19 luglio 2025
Oggi ricordiamo Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Troppe commemorazioni della strage di via D’Amelio restano velate dall’ipocrisia e dalla retorica, perché rimuovono le circostanze ambientali in cui maturò quel terribile attentato.
Parafrasando Bertolcht Brecht si può dire che più sventurata di una terra che ha bisogno di eroi, c’è solo la terra che gli eroi li ha (avuti) e ne ha disperso l’insegnamento.
Paolo Borsellino è stato certamente un eroe perché era un uomo puro, un marito e un padre che non ha pensato “al tengo famiglia” ma che è andato fino in fondo al suo sacrificio, nonostante tutto, nella quasi certezza di dover morire.
Ma c’è dell’altro e non dobbiamo nasconderci.
Il Dott. Borsellino ha vissuto, in parte, lo stesso clima ostracizzante che aveva patito Giovanni Falcone, anche e soprattutto all’interno della magistratura.
Per fare un esempio, i giuda che si erano affrettati a prendere in giro Giovanni Falcone (per citare il discorso del giudice il 25.06.1992 a Casa Professa) erano gli stessi giuda che avevano accusato Paolo Borsellino di essersi preso una “Procura al mare” (con riferimento all’esperienza marsalese del giudice).
Ecco perché se dovessi scegliere un’immagine di Paolo Borsellino userei quella foto in bianco e nero in cui egli è un puntino in primo piano da solo nei corridoi del palazzo di giustizia di Palermo.
Io un ricordo personale di Paolo Borsellino non lo possiedo perché i magistrati della mia generazione nel 1992 erano solo dei bambini, però voglio ricordare un episodio che lega l’esperienza giovanile del Dott. Borsellino al distretto in cui presto servizio e che ci fa toccare con mano il non comune tratto umano del Giudice (come testimonia, altresì, il suo rapporto con Rita Atria o Piera Aiello).
Era il 30 giugno 1967 e nel suo discorso di commiato da Presidente del Tribunale di Enna Nello Sciacca disse:
“Un discorso a parte merita Paolo Borsellino.
Qualcuno ha insinuato che egli è stato il mio giudice prediletto… Il fatto è che egli – tranne che nel campo del diritto – resta ancora terribilmente minorenne, talché in me si ridestano, nei suoi confronti, i mai sopiti istinti paterni. E adesso, lasciando Enna, io, ve lo confesso, tremo per lui e lo raccomando a tutti voi che mi ascoltate.
Cercate, per esempio, di spiegargli che Enna, anche se non è una città polare, non è neppure una città tropicale, con la conseguenza che in gennaio o febbraio non si può andare in giro senza cappello e pastrano.
Cercate di spiegargli pure quante sigarette si possono impunemente fumare in un giorno, quanto pepe vada sparso sulle pietanze ed infine come non sia del tutto indispensabile, uscendo di casa, lasciare la luce accesa, la porta spalancata e tutti i rubinetti aperti”
Se dal piano umano ci spostiamo al piano giurisdizionale è una sola la domanda che rimbomba nella testa di ognuno di noi ogni 19 luglio.
Sappiamo tutto di via D’Amelio?
La risposta è no.
Quello che oggi ancora non sappiamo o che sappiamo già, ma che non riusciamo a collegare, si può raggiungere solo seguendo il rigoroso metodo di ricostruzione e di lettura degli eventi che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ci hanno insegnato.
A cominciare dalle indagini (quelle che ancora si possono svolgere tenuto conto del lungo tempo trascorso) che sono estremamente complicate (perché presuppongono uno studio e un approfondimento preliminare quantitativamente e qualitativamente immane) e che devono essere svolte a tutto tondo, senza mai innamorarsi di tesi precostituite e avendo sempre il coraggio di rimettere tutto in discussione.
Ancora, come ebbe a dire Borsellino in un’intervista alla televisione di stato svizzera nel 1992 non bisogna mai dimenticare il momento della “verifica” dibattimentale.
Se il metodo di ricostruzione dei fatti basato sulla centralità del pubblico dibattimento quale sede privilegiata di formazione della prova è ritenuto il più capace di garantire elevati risultati conoscitivi, non ha senso rinunciare ai massimi sistemi di accertamento della verità proprio nei procedimenti che di verità hanno più bisogno.
Se perdiamo di vista questi aspetti apriamo la strada agli errori giudiziari e alla tentazione di forzature e abusi.
Perché non dimentichiamoci mai che l’ingiustizia è circolare e, come ci ricorda Sciascia nel “Il contesto”, la punizione ingiusta dà luogo all’illegittimo castigo comminato dai giudici e sfocia nella sottoposizione al sacrificio anche di chi si azzarda a voler dimostrare il vizio insito nei precedenti atti sanzionatori.
Paolo Borsellino ci ha insegnato il rifiuto intransigente di ogni misticismo giudiziario e lo dimostrano le parole che egli pronunciò all’Istituto per il Commercio “Remondini” di Bassano del Grappa il 26 gennaio 1989 a proposito dei c.d. pentiti:
“i pentiti sono stati considerati un po’ come la scorciatoia nell’acquisizione delle prove. Cioè a un certo punto, quando il pentito raccontava qualche cosa, alcuni giudici e alcuni poliziotti hanno creduto che il loro lavoro fosse finito. Bastava registrare quello che aveva detto il pentito e la prova era raggiunta.
Con scarsi accertamenti, con scarsi riscontri, talvolta senza neanche cercare i riscontri..”
Queste parole del Dott. Borsellino – così come quelle fortemente critiche espresse dal giudice anche nei confronti del progetto di legge approntato dal Dott. Falcone nel Congresso Anm di Vasto del 07.06.1991 (ancora udibili dalla vivavoce del magistrato grazie a radioradicale) – ci ricordano che non ci sono argomenti tabù e che quello che conta è l’onestà intellettuale e l’assenza di malafede con la quale si affrontano le questioni.
Sono convinto che tutte le componenti istituzionali (in primis la magistratura) devono avere il coraggio di affrontare, senza infingimenti, lo strappo immenso che la strage di via D’Amelio (e soprattutto quello che è accaduto dopo) ha rappresentato per la memoria collettiva degli italiani tanto da condurre molti ad un generalizzato scetticismo sulla stessa possibilità di accertamento della verità.
E non bisogna avere paura che questa riflessione delegittimi la magistratura.
Riflettere, come categoria, su quello che è accaduto ci ri-legittima agli occhi dei cittadini, perché solo chi capisce davvero quello non ha funzionato può essere in grado di spiegare, in maniera credibile, perché quello che è successo non si ripeterà più.
Paolo Borsellino e Giovanni Falcone ci hanno insegnato con l’esempio umano e professionale che, come scriveva Manzoni, “è meglio agitarsi nel dubbio che riposare nell’errore”.
Da magistrati, non dimentichiamolo mai.
Santi Bologna – Magistrato con funzioni di giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Caltanissetta.
PAOLO BORSELLINO, DISCORSO ALLA VEGLIA PER GIOVANNI FALCONE (Palermo, 20 giugno 1992)