Processo Pellegrini ed altri (presunti depistaggi della strage di Capaci)
AUDIO UDIENZE
Generali a processo sul depistaggio
Il sistema dei servizi segreti al processo a carico di due generali dei carabinieri in pensione, accusati di depistaggio. Si tratta di Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni. Roberto Ruvolo
11.11.2025 – Depistaggio: ex compagna poliziotto Peluso, ‘Giorno della strage Capaci non tornò a casa’
Adnkronos dall’inviata Elvira Terranova – “Giovanni Peluso mi diceva che faceva un lavoro particolare, che era al Sismi. Dopo un mese che era a casa, una mattina la macchina non partiva, lui aprì il cofano e mi disse che c’erano due ‘ordigni bianchi’. Mi disse che in quel momento stava facendo delle indagini particolari. Poi mi raccontò anche di collaborare con Vincenzo Parisi e che lavorava per il Sisde”. A dirlo, deponendo in aula al Tribunale di Caltanissetta, nel processo a carico di due ex ufficiali dei Carabinieri accusati di depistaggio, è Maria Anna Castro, ex compagna del poliziotto Giovanni Peluso, accusato dal collaboratore di giustizia Pietro Riggio di aver partecipato alla strage di Capaci. Alla sbarra ci sono due generali dei Carabinieri, due ex investigatori antimafia, Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni. Per la Procura, rappresentata in aula dal pm Pasquale Pacifico, i due ufficiali, oggi in pensione, avrebbero depistato le indagini per riscontrare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Riggio. I due, in particolare, avrebbero intralciato, secondo l’accusa, il lavoro dei pubblici ministeri, che stavano cercando riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia nisseno Pietro Riggio sulla strage di Capaci.
La testimone ha conosciuto Peluso in Procura a Roma nel 1990 e lui era un agente di polizia. “Abbiamo avuto una relazione – ha detto – iniziata nel settembre del 1990 fino al 2001”. E ha spiegato che il giorno della strage di Capaci, il 23maggio del 1992, Peluso “Non era tornato a casa”. Alla sbarra anche lo stesso Giovanni Peluso, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Tersigni, 64 anni, difeso dall’avvocato Basilio Milio, e l’83enne Pellegrini, difeso dall’avvocata Oriana Limuti, hanno lavorato a lungo per la Dia. Pellegrini è stato anche uno storico collaboratore del giudice Giovanni Falcone.
Al centro della vicenda ci sono le dichiarazioni di Riggio, ex agente della Polizia penitenziaria, poi arrestato con l’accusa di essere legato ai clan mafiosi. Secondo i pm i due ex investigatori, che respingono le accuse, non avrebbero dato il giusto peso alle rivelazioni di Riggio, all’epoca loro confidente, rivelazioni che, sempre a dire degli inquirenti, avrebbero potuto portare alla cattura del latitante Bernardo Provenzano e a scoprire un progetto di attentato all’ex giudice del pool antimafia Leonardo Guarnotta. Peluso, invece, avrebbe agevolato Cosa nostra, tra l’altro favorendo la latitanza del boss corleonese. La testimone ha parlato nella sue deposizione diversi episodi della sua relazione con Peluso. Ad esempio, ha raccontato anche i giorni antecedenti e successivi alla strage di Capaci, periodo in cui la donna lavorava al Consiglio superiore della magistratura.
“Il venerdì prima del 23 maggio Peluso non tornò a casa e lo fece il lunedì dopo la strage e mi fece tantissime domande”, ha ribadito Maria Anna Castro nella sua deposizione in Tribunale. E ha ricordato che il sabato in cui fu ucciso il giudice Falcone la donna avrebbe ricevuto una telefonata al Csm “da un certo Gotti” che la “chiamava dall’America”. E poi, una telefonata “strana” che le sarebbe arrivata il lunedì dopo la strage. “Erano telefonate che non passavano dal centralino del Csm”. Qualche giorno dopo lo stesso Peluso le disse “che era uno della Pizza Connection”.
Un altro episodio raccontato da Maria Anna Castro riguarda il periodo antecedente le stragi di Firenze e Milano, quando l’ex compagno Peluso “si fece accompagnare al Raccordo anulare di Roma perché doveva andare con alcuni colleghi a svolgere delle indagini lontano dalla Capitale”. Secondo il racconto di Castro “in macchina c’era lo zio Tony, il principe”, cioè Tony Mazzei che nel frattempo è morto.
La testimone ha poi raccontato anche dell’incontro che c’è stato a Resuttano tra Peluso, Riggio e Giovanni Aiello, l’uomo che era stato definito ‘faccia da mostro’ “hanno parlato nei pressi della macchina in cui c’ero io”. Ha poi ricordato che Peluso le ha detto che in carcere “era stata istituita una task force tra uomini detenuti che doveva essere impegnata nella cattura dell’allora latitante Binnu Provenzano”, cioè “lo “zio” che Peluso vantava di conoscere”. “Mi doveva aiutare a ottenere l’eredità di mia nonna”, che era originaria di San Giuseppe Jato. La deposizione prosegue.
14.1.2025 (ADNKRONOS dall’inviata Elvira Terranova) – L’ex Procuratore nazionale antimafia ed ex Presidente del Senato Pietro Grasso, ma anche l’ex Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e l’ex Capo della Polizia, Prefetto Gianni De Gennaro. Sfilata di testi eccellenti nel processo per depistaggio che si è aperto questa mattina davanti al Tribunale di Caltanissetta.
Alla sbarra due generali dei Carabinieri, due ex investigatori antimafia, Angiolo Pellegrini, oggi 83 anni, e Alberto Tersigni, oggi 63 anni, entrambi accusati di depistaggio.
Per la Procura, rappresentata in aula dal pm Pasquale Pacifico, i due ufficiali, oggi in pensione, avrebbero depistato le indagini per riscontrare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Riggio.
I due, in particolare, avrebbero intralciato, secondo l’accusa, il lavoro dei pubblici ministeri, che stavano cercando riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia nisseno Pietro Riggio sulla strage di Capaci.
Alla sbarra anche l’ex poliziotto Giovanni Peluso, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Pellegrini è stato anche uno storico collaboratore del giudice Giovanni Falcone.
L’udienza è iniziata con una breve sospensione perché la difesa degli imputati ha presentato delle eccezioni. I legali dei due generali hanno detto che quando Pellegrini e Tersigni sono stati sentiti per la prima volta dagli inquirenti, avrebbero dovuto essere sentiti “in veste di indagati”. Quindi, i verbali avrebbero dovuto essere interrotti. Ma il pm Pacifico non si è detto d’accordo. Alla fine, dopo una breve Camera di consiglio, il Presidente del Tribunale Francesco D’Arrigo, ha ripreso l’udienza respingendo le eccezioni dei legali.
Al centro della vicenda ci sono le dichiarazioni di Riggio, ex agente della Polizia penitenziaria, poi arrestato con l’accusa di essere legato ai clan mafiosi. Secondo i pm i due ex investigatori, che respingono le accuse, non avrebbero dato il giusto peso alle rivelazioni di Riggio, all’epoca loro confidente, rivelazioni che, sempre a dire degli inquirenti, avrebbero potuto portare alla cattura del latitante Bernardo Provenzano e a scoprire un progetto di attentato all’ex giudice del pool antimafia Leonardo Guarnotta. Peluso, invece, avrebbe agevolato Cosa nostra, tra l’altro favorendo la latitanza del boss corleonese.
Dal capo d’accusa della procura di Caltanissetta sottoscritto dal sostituto procuratore Pasquale Pacifico e dai magistrati Domenico Gozzo e Salvatore Dolce della procura nazionale antimafia, emerge che gli ex generali Pellegrini e Tersigni erano stati intercettati in vista della loro audizione come testimoni al processo d’appello sulla trattativa Stato-mafia. Secondo l’accusa, avrebbero concordato cosa riferire.
Secondo l’avvocato Basilio Milio, che con l’avvocato Giuseppe Piazza difende il generale Tersigni, hanno “semplicemente dialogato per ricordarsi a vicenda i fatti di venti anni fa”. Angiolo Pellegrini è difeso dagli avvocati Rocco Licastro e Oriana Limuti, mentre l’imputato Peluso dall’avvocato Boris Pastorello.
Lunga la lista testi. Emergono i nomi dell’ex Presidente del Senato ed ex Procuratore di Palermo, Pietro Grasso, ma anche di ex ufficiali della Dia di Caltanissetta, ex carabinieri del Ros di Caltanissetta. Oltre alla ex dirigente della Squadra mobile di Caltanissetta, Marzia Giustolisi, citata anche dall’accusa.
L’audizione dell’ex Procuratore di Palermo ed ex Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso è stata chiesta dalla difesa “per riferire sull’impegno investigativo della Dia di Palermo a partire dal 2001 in direzione della ricerca e la cattura di Bernardo Provenzano in merito alla segnalazione, fatta dall’allora colonnello Pellegrini, nel gennaio 2001, di propositi criminosi concepiti da appartenenti a Cosa nostra e da compiersi nel territorio siciliano, alle attività conseguenti, ai relativi esiti, alla nota a sua firma del 29 gennaio 2001, nonché su ogni altra circostanza pertinente all’oggetto della imputazione e utile all’accertamento della verità”.
La difesa chiede anche l’audizione dei magistrati Michele Prestipino e Giuseppe Pignatone, ex Procuratore di Roma, “entrambi per riferire sull’impegno investigativo della Dia di Palermo a partire dal 2001 in direzione della ricerca e la cattura di Provenzano, sulla conoscenza del maggiore Tersigni e del colonnello Pellegrini e sulle interlocuzioni avute con i predetti, sulla conoscenza professionale di Pietro Riggio e Giovanni Peluso, su eventuali condotte contrarie ai doveri di ufficio e poste in essere dagli imputati e da altri soggetti nello svolgimento dell’attività di Polizia giudiziaria nonché su ogni altra circostanza pertinente all’oggetto della imputazione e utile all’accertamento della verità”.
In lista testi altri generali e ufficiali, come il generale Carlo Alfiero, il generale Antonio Tomaselli, il colonnello Ignazio Lizio Bruno. Oltre al generale Paolo Azzarone “sugli accertamenti effettuati e sulle attività svolte a seguito delle informazioni fornite da Pietro Riggio asseritamente apprese da Giovanni Peluso”. E di diversi magistrati, come il Pm Maurizio Bonaccorso, Stefano Luciani, il Procuratore di Caltagirone Giuseppe Verzera, l’ex Procuratore di Palermo Giancarlo Caselli. Il prossimo 11 febbraio, quando si terrà la seconda udienza del processo a carico di due generali dei Carabinieri, due ex investigatori antimafia, Angiolo Pellegrini e Alberto Tersigni, accusati di depistaggio, verrà sentito il collaboratore di giustizia Pietro Riggio.
Nel novembre 2019, al processo Capaci bis, a Caltanissetta, il collaboratore nisseno, aveva riferito, tra le altre cose, quanto apprese da Giovanni Peluso nel 2000, altro imputato, sulla “volontà di Cosa nostra di eliminare il giudice Leonardo Guarnotta”, ex membro del pool antimafia di Antonino Caponnetto e all’epoca presidente della corte che stava giudicando il fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri per concorso esterno a Cosa nostra. “Giovanni Peluso – aveva detto Riggio in aula rispondendo alle domande dell’avvocato Salvatore Petronio – voleva essere coadiuvato in un attentato nei confronti di un giudice palermitano, il dottore Guarnotta.
Le ragioni non me le disse, se non l’esigenza di rifugiarsi dopo l’attentato. Aveva anche fatto uno schizzo sull’abitazione del giudice. Io quel giorno stesso riferii dell’attentato al colonnello della Dia”.
Sul punto però rispetto al verbale reso ai pubblici ministeri, Riggio aveva cambiato un po’ le sue dichiarazioni. Ai magistrati aveva detto: “Peluso mi disse che la ‘nostra organizzazione’ aveva bisogno di fare favori alla politica quando ve ne era la necessità. Segnatamente mi disse che era stato incarico a uccidere il giudice Guarnotta e che a tal fine aveva già eseguito un sopralluogo nei pressi di un ‘palazzo’, ritengo fosse quello dove abitava il magistrato”. Sempre in quella udienza, del 2019, Riggio aveva anche riferito che un ex poliziotto avrebbe messo l’esplosivo sotto l’autostrada per preparare la strage di Capaci del 23 maggio 1992 in cui furono uccisi il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta.
L’uomo collabora con la magistratura da più di 14 anni. Alla domanda de perché fino a quel momento non avesse mai parlato della strage di Capaci, Riggio replicò, collegato in videoconferenza: “Non ho parlato prima della strage di Capaci perché, purtroppo, ho avuto modo di conoscere il sistema dall’interno e se io ne avessi parlato prima oggi sarei un uomo morto…”. Riggio sarà risentito l’11 febbraio e nell’udienza successiva.

Salvo Palazzolo su Repubblica-Palermo del 04/10/2024
Altri due esponenti delle forze dell’ordine, con una lunga carriera alle spalle, finiscono sotto accusa. La procura chiede un processo per gli ex generali dei carabinieri 𝐀𝐧𝐠𝐢𝐨𝐥𝐨 𝐏𝐞𝐥𝐥𝐞𝐠𝐫𝐢𝐧𝐢 e 𝐀𝐥𝐛𝐞𝐫𝐭𝐨 𝐓𝐞𝐫𝐬𝐢𝐠𝐧𝐢, oggi in pensione: pesante la contestazione, depistaggio. Secondo la ricostruzione del pool di magistrati coordinato dal procuratore 𝐒𝐚𝐥𝐯𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐃𝐞 𝐋𝐮𝐜𝐚 e dall’aggiunto 𝐏𝐚𝐬𝐪𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐏𝐚𝐜𝐢𝐟𝐢𝐜𝐨, i due ufficiali dell’Arma a lungo in servizio alla Direzione investigativa antimafia avrebbero intralciato il lavoro dei pubblici ministeri, che stavano cercando riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia nisseno 𝐏𝐢𝐞𝐭𝐫𝐨 𝐑𝐢𝐠𝐠𝐢𝐨 sulla strage di Capaci.
All’inizio degli anni Duemila, Pellegrini e Tersigni avevano gestito l’allora confidente Riggio, ex agente della polizia penitenziaria e vicino ai clan: secondo l’accusa, una gestione poco chiara. Al punto di non valorizzare alcune dichiarazioni su un progetto di attentato nei confronti dell’ex giudice istruttore 𝐋𝐞𝐨𝐧𝐚𝐫𝐝𝐨 𝐆𝐮𝐚𝐫𝐧𝐨𝐭𝐭𝐚.
La procura di Caltanissetta ha già firmato la richiesta di rinvio a giudizio, l’udienza preliminare si terrà a fine mese. E salgono a sette gli uomini in divisa accusati di depistaggio in tre filoni di indagine: quattro sono i poliziotti del caso via D’Amelio, un altro poliziotto è chiamato in causa per l’inchiesta sulla misteriosa donna delle stragi. «𝑆𝑒 ℎ𝑜 𝑐𝑜𝑚𝑚𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑐ℎ𝑒 𝑒𝑟𝑟𝑜𝑟𝑒 𝑙’ℎ𝑜 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑜 𝑐𝑒𝑟𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑖𝑛 𝑏𝑢𝑜𝑛𝑎 𝑓𝑒𝑑𝑒», dice oggi a “Repubblica” il generale Pellegrini, classe 1942, nei primi anni Ottanta da capitano era uno degli stretti collaboratori del giudice Falcone durante la stesura dell’istruttoria del maxiprocesso. «𝑇𝑜𝑟𝑛𝑒𝑟𝑜̀ 𝑖𝑛 𝑞𝑢𝑒𝑙 𝑝𝑎𝑙𝑎𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑖 𝑔𝑖𝑢𝑠𝑡𝑖𝑧𝑖𝑎 𝑑𝑖 𝐶𝑎𝑙𝑡𝑎𝑛𝑖𝑠𝑠𝑒𝑡𝑡𝑎 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑎𝑛𝑑𝑎𝑖 𝑑𝑜𝑝𝑜 𝑙’𝑎𝑠𝑠𝑎𝑠𝑠𝑖𝑛𝑖𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑖𝑔𝑙𝑖𝑒𝑟𝑒 𝑖𝑠𝑡𝑟𝑢𝑡𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑅𝑜𝑐𝑐𝑜 𝐶ℎ𝑖𝑛𝑛𝑖𝑐𝑖 – racconta ancora l’ex ufficiale – 𝑎𝑙 𝑝𝑟𝑜𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑙𝑎 𝑠𝑡𝑟𝑎𝑔𝑒 𝑑𝑖 𝑣𝑖𝑎 𝑃𝑖𝑝𝑖𝑡𝑜𝑛𝑒 𝐹𝑒𝑑𝑒𝑟𝑖𝑐𝑜, 𝑖𝑜 𝑒 𝑁𝑖𝑛𝑛𝑖 𝐶𝑎𝑠𝑠𝑎𝑟𝑎̀ 𝑟𝑖𝑓𝑒𝑟𝑖𝑚𝑚𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝐶ℎ𝑖𝑛𝑛𝑖𝑐𝑖 𝑣𝑜𝑙𝑒𝑣𝑎 𝑎𝑟𝑟𝑒𝑠𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑖 𝑐𝑢𝑔𝑖𝑛𝑖 𝑁𝑖𝑛𝑜 𝑒 𝐼𝑔𝑛𝑎𝑧𝑖𝑜 𝑆𝑎𝑙𝑣𝑜, 𝑖 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑔𝑒𝑠𝑡𝑜𝑟𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑒𝑠𝑎𝑡𝑡𝑜𝑟𝑖𝑒. 𝐴𝑙𝑙’𝑒𝑝𝑜𝑐𝑎, 𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑎𝑚𝑚𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑝𝑜𝑐𝑜. 𝐸 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑎𝑝𝑒𝑣𝑎𝑚𝑜 𝑎𝑛𝑐𝑜𝑟𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑖 𝑆𝑎𝑙𝑣𝑜 𝑒𝑟𝑎𝑛𝑜 𝑠𝑡𝑎𝑡𝑖 𝑖 𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙’𝑜𝑚𝑖𝑐𝑖𝑑𝑖𝑜 𝐶ℎ𝑖𝑛𝑛𝑖𝑐𝑖».
L’allora capitano Pellegrini, comandante della sezione Anticrimine, fu anche l’autore del rapporto che nel 1981 svelava gli affari del boss 𝐁𝐞𝐫𝐧𝐚𝐫𝐝𝐨 𝐏𝐫𝐨𝐯𝐞𝐧𝐳𝐚𝐧𝐨 nella sanità siciliana, attraverso le forniture ad Usl ed ospedali. Un pezzo di storia dell’antimafia che il generale Pellegrini continua a raccontare nelle scuole presentando il suo libro “Noi, gli uomini di Falcone”. A fine mese, invece, arriverà a Caltanissetta da imputato. «A 82 anni sono sereno e fiducioso di poter chiarire ogni aspetto», dice.
Prima della procura di Caltanissetta, anche la procura generale di Palermo aveva espresso dei dubbi sulla gestione del collaboratore Riggio: «La mancanza di relazioni di servizio, o di appunti riservati, nei primi 16-17 mesi della pluriennale interlocuzione tra la Dia di Palermo ed il pregiudicato e confidente Pietro Riggio è significativa», aveva accusato il sostituto procuratore generale 𝐆𝐢𝐮𝐬𝐞𝐩𝐩𝐞 𝐅𝐢𝐜𝐢 nel processo per la “Trattativa Stato-mafia”. Riggio è stato sentito anche nel processo bis per la strage di Capaci, in quell’udienza disse di avere parlato anni prima, nel 2000, di un progetto di attentato nei confronti di Guarnotta. Ma non si è trovata traccia di questa rivelazione nei dialoghi con gli investigatori oggi finiti sotto accusa.
Al centro degli approfondimenti dei magistrati e degli investigatori della squadra mobile di Caltanissetta ci sono state le confidenze fatte a Riggio da un ex poliziotto, 𝐆𝐢𝐨𝐯𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐏𝐞𝐥𝐮𝐬𝐨, che diceva di aver fatto parte dei servizi segreti e di essersi trovato sul luogo della strage di Capaci qualche ora dopo lo scoppio della bomba. Confidenze di cui ha parlato Riggio da collaboratore di giustizia. E prima ne aveva mai parlato?
Pellegrini sostiene che Riggio confidente non avrebbe mai fatto cenno a un progetto di attentato nei confronti di Guarnotta. «Parlava genericamente di un gesto eclatante che sarebbe avvenuto a Palermo – ha detto l’ex generale – informai subito l’allora procuratore 𝐏𝐢𝐞𝐫𝐨 𝐆𝐫𝐚𝐬𝐬𝐨, che dispose pure delle intercettazioni».Ma ben poco sarebbe emerso sul conto di Peluso, che peraltro risultava denunciato per sfruttamento della prostituzione e truffa.
Come dire, un personaggio poco attendibile. Di diverso avviso la procura di Caltanissetta, che oggi ritiene Peluso al centro di relazioni rimaste misteriose.

