L’hanno arrestato ieri mattina sulla base di riscontri, pare precisi, a un’accusa rivolta dal pentito Aurelio Neri della «famiglia» mafiosa del rione Noce.
Condipodaro è stato ammanettato nelle stanze del commissariato di polizia Politeama in via Dante, nel centro nevralgico della città , fra lo sconcerto dei suoi colleghi all’oscuro di tutto.
E’ stato formalmente incriminato dal sostituto procuratore della Repubblica Maurizio De Lucia per concorso esterno in associazione mafiosa e favoreggiamento personale. Neri, uno degli autori di una rapina alle Poste centrali di Palermo che nell’ottobre scorso fruttò 20 miliardi a banditi collegati con la mafia, attribuisce al poliziotto anche un ruolo di primo piano nell’assassinio, il 18 febbraio 1993, di un suo nipote spacciatore di droga, Rosario Alaimo, 30 anni. L’esecuzione, alla quale Neri ha ammesso di aver partecipato, fu decisa dal clan dei Ganci (padre e figli ora in prigione per concorso nella strage di Capaci) perché Condipodaro avrebbe rivelato al capo della cosca Raffaele Ganci che Alaimo era un confidente della polizia.
La vittima fu torturata e strangolata e il corpo (la testa avvolta in un sacco di plastica) abbandonato in un cassonetto portarifiuti a poche decine di metri dalla sede del commissariato Politeama. Di «talpe» nella questura di Palermo si è parlato a cicli ricorrenti. Scalpore per esempio suscitarono i sospetti che nell’estate del 1985 pesarono sull’agente Natale Mondo, scorta e «spalla» del vicequestore Ninni Cassare, il vice capo della squadra mobile ucciso con il poliziotto pugliese Roberto Antiochia di soli 20 anni in un agguato in via Croce Rossa. Mondo fu poi scagionato e anni dopo ucciso dai boss, un delitto che fu la controprova della sua innocenza. E di «talpe» si è sussurrato via via, perfino a sfiorare Bruno Contrada, il questore ed ex dirigente del Sisde condannato di recente a 10 anni di reclusione per associazione mafiosa. Ora l’arresto di Michele Condipodaro fa sensazione anche per l’inevitabile accostamento a Falcone, del quale egli fu uno degli «angeli custodi» per un breve periodo, dal 18 dicembre 1989 al 20 agosto 1990 quand’era poi passato al «113» per essere quindi trasferito al commissariato Politeama.
Dalla scorta al giudice italiano piĂą d’ogni altro nel mirino della mafia – ha detto ieri il questore Arnaldo La Barbera Condipodaro era stato tolto perchĂ© «professionalmente non adeguato» e non perchĂ© si dubitasse della sua fedeltĂ . Nessun collegamento diretto pertanto fra lui e la strage del 23 maggio 1992 in cui allo svincolo autostradale per Capaci, fra l’aeroporto di Punta Raisi e Palermo, furono massacrati Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre poliziotti della scorta, Rocco Di Cillo, Antonino Montinaro e Vito Schifani, dei quali Condipodaro era stato collega. Il fatto che egli non fosse piĂą da un anno nel servizio scorte, croce e delizia per chi vi è inquadrato (giovani che ogni ora del giorno e della notte mettono in conto di poter morire da un momento all’altro in cambio di una paga niente affatto esaltante) porta gli inquirenti a escludere che abbia svolto una parte nell’eccidio di Capaci. Dopo l’arresto, Maria Falcone, sorella del giudice e Liliana Ferrara, che di Falcone prese il posto nella direzione generale Affari penali al ministero di Grazia e Giustizia, hanno insieme dichiarato: «Una mela marcia non può fare dimenticare i tanti uccisi che facevano il loro dovere». E il Siulp e il Sap, i sindacati di polizia, hanno invitato a star attenti alle vendette dei pentiti contro gli agenti e raccomandano «approfondite verifiche». Antonio RavidĂ LA STAMPAÂ
20.4.1996 Una talpa per Falcone –Arrestato a Palermo un ex agente della scorta del giudice assassinato. Per gli inquirenti sarebbe un infiltrato delle cosche
Per otto mesi ha seguito come un ombra Giovanni Falcone, dal dicembre 1989 al luglio 1990. Lo ha scortato con pistola in pugno e giubotto antiproiettili sino a due anni prima del suo omicidio nella strage di Capaci. Dentro e fuori il palazzo di giustizia, anche quando era insieme alla moglie Francesca Morvillo, uccisa anche lei a Capaci con altri tre agenti. Quell’angelo custode del magistrato, però, sarebbe diventato ben presto una “talpa” di Cosa nostra, legato alla cosca della Noce comandata da Raffaele Ganci, la famiglia mafiosa che il boss corleonese Totò Riina diceva di avere sempre “nel cuore”.
Michele Condipodaro, 34 anni, dal 1990 agente in servizio alle volanti del commissariato Politeama, è stato arrestato ieri mattina direttamente dal capo della squadra mobile, Luigi Savina. Una “particolaritĂ ” dettata dalla necessitĂ di non far trapelare nulla dell’indagine in corso e non compromettere l’inchiesta. L’accusa contro l’agente di polizia, infatti, non è solo quella di associazione mafiosa. Il sostituto procuratore Maurizio De Lucia ha chiesto e ottenuto dal gip Angelo Pellino la contestazione del reato di concorso in omicidio. Michele Condipodaro avrebbe avvertito il boss della Noce Raffaele Ganci, oggi in carcere e ritenuto uno dei mandanti delle stragi di mafia del 1992, che un uomo della sua cosca, Rosario Alaimo, 30 anni, con qualche precedente per spaccio di sostanze stupefacenti, era anche uno dei confidenti della polizia. Una “soffiata” che significò una condanna a morte. Il 18 febbraio 1993 Alaimo venne trovato cadavere, con la testa in un sacchetto di plastica, dentro un cassonetto della nettezza urbana, a pochi metri dal commissariato di polizia dove andava a raccontare i segreti di Cosa nostra.
Ad accusare Michele Condipodaro è il pentito di mafia Aurelio Neri, zio dell’Alaimo. Quando l’arrestarono insieme al figlio, nell’ottobre scorso, gli agenti di polizia stavano solo indagando su una rapina miliardaria alle poste centrali di Palermo realizzata poche ore prima. Scoprirono che la rapina era stata organizzata dalla cosca della Noce e che, dopo il “colpo” miliardario, la famiglia stava per organizzarsi per uccidere il questore di Palermo, Arnaldo La Barbera. Neri si pentì quasi subito, permise di arrestare altri responsabili della rapina, qualche “picciotto” della cosca della Noce e di recuperare parte della refurtiva. Parlò anche delle “talpe” di Cosa nostra infiltrate nei reparti investigativi confermando quanto detto dal pentito Salvatore Cancemi, “Cosa nostra ha orecchie dapertutto, anche negli uffici investigativi e segnatamente in questura”. Neri raccontò che dall’inizio del ’93 una di queste “cimici” era proprio Condipodaro e che tra i primi servizi resi a Cosa nostra c’era la soffiata su Alaimo. Fu lo stesso Neri, zio della vittima, a essere incaricato della punizione. Con lui agirono i figli di Raffaele Ganci, Domenico e Calogero, oggi anche loro detenuti e imputati di strage, e Pietro Cillari. Fu Neri a convocare il nipote a un appuntamento e a strangolarlo. Per quell’omicidio ci sono ora altri quattro provvedimenti, due emessi nei confronti di persone detenute, due per esponenti della mafia latitanti.
I Ganci erano titolari di una macelleria proprio di fronte l’abitazione di Falcone, in via Notarbartolo, dove si trova ora il simbolico “albero Falcone”. Furono loro a vedere, il 23 maggio 1993, che gli agenti Rocco Di Cillo, Vito Schifani ed Antonio Montanaro erano andati a prendere l’auto blindata che si trovava nel garage di via Notarbartolo. Era la conferma che Falcone, assente da molti giorni per i suoi impegni romani, stava per tornare a Palermo. Uno dei figli di Raffaele Ganci seguì l’alfetta a bordo di una moto per accertarsi che stava dirigendosi proprio all’aereoporto di Punta Raisi. Poi si attivò la macchina infernale che provocò la strage sull’autostrada.
Al funerale delle vittime della strage Michele Condipodaro sorreggeva la bara dell’ex collega Antonio Montinaro. “Piangeva come un bambino” raccontano i suoi colleghi. A quel tempo, però, non era piĂą un agente di scorta di Falcone. Da piĂą di un anno, da quando il magistrato si era trasferito al ministero di grazia e giustizia, era stato allontanato dal servizio scorte per motivi disciplinari di tipo ambientale e relazionale. A disporre quel trasferimento fu l’allora capo della mobile La Barbera, oggi questore. Di corporatura esile, la barbetta e gli occhiali da sole, Condipodaro viene ricordato da molti per il suo atteggiamento sicuro, troppo sicuro, quasi da spaccone. “Una mela marcia- ha commentato ieri Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso-non può fare, però, dimenticare tanti giovani, uomini e donne, che sono stati uccisi per compiere il loro dovere”.IL MANIFESTO
10 ottobre 1997 G D.S. «Quell’agente non era una talpa» Tre mesi in cella, ora è assolto .
PALERMO. Assolto perché il fatto non sussiste: Michele Condipodaro, ex agente di scorta del giudice Giovanni Falcone, seconto.
Un’accusa pesante lo aveva portato in carcere per tre mesi: secondo un pentito, Aurelio Neri, il poliziotto era in realtĂ una «talpa» al servizio delle cosche.
Accuse che non hanno retto davanti al giudice per le indagini preliminari che ha deciso con il rito abbreviato.
La Procura si è riservata di impugnare la decisione dopo che saranno rese note le motivazioni. Condipodaro, 36 anni, era stato sospeso dal lavoro e dallo stipendio.
Ora chiede di tornare a lavorare nel commissariato dove prestava servizio
Anni dopo…Â