Trentatré anni sono passati e il dolore bruciante non si placa: notti insonni, lacrime trattenute e un lutto mai davvero compiuto, soffocato dalle inchieste giudiziarie che si rincorrono senza fine.
In questo mare di tensione, Lucia, Fiammetta e Manfredi, figli di Paolo Borsellino, camminano a testa alta, custodi di una memoria rispettosa delle istituzioni. Sul fronte opposto esplode il caos: fanatismi, accuse scomposte e tesi sempre mutevoli, come onde in tempesta.
In questo mare di tensione, Lucia, Fiammetta e Manfredi, figli di Paolo Borsellino, camminano a testa alta, custodi di una memoria rispettosa delle istituzioni. Sul fronte opposto esplode il caos: fanatismi, accuse scomposte e tesi sempre mutevoli, come onde in tempesta.
Oggi, 19 luglio 2025, la commemorazione in via D’Amelio raduna migliaia di persone perbene, ignare di essere pedine di un copione già scritto: si deresponsabilizza in primis chi ha contribuito al mascariamento e isolamento in Sicilia, terra in cui Cosa Nostra ha prosperato, e si scaricano le colpe su Roma, sui vertici politici, sullo Stato. Così si offre alla mafia l’alibi che da sempre attende.
Ma non solo.
Come già all’anniversario di Capaci, anche oggi le celebrazioni in via D’Amelio – soprattutto quelle “alternative” – diventano palcoscenico inadeguato per guardare davvero a quei fatti: spesso tradiscono il ricordo, snaturano il senso di chi vogliamo onorare.
«Retorica aiutando e spirito critico mancando», annotava Sciascia a proposito della battaglia culturale contro la mafia. Ricordare dopo quasi tre quarti di secolo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, osservando la realtà del nostro Paese come ancora attanagliata dalla presenza pervasiva della organizzazione mafiosa che i due eroici magistrati hanno combattuto con efficacia a prezzo della loro vita, non rende certo loro quello che meritano. Piuttosto, li riduce a “eroi gentili” ma inutili sognatori: ed è tutto ciò che non furono. Questo velleitarismo appartiene piuttosto a una stagione successiva dove si sono costruite tesi del tutto inconsistenti, ma di grande impatto mediatico. E per quanti danni possa aver causato non ha potuto inficiare i risultati concreti ottenuti con un prezzo così elevato.
Non si tratta solo di un problema di buona creanza nei confronti dei celebrati, ma di analisi razionale dei fatti attraverso una lettura empiricamente verificabile.
Potrebbe bastare la cronologia. Ricordare che sono passati 33 anni dalla stagione delle stragi di mafia e dei “delitti eccellenti” comporta automaticamente la considerazione che ne sono trascorsi 32, non un battito di ciglia, senza che il fenomeno si sia ripresentato.
Certo la mafia esiste ancora, e l’attuale Procura di Palermo ha sgominato sia i “vecchi” — Buscemi e Bonura — nostalgici di quel passato potentissimo, sia i “nuovi”, quei giovani di Cosa Nostra che si sono adattati al business del presente.
Nulla, però, ricorda quegli anni in cui i Corleonesi scelsero la strategia terroristica mafiosa, né la truce guerra di faide che consegnò Riina al vertice del terrore. Eppure sembra che siamo rimasti fermi agli anni ’90, rispondendo con le logiche emergenziali del 41 bis, mentre gli strumenti devono essere nuovi e adeguati al presente.
Potrebbe bastare la cronologia. Ricordare che sono passati 33 anni dalla stagione delle stragi di mafia e dei “delitti eccellenti” comporta automaticamente la considerazione che ne sono trascorsi 32, non un battito di ciglia, senza che il fenomeno si sia ripresentato.
Certo la mafia esiste ancora, e l’attuale Procura di Palermo ha sgominato sia i “vecchi” — Buscemi e Bonura — nostalgici di quel passato potentissimo, sia i “nuovi”, quei giovani di Cosa Nostra che si sono adattati al business del presente.
Nulla, però, ricorda quegli anni in cui i Corleonesi scelsero la strategia terroristica mafiosa, né la truce guerra di faide che consegnò Riina al vertice del terrore. Eppure sembra che siamo rimasti fermi agli anni ’90, rispondendo con le logiche emergenziali del 41 bis, mentre gli strumenti devono essere nuovi e adeguati al presente.
Ma torniamo alla manifestazione odierna.
La lotta alla mafia si è trasformata in un teatrino di opposizione politica, capace paradossalmente di darle nuova linfa invece di spegnerla.
A illuminare il corto circuito è proprio Giovanni Falcone, che a pagina 61 del suo libro scritto con Marcelle Padovani, ricordava come per vent’anni l’Italia sia stata «governata da un regime fascista in cui ogni dialettica democratica era stata abolita», fino al monopolio di un unico partito, la Democrazia Cristiana, che in Sicilia – pur con alleati occasionali – ha dettato legge fin dal giorno della Liberazione. Eppure, avvertiva Falcone, anche chi si opponeva alla mafia non sempre era all’altezza, confondendo la battaglia politica contro la DC con le indagini giudiziarie su Cosa Nostra o cullandosi in pregiudizi: «Contro la mafia non si può far niente fino a quando al potere ci sarà questo governo con questi uomini». Una denuncia coraggiosa e impopolare all’epoca, che oggi risuona con drammatica attualità.
La lotta alla mafia si è trasformata in un teatrino di opposizione politica, capace paradossalmente di darle nuova linfa invece di spegnerla.
A illuminare il corto circuito è proprio Giovanni Falcone, che a pagina 61 del suo libro scritto con Marcelle Padovani, ricordava come per vent’anni l’Italia sia stata «governata da un regime fascista in cui ogni dialettica democratica era stata abolita», fino al monopolio di un unico partito, la Democrazia Cristiana, che in Sicilia – pur con alleati occasionali – ha dettato legge fin dal giorno della Liberazione. Eppure, avvertiva Falcone, anche chi si opponeva alla mafia non sempre era all’altezza, confondendo la battaglia politica contro la DC con le indagini giudiziarie su Cosa Nostra o cullandosi in pregiudizi: «Contro la mafia non si può far niente fino a quando al potere ci sarà questo governo con questi uomini». Una denuncia coraggiosa e impopolare all’epoca, che oggi risuona con drammatica attualità.
LA GENESI DELLE STRAGI
Calandoci nella genesi delle stragi mafiose, si perde spesso di vista la concretezza. È vero che ora emerge con chiarezza il ruolo degli appalti, ma subito lo si minimizza, relegandolo a concausa all’interno di un disegno più ampio. Ma, come insegnarono Falcone e Borsellino, la mafia ha perseguito da sempre un solo obiettivo: la sopravvivenza dell’organizzazione stessa.
I problemi politici non la sfiorano finché non percepisce una minaccia diretta al suo potere o alle sue fonti di guadagno. Bastava eleggere amministratori e politici “amici” e, talvolta, infilare membri dell’organizzazione nelle istituzioni. Così poteva indirizzare la spesa pubblica, far approvare leggi a vantaggio dei suoi interessi e bocciare quelle pericolose per il suo giro d’affari.
La presenza di amministrazioni comunali docili valeva a evitare un possibile freno alla sua espansione. Dal punto di vista delle indagini, la mafia aveva a disposizione una tale ricchezza economica in grado di fermare e far affossare le inchieste giudiziarie scottanti. È evidente che era la mafia a dettare le condizioni ai politici, e non il contrario.
I problemi politici non la sfiorano finché non percepisce una minaccia diretta al suo potere o alle sue fonti di guadagno. Bastava eleggere amministratori e politici “amici” e, talvolta, infilare membri dell’organizzazione nelle istituzioni. Così poteva indirizzare la spesa pubblica, far approvare leggi a vantaggio dei suoi interessi e bocciare quelle pericolose per il suo giro d’affari.
La presenza di amministrazioni comunali docili valeva a evitare un possibile freno alla sua espansione. Dal punto di vista delle indagini, la mafia aveva a disposizione una tale ricchezza economica in grado di fermare e far affossare le inchieste giudiziarie scottanti. È evidente che era la mafia a dettare le condizioni ai politici, e non il contrario.
Attenzione. Come spiegava Falcone, questo non significa che Riina fosse incapace di fare politica. Al contrario, l’ha praticata a modo suo, violento e spiccio, assassinando chi gli dava fastidio: Piersanti Mattarella, presidente della Regione Siciliana e democristiano, nel 1980; Pio La Torre, deputato comunista e promotore della legge che porta il suo nome, nel 1982; e Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia Cristiana, nel 1979. Questi delitti “eccellenti”, insieme alle stragi siciliane e continentali del 1993, hanno alimentato l’idea del “terzo livello”, secondo cui al di sopra di Cosa Nostra esisterebbe una rete composta da massoni, servizi segreti, ministri e forze eversive.
Si perde tempo. E infatti una delle conseguenze è scoprire, come ha recentemente rivelato il procuratore capo Salvatore De Luca al giornalista Roberto Ruvolo del Tg regionale, che esistono faldoni di documenti relativi a Capaci e a Via D’Amelio, lasciati a marcire negli scantinati. Tanto di cappello alla Procura di Caltanissetta, che ora li sta recuperando tutti. Ma già questo dimostra che, mentre per quasi tre quarti di secolo si è perso tempo inseguendo mandanti esterni, ci si è dimenticati delle indagini capillari che Borsellino stava conducendo sulla morte di Falcone e sui delitti eccellenti, come quello del maresciallo Guazzelli.
Questo è il vero discorso unitario e non parcellizzato. Eppure, “mafia-appalti” finisce per essere relegata a piccola concausa, dimenticando che in quegli anni i corleonesi avevano puntato tutto su quel fronte.
Questo è il vero discorso unitario e non parcellizzato. Eppure, “mafia-appalti” finisce per essere relegata a piccola concausa, dimenticando che in quegli anni i corleonesi avevano puntato tutto su quel fronte.
Era quello che pensava Falcone, ed era quello che perseguiva Paolo Borsellino. Quest’ultimo, come rivelò il pentito Giuffrè, era diventato ancora più pericoloso di Falcone sul fronte degli appalti. Però alla fine, il rischio che questa causa venga parcellizzata è di nuovo all’orizzonte. Ma è inutile.
In Via D’Amelio, viene ricordato Borsellino con le ultime tesi: siamo passati da Borsellino ucciso per la trattativa Stato-mafia a Delle Chiaie, detto “er caccola”.
Forse è arrivato il momento di mettere un punto, prima di arrivare a ipotizzare i dischi volanti. Credo che il modo migliore per rispettare i morti — e in particolare la grande statura di Falcone e Borsellino — sia lasciar scivolare la memoria nell’oblio. E lasciare che i figli elaborino in santa pace un lutto che ancora li avvolge dal dolore.
Non meritano altre sofferenze aggiuntive per il solo fatto di non sposare quelle piazze occupate da personaggi che hanno creato la new age dell’antimafia. IL DUBBIO Damiano Aliprandi 19 luglio 2025
Forse è arrivato il momento di mettere un punto, prima di arrivare a ipotizzare i dischi volanti. Credo che il modo migliore per rispettare i morti — e in particolare la grande statura di Falcone e Borsellino — sia lasciar scivolare la memoria nell’oblio. E lasciare che i figli elaborino in santa pace un lutto che ancora li avvolge dal dolore.
Non meritano altre sofferenze aggiuntive per il solo fatto di non sposare quelle piazze occupate da personaggi che hanno creato la new age dell’antimafia. IL DUBBIO Damiano Aliprandi 19 luglio 2025