(di Angelo Paratico) Avesa si trova alle porte di Verona ed è un paradiso di tranquillità, con un microclima straordinario creato dall’aria che spira dal lago di Garda e dalle montagne che le stanno dietro. Resta un luogo di residenza molto ambito ma trovarci casa a un prezzo ragionevole è diventato difficile.
Il nome di Avesa circolava per via di ritrovamenti di Neanderthal e per una polveriera germanica che fu parzialmente disinnescata alla fine dell’ultima guerra, grazie alla collaborazione fra un prete e a un ufficiale nazista che volle evitare una strage. Ma dal novembre del 2023 il nome di Avesa ha ripreso a circolare per via di un suo residente speciale, Arnaldo La Barbera (Lecce, 1942 – Roma, dicembre 2002) che, andando in pensione, vi si era stabilito con la moglie e la figlia. Purtroppo non ebbe modo di godersi a lungo la bella Avesa perché morì a 60 anni, a causa di una terribile malattia che non gli diede scampo.
Il ruolo del prefetto La Barbera
Perché Arnaldo La Barbera è così famoso? Perché guidava la questura di Palermo al tempo della morte di Falcone e Borsellino. Era stato prefetto anche a Genova al tempo degli scontri del G8 con il famoso blitz alla scuola Diaz, da lui ordinato. Nel novembre 2023 i magistrati di Caltanissetta ordinarono una perquisizione in casa dei La Barbera ad Avesa. L’accusa per la quale i giudici cercavano riscontri anche a più di vent’anni dalla scomparsa del prefetto era pesantissima. Si disse che a Palermo avrebbe lavorato “alla eventuale finalità di occultamento della responsabilità di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere” tanto da ipotizzare “un collegamento tra il depistaggio e l’occultamento dell’agenda rossa di Paolo Borsellino”.
Ad Avesa cercarono proprio l’agenda rossa, ma non la trovarono. Nel registro degli indagati c’erano anche i nomi di Serena La Barbera, figlia dell’ex Prefetto, e della madre Angiola. Alfonso La Barbera, un super poliziotto, venne chiamato a Palermo per seguire le indagini sulle stragi di mafia ma, secondo quanto accertato dal punto di vista giudiziario, egli ebbe “ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia”. Almeno, così ha sancito la Corte d’Assise di Caltanissetta nel cosiddetto “processo Borsellino quater”.
L’agenda rossa cercata fino ad Avesa
Quando ad Avesa i carabinieri avevano cercato l’agenda rossa di Borsellino, la ricerca era partita dopo che il padre di un’amica di Serena La Barbera si era sentito chiedere dalla figlia: “La mia amica Serena non se la sente più di tenere una cosa di suo padre. Potresti conservarla tu?”. E il padre le chiese: “Ma cosa è?”. E la figlia gli rispose: “E’ l’agenda rossa di Borsellino”.
Il 5 novembre del ’92, pochi giorni prima della riconsegna della borsa alla famiglia di Borsellino, il pubblico ministero Fausto Cardella aveva firmato il verbale di apertura della sua borsa, scrivendo: “Dentro la borsa ci sono: due pacchetti di sigarette marca Dunhill, un paio di pantaloncini da tennis bianchi, un costume da bagno, un carica batterie per telefono con batteria e accessori, un ritaglio di giornale, un paio d’occhiali, un mazzo di chiavi, un pacchetto di fazzoletti, uno scontrino fiscale, tre fogli di carta spillati e una rubrica telefonica marrone”.
Qualche giorno dopo Arnaldo La Barbera consegnò la borsa alla famiglia Borsellino, e oggi è patrimonio comune e simbolo di un estremo impegno per la legalità. Nei giorni scorsi è stata esposta in una teca a Montecitorio ed è stata mostrata in televisione. Ma in quei momenti tesi la figlia Lucia Borsellino s’arrabbiò e disse a La Barbera: “Dov’è l’agenda rossa? Era dentro la borsa”. La Barbera si rivolse alla madre di Lucia, moglie di Borsellino, dicendole: “Signora, sua figlia probabilmente ha bisogno di uno psicologo, è molto provata, delira”.
A 33 anni dalla strage di via D’Amelio non si sa ancora chi abbia premuto il tasto del telecomando per far saltare quella Fiat 126 carica di tritolo. I Carabinieri del Ros, su incarico della Procura di Caltanissetta, hanno perquisito la settimana scorsa tre abitazioni e una cassetta di sicurezza di Giovanni Tinebra, già Procuratore di Caltanissetta nel ’92, molto vicino a La Barbera, alla ricerca dell’agenda rossa. Questo perché in un appunto di Arnaldo La Barbera, firmato e datato 20 luglio 1992, all’indomani della strage di via D’Amelio, si legge della consegna di una scatola in cartone contenente una borsa in pelle e un’agenda appartenenti al giudice Borsellino.
La Procura nissena non ha le prove che poi materialmente questo materiale sia stato consegnato a Tinebra, né che si trattasse proprio dell’agenda rossa o di altro. Il nome del catanese Tinebra, defunto nel 2017, è riemerso nei giorni scorsi per via di certe sue aderenze massoniche. Ma p tutta questa somma di enigmi e di affermazioni contrastanti che a distanza di 32 anni impedisce di considerare risolto il mistero della strage che da Via D’Amelio continua a lambire anche la quiete di Avesa. Un’ombra sulla storia italiana che non è ancora stata dissipata, e che è purtroppo ragionevole dubitare lo sarà mai definitivamente. L’ADIGE 2.7.205