Paghiamo noi il conto (salato) della corruzione

di Lionello Mancini

di Lionello Mancini

Oggi alle 15 l’Italia finisce di votare e sarà quindi consentito tornare anche qui sulle parole in libertà pronunciate in campagna elettorale a proposito della corruzione e del malaffare. Il concetto espresso senza arrossire era: non facciamo le finte mammolette, se si vogliono concludere affari in certi Paesi del mondo, bisogna stare alle usanze di quel Paese; altrimenti ce ne stiamo a casa e gli affari li fanno gli altri.

Parole in libertà, certo. Ma che spiegano molto sul perché l’Italia sia così mal messa nelle classifiche mondiali su corruzione, trasparenza, libertà d’impresa, produttività. Lasciamo stare i richiami a onestà ed etica, per ribadire che la corruzione costa. Qual è infatti lo schema classico, che ci riporta purtroppo alla quotidianità? Eccolo: un imprenditore produce bisturi e li vende a 5 euro l’uno; si accorda con il funzionario pubblico che gestisce le forniture sanitarie per la Regione e che gli assegnerà la fornitura di 10mila bisturi. Il prezzo sarà però fissato in 6 euro e saranno pagati 10mila euro in più. Il corruttore ne rigirerà parte al funzionario, tenendo per sé il resto. Chi ha tirato fuori i soldi per la tangente, quei 10mila euro in più? La Regione, cioè noi con le nostre tasse.

È lo stesso per importi molto più grandi e per un Paese anziché una Regione. Non è poi tanto complicato, anche se non sempre i giudici riescono a dimostrare i reati commessi (anche perché la legge che li prevede è monca e limitata). Ma questo meccanismo è davvero inevitabile, come qualcuno vorrebbe far credere? No. E non è vero che l’unico rimedio possibile siano le manette. Il falso realismo che guida certe logiche è lo stesso che porta a sfruttare il lavoro minorile nei Paesi in cui è diffuso o a dedicarsi al turismo sessuale in determinate aree del pianeta. Ed è la logica che non molti anni fa portava un ministro dei Lavori pubblici – realista o miope? – a dire che con la mafia bisogna purtroppo convivere; quella logica che induce certi imprenditori ad avvicinare i boss ancora prima di essere minacciati, per accordarsi e stare tranquilli. Una filosofia oltretutto contrastata da iniziative che l’Italia sta faticosamente costruendo per valorizzare la legalità, le governance virtuose, la responsabilità sociale d’impresa. Anche su questo siamo molto indietro, perché ci sono Paesi – peraltro più solidi del nostro – nei quali l’idea di corruzione viene combattuta dalla culla, con un’educazione che premia il rispetto delle regole. Mentre l’Italia ha più volte verificato che la corruzione, l’evasione fiscale, il posto senza merito, l’appalto senza gara, spalancano le porte alla criminalità organizzata che di queste pratiche è maestra.

Fior di multinazionali si sono date codici etici per cui un manager che accetta in omaggio un Rolex o un viaggio ai Caraibi può perdere il posto. Così come esistono fior di aziende italiane che rispettano regole stringenti e protocolli severi, mettendo anche in conto di perdere qualche pezzo di fatturato piuttosto che aggiudicarselo violando le regole: una penalizzazione irragionevole, da correggere al più presto. L’Italia seria ha da tempo imboccato la strada giusta, anche se finora penalizzante e minoritaria. Auguriamoci che in queste ore diventi maggioranza.

 

Sole 24 Ore – 25.2.2013

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