Caccia all’agenda rossa di Borsellino e la borsa di Tinebra finisce nelle mani del Ros

 

 

Gli investigatori hanno acquisito documenti ritenuti interessanti per le indagini

Nella cassetta di sicurezza intestata a Giovanni Tinebra, l’ex procuratore di Caltanissetta scomparso nel 2017, i militari del Ros non hanno trovato nulla. Gli investigatori su input dei pm nisseni del “pool Stragi”- alla caccia dell’agenda rossa di Borsellino – hanno trovato invece alcuni ricordi del padre (tra fotocopie e fogli di quotidiani) nelle case dei figli a Caltanissetta. Sono stati gli stessi eredi del magistrato a consegnare il materiale che era in loro possesso ai militari. Una borsa ricca di documenti è stata prelevata a San Gregorio di Catania, dove risiede la seconda moglie di Tinebra. Controllata anche l’abitazione della prima consorte del defunto: ma qui nulla di «interessante» è stato trovato.

Tinebra era un “massone coperto”?

Sono state già attivate le analisi dei documenti che sono stati acquisiti e sono qualificati come «importanti» per l’inchiesta (contro ignoti). Uno dei tasselli che i magistrati di Caltanissetta dovranno accertare è se il magistrato sia stato veramente un «massone coperto». E, quinsi, se c’è stato lo zampino dei grembiulini segreti nella strage di via D’Amelio e, soprattutto, nel depistaggio costruito ad arte qualche ora dopo l’attentato del 19 luglio del 1992 in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta.Sono diversi i boss (e gli affiliati) di Cosa nostra che hanno fatto parte della massoneria, tra questi Stefano Bontade, Mariano Agate e Giovanni Bastone, gli ultimi due sono trapanesi. «Stefano Bontate, capo dei capi, che dirigeva ..capo siciliano della Massoneria, capo della Sicilia della Massoneria. Lui insieme ad altri due: Concutelli ed un altro ricco palermitano», raccontò Totò Riina, mentre era al 41bis, al compagno “d’aria” Lorusso. E di massoneria parlarono anche Nino Giuffrè e Leonardo Messina nell’ambito dell’incidente probatorio del Borsellino quater. E non è escluso che le logge coperte possano aver agito come «stanza di compensazione» tra cosa nostra e ambienti imprenditoriali che avevano il comune interesse di fermare le indagini che il giudice Paolo Borsellino avrebbe potuto e voluto approfondire dopo la morte dell’amico Giovanni Falcone.

Le dichiarazioni dell’autista di Tinebra

L’autista storico del procuratore Giovanni Tinebra, Costantino Miserendino, ha ricordato ai magistrati di Caltanissetta: «Io non ho mai partecipato o accompagnato Tinebra a riunioni di massoneria. Ma so che si incontrava con persone che si diceva essere massoni; mi riferisco al dottor Muré e al dottore Mancuso che erano rispettivamente primario e vice primario dell’ospedale di Nicosia». Ma il dottore in pensione Renato Mancuso ha negato: «Io non sono mai stato inserito in massoneria». E ha aggiunto: «Non so dire se il dottore Alberto Murè fosse iscritto a qualche loggia massonica, certamente non me ne ha mai parlato». Però ci sono dei documenti sequestrati agli Spinello dalla procura di Napoli con cui emerge un rapporto epistolare tra Salvatore Spinello e lo stesso Murè (ormai deceduto). Lo stesso Mancuso dice: «Ho conosciuto il dotto Tinebra in quanto quando arrivai a Nicosia quest’ultimo faceva già parte del Kiwanis, a cui entrai a far parte pure io. Io, Tinebra e Murè ci frequentavamo spesso e andavamo spesso a cena insieme».

L’ipotesi mafia e massoneria dietro strage via D’Amelio

Mafia e massoneria dietro la strage di via D’Amelio? Una ipotesi che nella sentenza del Borsellino quater si fa strada visto che i magistrati nisseni hanno evidenziato che tra le causali che portarono all’accelerazione dell’attentato ai danni di Borsellino, potrebbero esserci interessi di soggetti estranei a Cosa Nostra. E tra queste cause torna il rapporto “mafia-appalti” che aveva messo in luce l’esistenza di rapporti tra imprenditoria palermitana e nazionale e i vertici dell’organizzazione mafiosa. E fra gli imprenditori massoni i cui nomi erano all’interno del dossier c’era quello di Bonura. Senza dimenticare Angelo Siino, morto anche lui, il quale ricevette da Salvatore Spinello (assolto nel processo a Napoli, ndr) la confidenza che il giudice Falcone sarebbe stato trasferito a Roma o lo avrebbero ucciso. «lo risposi che, finché c’ero io a Palermo, nessuno avrebbe toccato Falcone. Dissi a Spinello di riferire a quelli che volevano ammazzare Falcone che, finché c’ero io a Palermo, nessuno mai avrebbe ammazzato Falcone. Devo dire che rimasi molto sorpreso di questa proposta che mi stava facendo Spinello e chiesi spiegazioni a Ciccio Salamone, anche perché era stato quest’ultimo a presentarmelo».Così i pm cercano di rileggere vecchie dichiarazioni, impolverati fascicoli in cerca di elementi utili che possano diventare la bussola per ritrovare l’agenda rossa di Paolo Borsellino. Piena zeppa di appunti investigativi che potrebbero aprire varchi a risolvere i misteri del PaesCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA