Tastieristi dei social hanno preso di mira l’iniziativa di Chiara Colosimo, Presidente della Commissione parlamentare antimafia, di attivare una ricostruzione storica sul tragico evento di Via D’Amelio, sul quale incombono ombre investigative e processuali senza risposte su ruoli e matrici di presunti mandanti
Il veleno politicante nel discorso pubblico italico non ha risparmiato neanche il momento di raccoglimento e riflessione sull’uccisione del Giudice Paolo Borsellino. Tastieristi dei social hanno preso di mira l’iniziativa di Chiara Colosimo, Presidente della Commissione parlamentare antimafia, di attivare una ricostruzione storica sul tragico evento di Via D’Amelio, sul quale incombono ombre investigative e processuali senza risposte su ruoli e matrici di presunti mandanti.
Le attribuiscono “l’intento per sviare le indagini dal terrorismo nero”, di “guardare il dito (solo mafia ed appalti) anziché la luna (pista nera e collegamento con il contesto nazionale ed internazionale dell’epoca della strategia stragista)”. Ed ancora “stia zitta”, “amica di Ciavardini” (terrorista nero, ndr) e “giù le mani dal Senatore Scarpinato” (ex Procuratore del Repubblica del Tribunale di Palermo e parlamentare del M5S). E c’è anche chi batte post del tipo “lo Stato italiano è mafioso, uccide a sangue freddo e la mafia ringrazia”.
Ora, a fronte di devianze mal costruite e con esiti fuorvianti, si comprendono sfoghi e diffidenze. La fraseologia sopra riportata configura un clima di polarizzazione che, per certi versi rispecchia l’atmosfera conflittuale, ideologica o di convenienze politiche o di casta, che sta accompagnando l’iter parlamentare della cosiddetta riforma della Giustizia.
Qualunque sia la pista da battere non si possono non tenere in conto, come base di partenza, le parole ereditate dalla bocca di Paolo Borsellino. Perché, pur rispettando sentenze già pronunciate, esse rappresentano pietre miliari per la ricostruzione, almeno storica, del tragico evento. Non si può non dare senso alla sua espressione “covo di vipere” riferita all’ambiente umano attivo nel Palazzo di Giustizia di Palermo, dove avvertiva aria di isolamento; ed anche alle confessioni rese alla moglie Agnese, già verbalizzate, secondo le quali “non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere”. In “altri” si possono raffigurare più piste da battere, ma resta imperscrutabile il ruolo dei suoi “colleghi”.
Si tratta di un nodo da sciogliere per completezza di informazione se si vuole argomentare una chiave di lettura senza reticenze e lontana dagli infingimenti che animano i cori di tifoserie politicamente contrapposte. Altra cosa sono ruoli ed uffici di chi conduce e di coloro che partecipano alla ricerca delle carte non lette o ignorate.
Diversamente dall’AG costituita per indagare, accertare e sanzionare, nell’investitura della Commissione parlamentare prevalgono il lavoro e lo studio del fenomeno mafia che, nel caso specifico dell’uccisione del Giudice Borsellino, riguardano la contestualità dei depistaggi.
Perciò, non è speciosa e né punitiva l’esclusione di chi o di coloro che potrebbero essere configurati nella cerchia dei “colleghi” di cui, genericamente, si fa riferimento nelle parole di Paolo Borsellino. Ed è una questione di onestà intellettuale a salvaguardia di ce l’ha, a prescindere dal colore di appartenenza. Solo chi non ce l’ha può farne argomento di vittimismo politicante. Eugenio Ciancimino ULISSE ONLINE 22.7.2025