Patrizio Peci parlò e iniziò la fine del terrorismo rosso

 

1° aprile 1980 :  Patrizio Peci, capo  della colonna torinese delle Brigate rosse, rende alla magistratura  un interrogatorio che innesca il crollo verticale delle Br e di Prima Linea, l’altra banda armata che aveva insanguinato per anni l’Italia.  Un evento di portata storica eccezionale che vale la pena di ricordare 40 anni dopo.

Peci viene arrestato a Torino il 28 febbraio 1980, giovedì grasso. All’inizio si dichiara prigioniero politico, ma poi dal carcere di Cuneo filtra la notizia che potrebbe pentirsi. Si scatena la bagarre fra corpi dello stato per “mettere le mani” su Peci e gestirlo. Sembra che i servizi volessero farlo evadere con un elicottero: follia pura. Invece il  generale dalla Chiesa, responsabile del Nucleo speciale antiterrorismo – inspiegabilmente soppresso nel 1975 ma “riesumato” dopo il sequestro Moro – bussa al mio ufficio (come Giudice istruttore mi occupavo da tempo di terrorismo “rosso”)  e ottiene – in “esclusiva” –  l’autorizzazione per andare in carcere a parlare con Peci. 

Inizialmente il ruolo di Peci è quello di confidente dei Carabinieri,  non ancora  collaboratore di giustizia. In base alle sue confidenze i CC muovono a colpo sicuro  e operano alcuni arresti a Torino e  Biella.  Qui,  davanti ad una cascina, vengono   dissotterrati  numerosi bidoni pieni zeppi di  materiale brigatista e soprattutto di  armi. Tra queste il revolver “Nagant 7,62”  sempre impiegato – come fosse un marchio di fabbrica – nella miriade di attentati (omicidi e “gambizzazioni”) commessi dalle Br a Torino. Nel processo che si tiene a Biella i proprietari della cascina  sostengono che le armi erano state sotterrate a loro insaputa. E così finiscono  per essere assolti, perché Peci non “esisteva” ancora: le sue confidenze non erano processualmente utilizzabili. 

Intanto però le dichiarazioni confidenziali di Peci proseguono e si deve a lui l’indicazione a Genova, in via Fracchia, di una base Br dove la notte del 28 marzo 1980  irrompono i CC . Nella sparatoria uno di loro rimane gravemente ferito  e  quattro brigatisti vengono  uccisi. Con il suo tragico e doloroso carico di morti la sparatoria di Genova mette profondamente in crisi Peci, che vorrebbe mollare tutto. Ci volle un gran fatica  per convincerlo a non abbandonare la strada della verità, anche se dura ( il suo pentimento scatenerà il sequestro e l’esecuzione del fratello Roberto, una rappresaglia delle Br di tipo nazista).

 Nel corso di un trasferimento  al Carcere di Pescara Peci fa presente ai CC di voler essere interrogato dalla magistratura.  Avvertiti alle 6 del mattino, subito ci recammo (eravamo in tre) a Cambiano, un comune della provincia torinese.  Per  48 ore filate ci chiudiamo con Peci in una stanza della caserma del posto . Pochi panini e molti caffè, ma sempre dentro l’ufficio. Volevamo registrare tutto quel che Peci sapeva nel più breve tempo possibile, per poterlo “sviluppare”  sfruttando al massimo il fattore sorpresa. 

Chiediamo a Peci di limitarsi all’essenziale: elenco completo dei militanti Br, con indicazione del luogo dove trovarli e del “nome di battaglia”; per ogni attentato l’elenco e il ruolo  di chi vi aveva preso parte; infine il disegno di una piantina dei luoghi, indicando per ciascun componente del commando l’armamento, la posizione sul terreno, gli spostamenti. 

Ogni foglio di verbale compilato veniva consegnato al generale dalla Chiesa che aspettava fuori come… un padre in attesa di un parto.  Con il nostro coordinamento, avevano così inizio in tempo reale le  attività di riscontro  e approfondimento delle dichiarazioni di Peci che porteranno  all’arresto di tutti i brigatisti della colonna torinese e non solo.

Leggendo il verbale di Peci del 1° aprile, molti sono rimasti colpiti dalla freddezza, quasi ragioneristica, delle sue drammatiche rievocazioni. In realtà eravamo  stati noi a incalzarlo pretendendo sintesi e rapidità massime. L’apparente indifferenza di Peci  agli orrori che stava raccontando fu quindi  “colpa” nostra. Colpa della frenesia di acquisire, senza fronzoli, il materiale necessario per poter partire subito. 

I racconti dettagliati di Peci  non sono più confidenze  inutilizzabili ai fini del processo, ma vere e proprie prove, valide in ogni sede processuale. La password per entrare nei segreti delle Br e smontarli.  Causa, inoltre, di un’emorragia  inarrestabile per il pentimento a catena di moltissimi militanti. 

Peci accenna anche  ad  un “piellino” di Torino in procinto di entrare nelle Br.  Anche costui ( indentificato in Roberto Sandalo e arrestato) collabora. E parte la slavina di pentiti  che distruggerà Prima linea. Le confessioni di Peci risultano pertanto fondamentali anche per la sconfitta di Pl.

Per concludere, merita ricordare  che il verbale di Peci  dell’1/2 aprile 1980 inizia così: “Non credo più nella lotta armata, ne voglio uscire per crearmi una nuova vita ed impedire altri morti. Collaboro anche perché il generale dalla Chiesa mi ha prospettato la possibilità di una legge in favore di chi collabora”.  La prova evidente che Peci e gli altri pentiti parlano, prima ancora  dell’emanazione della legge che riconoscerà loro vari vantaggi, perché sono politicamente e psicologicamente “scoppiati”, dopo la conclusione del processo di Torino ai capi storici delle Br ( nonostante l’ enorme volume di fuoco impiegato per impedirlo: la lotta armata non si processa…) e dopo il fallimento “politico” del sequestro Moro. Gian Carlo Caselli