Di Lionello Mancini
di Lionello Mancini
È stata diffusa a fine febbraio la relazione dei Servizi di sicurezza (www.sicurezzanazionale.gov.it/web.nsf/documenti/Relazione-2012.pdf), sui temi caldi con cui dovremo fare i conti nei prossimi mesi. Una parte del rapporto annuale è incentrata su temi scottanti, alcuni inquietanti, che però accomunano l’Italia a ogni altro Paese europeo: dall’allerta per l’incalzare della crisi economica alla crescente disperazione dei disoccupati che apre la strada agli anarco-insurrezionalisti, dalla possibilità di «attentati spettacolari» al diffondersi del cyber crime, alla minaccia del terrorismo internazionale.
Poi, però, come accade da (troppi) anni, i Servizi si dedicano al nostro handicap invalidante, alla vergogna che rende l’Italia sospetta, pericolosa e costosa agli occhi del mondo: la criminalità organizzata.
Non è pensabile che mentre Londra stava preparando le Olimpiadi la sua intelligence potesse scrivere nei rapporti che – come invece accade da noi – «le grandi opere di edilizia pubblica, specie nella riqualificazione della rete stradale, autostradale e ferroviaria» sono nel mirino della criminalità organizzata di stampo mafioso, la cui capacità di infiltrazione appare «sempre più pervasiva su tutto il territorio nazionale». E si può escludere che la Francia debba temere l’«accentuata mobilità territoriale che consente alle cosche di inserirsi agevolmente in circuiti collusivi in grado di soffocare l’imprenditoria sana e inquinare le iniziative di sviluppo anche attraverso l’aggiramento della normativa antimafia sugli appalti».
Invece, nel nostro Paese già in piena convulsione per la traumatica evoluzione politico-istituzionale, il Dipartimento informazioni e sicurezza avverte: «I gruppi criminali continuano a ricercare contatti collusivi nell’ambito della Pubblica amministrazione, funzionali ad assicurarsi canali di interlocuzione privilegiati in grado di agevolare il perseguimento dei loro obiettivi economici e strategici, quali il controllo di interi settori di mercato e il condizionamento dei processi decisionali, specie a livello locale».
È anche questa l’anormalità italiana, che si nutre della burocrazia bloccata, del partitismo vorace, della corruzione senza argini. E se è diffusa la consapevolezza che Polizia, Carabinieri e magistratura sono la trincea che contrasta le strutture militari delle cosche (come testimoniano inchieste, arresti, processi e dure condanne), inquieta l’affermazione degli apparati di sicurezza sull’aumento del rischio per i casi frequenti «di rapporti strutturali tra gruppi criminali di diversa matrice, spesso nel contesto di ampi network relazionali comprendenti ambiti imprenditoriali e professionali (legali, commerciali, finanziari), amministratori locali e istituti di credito».
Quale Paese, così azzoppato, potrebbe resistere tanto a lungo nel confronto globale? Eppure l’Italia fino qui è arrivata e i segnali di risveglio tengono accesa la fiammella dell’ottimismo. Se non è pensabile che manette e microspie possano da sole essere risolutive, lo chef palermitano nonché star televisiva che denuncia i suoi estorsori dimostra che la strada è già tracciata, ma aspetta di essere spianata da moderni strumenti di tutela che da subito favoriscano l’economia buona.
Sole 24 Ore 18.3.2013