Firenze, 18 maggio 2013 – Sostegno al sistema lavoro attraverso la garanzia dell’accesso al credito e lo sviluppo di una cultura della responsabilità sociale d’impresa: queste le leve di intervento oggi prioritarie, per un’efficace lotta contro l’illegalità e la criminalità organizzata. Un’azione di contrasto che può portare frutti solo se condotta a livello europeo: da istituzioni consce che le mafie non hanno confini, e da cittadini che sanno riconoscere le forme in cui il “nemico” si manifesta nella vita di tutti i giorni. Non più solo “caporalato e pizzini”: le mafie evolvono in continuazione e sono sempre più invisibili, operando in arene dai limiti in apparenza perfettamente legali.
Ci vuole, insomma, più Europa per ricostruire quel welfare e quella legalità, che stanno alla base di una possibile uscita dalla crisi. Se ne è parlato e se ne continua a parlare a Terra Futura, la mostra convegno internazionale delle buone pratiche di sostenibilità ambientale, economica e sociale fino a domenica 19 maggio, alla Fortezza da Basso di Firenze.
Segnali incoraggianti in tale direzione arrivano da Gianni Pittella, vicepresidente vicario del Parlamento europeo: «In Europa si sta lavorando a una direttiva per favorire l’utilizzo dei beni confiscati alla mafia. Esistono, comunque, già strumenti concreti – come le norme contro il riciclaggio, organismi come l’Olaf (Ufficio europeo per la lotta antifrode), l’Europol (Ufficio di Polizia europeo) e l’Eurojust (Unità europea di cooperazione giudiziaria) – ma possiamo fare di più. Eliminare i paradisi fiscali, ad esempio, ma anche aumentare la collaborazione tra le autorità di intelligence dei vari Paesi e istituire un procuratore antimafia europeo. E ancora, sostenere le reti di associazioni impegnate nella lotta contro tutte le mafie, che chiedono la gestione dei beni confiscati: potremmo infliggere così un duro colpo ai poteri criminali che succhiano il sangue dei cittadini». Fra i nodi urgenti ancora da sciogliere, il problema della connivenza di parte della politica e delle pubbliche amministrazioni con la criminalità organizzata. E quello degli istituti di credito che «impediscono ai soggetti che vogliano prendersi in carico i beni confiscati, di metterli a disposizione della collettività, per problemi burocratici».
Ha condiviso, ieri, la centralità dei temi del dibattito Rodolfo Maria Sabelli, presidente dell’Associazione nazionale magistrati che sulla globalizzazione delle infiltrazioni criminali nel tessuto economico finanziario ha affermato: «Contro le mafie e l’illegalità occorre un processo di armonizzazione delle legislazioni esistenti, anche se non è cosa semplice data la presenza di legislazioni strutturalmente diverse fra loro: abbiamo Paesi di common law, come la Gran Bretagna, e Paesi di civil law. Questo processo è stato ormai avviato, favorito anche da realtà sovrannazionali e si pone come obiettivo la condivisione di principi e l’individuazione di standard comuni».
Per combattere un mostro a molte teste, come quello in questione, occorre però il contributo di tutti. Servono la repressione, la celebrazione dei processi, l’arresto dei colpevoli, il sequestro dei patrimoni. Ma non basta.
Ribadisce il concetto Giuseppe Pignatone, procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Roma: «Magistratura, polizie e forze dell’ordine devono svolgere i propri compiti. Poi c’è la società tutta, cui spetta di restringere i possibili spazi di infiltrazione. La tentazione di accettare proposte allettanti di denaro a bassi interessi, soprattutto in un momento tanto difficile, è forte. L’esperienza, triste, che si sta facendo in tante regioni di Italia – e non solo del Sud -, insegna però che una volta fatto entrare il mafioso, non si riesce più a richiudere la porta né tanto meno a cacciarlo via. Si finisce col perdere la proprietà, l’azienda, la libertà».
Per questo occorre un diverso approccio sistemico, non sono sufficienti singole misure: l’iniezione di nuova liquidità alle banche, ad esempio, non aiuta la ripresa perché poi gli istituti di credito non prestano; e non basta neppure la confisca di singoli patrimoni. La necessità di questo passaggio è emerso in tutta la sua evidenza oggi, in occasione del lancio della “Banca della Fiducia” del Progetto San Francesco. «Istituzioni locali, nazionali e europee, magistratura, forze investigative, banche, sindacati e società civile: tutti devono collaborare per recidere i legami con cui la criminalità organizzata “compera” il consenso sociale attraverso la liquidità. Chiediamo che il 35% del capitale confiscato venga reinvestito in credito a sostegno di imprese e famiglie, utilizzando le risorse del Fondo Unico Giustizia» afferma Alessandro De Lisi, direttore del Centro Studi Sociali Progetto Sociale San Francesco che ha sede a Cermenate (Como), presso un edificio confiscato alla ’ndrangheta.
Leggi semplici ed efficaci per il datore di lavoro e verifica del rispetto di tutti gli standard di sicurezza (specie in settori quali edilizia e logistica interessati, più di altri, da ramificazioni di tipo criminale), sono invece le azioni da intraprendere a livello politico, secondo l’avvocato Umberto Ambrosoli, candidato alla presidenza della Regione Lombardia alle ultime elezioni. Serve inoltre «stimolare le aziende ad andare oltre la normativa in senso stretto, per farsi portatrici di una più ampia cultura di giustizia».