

L’anniversario dell’attentato a Falcone
Fiammetta Borsellino ha rotto ieri il rito e le ipocrisie che circondano la commemorazione di Giovanni Falcone.
Le accuse di Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo, allo Stato – e in particolare alla magistratura di Palermo – sono state molto complesse ma anche brucianti.
Ha parlato nel corso di una cerimonia in ricordo della strage che giusto 33 anni fa costò la vita a Giovanni Falcone, a sua moglie Francesca Morvillo e a cinque agenti della scorta.
Ha chiesto verità. E polemicamente ha osservato che nel corso delle commemorazioni ufficiali questa parola – verità – non è stata pronunciata da nessuno. E’ stata la grande assente.
Fiammetta Borsellino ha definito le indagini condotte dalla magistratura sull’uccisione di suo padre (e anche qui sullo sterminio della scorta) il più grande depistaggio della storia italiana, ha detto che questo depistaggio è stato condotto da chi invece aveva il dovere istituzionale di cercare la verità, ha mostrato il suo disprezzo per quei magistrati che indagano in modo fallimentare sulla morte di suo padre, e ora, ai processi e nelle inchieste che sono in corso, rispondono solo: “non ricordo”.
Forse nella sua denuncia ha polemizzato anche col presidente della Repubblica, che aveva parlato in mattinata dei successi nella lotta alla mafia dopo il 1992. Lei ha osservato: bene parlare dei successi, ma bisogna parlare anche degli insuccessi e dei punti che ancora sono oscuri.
Fiammetta Borsellino ha perfettamente ragione. In fondo chiede, credo di poter dire, una sola cosa: che si cerchi la verità invece di fare della retorica antimafia – come si è fatto in questi anni – una clava di lotta politica che non ha niente a che fare con la lotta a Cosa nostra.
In questi mesi la commissione antimafia del Parlamento ha compiuto degli sforzi per cercare di rimettere insieme dei brandelli di verità. Affiancando il lavoro difficile di un pezzo di magistratura siciliana, che finalmente sta provando a ricostruire i fatti di quegli anni e a trovare i responsabili dei depistaggi, soprattutto all’interno della magistratura di Palermo. Quella che Borsellino chiamava il”nido di vipere” e che aveva indicato come mandante o co-mandante di quello che sarebbe stato – lui lo immaginava anzi ne era certo – il suo omicidio.
Contro il lavoro che sta compiendo la commissione antimafia però si è già mossa la macchina da guerra del partito dei Pm e della sua rappresentanza parlamentare.
Loro vogliono che sia steso un velo. Che non si ricerchino le responsabilità. Che si faccia silenzio sul fatto che l’unico continuatore dell’opera di Falcone e Borsellino, e cioè il generale dei carabinieri Mario Mori (l’uomo che fece arrestare Riina), fu preso di mira dalla magistratura, accusato di cose infami, processato almeno sei volte e sempre assolto. Inutile nasconderla questa storia, cioè la storia del processo sulla presunta “trattativa stato-mafia”, che fu il padre di tutti i depistaggi, e che aveva vari obiettivi – nessuno di ricerca di verità – sia politici sia di annientamento di figure chiavi nella lotta alla mafia come quella del generale Mori. Alla “compagnia dell’antimafia” ha sempre dato molto fastidio che ci fosse, fuori della “compagnia”, qualcuno che la lotta alla mafia la faceva davvero.
Poi, in questo anniversario si dovrebbe parlare anche del perché una delle inchieste più importanti avviate da Falcone, e cioè l’inchiesta su mafia e appalti, che aveva prodotto un dossier di grande importanza, fu smembrata, archiviata, sottratta a Paolo Borsellino che voleva portarla avanti.
Probabilmente è proprio dal blocco di quella inchiesta che è nata l’impossibilità di dare un colpo mortale a Cosa nostra e alle sue ramificazioni in un pezzo di imprenditoria non siciliana ma nazionale.
Ora che sono passati 33 anni sarà possibile riprendere il cammino interrotto? Può darsi. Ci sono dei magistrati molto bravi e coraggiosi impegnati in questa battaglia. Ma gli ostacoli politici che incontreranno saranno mostruosi. Sì, sì, i Cinque Stelle. Ma i Cinque Stelle sono solo l’avanguardia: c’è un pezzo assolutamente maggioritario della politica che non vuole la verità, e manda avanti i Cinque stelle. Piero Sansonetti L’Unità 25.5.2025