antecedente alle stragi del 1992 erano emerse tracce”.
Il gip di Caltanissetta Santi Bologna ha condiviso le considerazioni del pool coordinato dal procuratore Salvatore De Luca e dell’aggiunto Pasquale Pacifico, archiviando il fascicolo. Lo scrive l’edizione di Palermo di Repubblica.
“È certo – ha scritto il giudice nel provvedimento depositato il 23 aprile scorso – che nessun elemento utile a ricostruire un ruolo di Delle Chiaie nella strage di Capaci possa trarsi dalle dichiarazioni dei testimoni ascoltati”. A chiamare in causa Stefano Delle Chiaie era stato l’ex brigadiere dei carabinieri Walter Giustini, che sosteneva di aver saputo dell’estremista di destra dal mafioso Alberto Lo Cicero. Anche la moglie di Lo Cicero, Maria Romeo, aveva sostenuto di aver ricevuto dichiarazioni importanti, a proposito di incontri fra Delle Chiaie e il boss Mariano Tullio Troia, nella primavera del 1992.
La donna aveva addirittura parlato di un “sopralluogo” di Delle Chiaie e di Alberto Lo Cicero a Capaci. Maria Romeo ha parlato anche di un colloquio fra Lo Cicero e Paolo Borsellino, al palazzo di giustizia di Palermo dopo la strage Falcone. «Lo Cicero mi disse di aver riferito a Borsellino che aveva accompagnato Delle Chiaie per un sopralluogo a Capaci, insieme a un altro soggetto”.Nei mesi scorsi, Maria Romeo aveva pure rilasciato un’intervista a Report su questi temi. Ma, adesso la procura di Caltanissetta bolla come inattendibili le dichiarazioni della donna, e anche quelle dell’ex brigadiere Giustini.La richiesta di archiviazione è firmata non solo dai sostituti procuratori nisseni Nadia Caruso, Davide Spina e Claudia Pasciuti, ma anche dai sostituti procuratori nazionali Domenico Gozzo e Francesco Del Bene, che sono stati applicati al fascicolo. ANSA


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