Di Lionello Mancini
Di Lionello Mancini
«Innanzitutto va combattuta l’idea che il calcestruzzo sia il Male. Dopodiché tutti i protagonisti del settore dovrebbero procedere a un serissimo impegno di rinnovamento». Queste le parole di Cono Federico, classe 1940, ex prefetto, delegato per la legalità di Atecap (l’associazione di settore che raggruppa 130 imprese) e dal 2010 presidente di Calcestruzzi Spa, gruppo Italcementi.
La fornitura di calcestruzzo è finita ripetutamente nel mirino della magistratura, anche di quella antimafia, ma il settore non pare percorso da fremiti di rinnovamento, anzi: l’invito che parte da Bergamo non piace a tutti e, in qualche caso, viene tatticamente frenato. Da qui l’allarme lanciato dal maggior produttore italiano: «Con l’intera filiera dell’edilizia, il nostro settore è colpito da una crisi terribile. Anche per questo siamo più esposti di dieci anni fa a occasioni di illegalità, a pratiche opache, alle mire della criminalità. Dobbiamo difenderci, darci regole forti e chiare, direi severe. E chi non le rispetta, va messo fuori gioco».
Questa è la sua prima intervista. Perché ora?
Perché la combinazione tra crisi e scarsa trasparenza rischia di essere letale. Il mercato si assottiglia, ma non seleziona – come sarebbe logico – chi come noi si è dato regole stringenti. Qualcosa non va.
Quali sono queste regole stringenti?
Dopo la brutta esperienza giudiziaria in Sicilia, nel 2009 Italcementi si è data un Codice antimafia da cui è discesa una governance aziendale rigidissima, fatta propria da Calcestruzzi. Dal Codice sono nati protocolli di legalità che hanno coinvolto dipendenti, sindacati di categoria e Prefetture in Calabria, Sicilia e Lombardia. Altri sono all’attenzione delle Autorità Prefettizie. Un lavoro enorme: oggi una serie di nostri dati sui dipendenti, ricette di prodotto, fornitori, sono online, a disposizione delle prefetture. Siamo rientrati in Aitec (i cementieri di Confindustria) e in Atecap, ma a condizione che queste associazioni assumessero le stesse regole. Aitec ha quasi concluso il suo percorso, Atecap si è data una forte accelerazione e conta di approvare in breve tempo le linee guida per procedere alla qualificazione di affidabilità dei partner commerciali.
Che effetti hanno avuto per voi le regole di cui parla?
Intanto la nostra massima trasparenza e una credibilità che cresce giorno dopo giorno, specie presso le istituzioni. Le difficoltà vengono invece dal nostro stesso ambiente. Fino al paradosso che il nostro impegno – visibile e misurabile – si configura come uno svantaggio competitivo.
Perché uno svantaggio?
Se i nostri criteri di qualificazione ci inducono a rinunciare a un fornitore o a escludere un cliente, accade che costoro vengano accolti da una concorrenza meno rigorosa. Un fornitore meno caro, anche se per ragioni non esemplari, firma con altri il contratto che noi gli neghiamo e il cliente che noi rifiutiamo (rinunciando a un ricavo) trova facilmente altrove il calcestruzzo. Questo non è logico né sano e in tempi di profonda crisi espelle il buono dal mercato. Anche la committenza, specie quella pubblica, deve abbandonare il prezzo come unico parametro e valutare la qualità complessiva del prodotto e del produttore.
Quali obiezioni ricevete all’adozione degli standard che proponete?
Curiosamente, la prima obiezione è la crisi: si sostiene che per risparmiare si possa essere meno rigorosi sulle autoregolamentazioni più stringenti. Al contrario, diciamo noi, solo regole forti, condivise e rispettate da tutti, possono garantire la ripresa in un mercato ordinato in cui vince davvero il migliore. Inoltre resta forte l’idea che difendere l’attività produttiva dalle infiltrazioni mafiose, spetti solo alla polizia e non agli imprenditori. Due errori gravi.
Cosa bisogna fare, secondo lei?
I protagonisti del settore, soprattutto i più grandi, dovrebbero avvertire l’urgenza di allinearsi a standard più sicuri. Per le realtà maggiori, come già facciamo noi, proponiamo di affiancare alla certificazione del prodotto, l’asseverazione degli standard organizzativi, etici e di risk management di cui occorre dotarsi anche per ottenere il rating di legalità. Per i più piccoli, dovrebbero provvedere le Associazioni. Se l’iscrizione, poniamo, ad Atecap richiedesse l’attestazione di pratiche virtuose e di governance adeguate, sarebbe essa stessa una buona base per accedere a una white list. E sarebbe anche un buon passo verso la valorizzazione dei meriti e la sanzione di chi vuol continuare con i vecchi metodi.
L’IDENTIKIT
Ex prefetto
Cono Federico, classe 1940, è un ex prefetto, delegato per la legalità di Atecap (l’associazione di settore che raggruppa 130 imprese) e dal 2010 presidente di Calcestruzzi Spa, che fa parte del gruppo Italcementi
Competitività
Solo regole forti, condivise e rispettate da tutti, possono garantire la ripresa in un mercato ordinato in cui vince davvero il migliore.
Sole 24 Ore 16.4.2013