Salvatore Inzerillo, soprannominato Totuccio, era parente del mafioso Rosario Spatola e cugino del boss Carlo Gambino, capo dell’omonima Famiglia di Brooklyn. Per queste ragioni, ancora giovanissimo, Inzerillo venne affiliato nella cosca di Passo di Rigano, di cui divenne capo nel 1978, succedendo allo zio Rosario Di Maggio e venendo nominato anche capomandamento della zona; fu in questo periodo che Inzerillo instaurò ottimi rapporti personali e d’affari con il boss Stefano Bontate, con cui approvvigionava morfina base e, dopo averla fatta raffinare, la mandava negli Stati Uniti, in collegamento con i cugini Gambino di Brooklyn.
Nel 1979, alla vigilia delle elezioni politiche, Inzerillo era stato ospite di spicco della cena elettorale in onore del ministro Attilio Ruffini organizzata dall’avvocato Francesco Reale, membro del comitato regionale della Democrazia Cristiana. Nello stesso anno Inzerillo, insieme ai boss Bontate, John Gambino e Rosario Spatola, si occupò del finto rapimento del finanziere Michele Sindona, il quale si nascose in Siciliain seguito alla bancarotta delle sue banche; il vero obiettivo del finto rapimento era quello di fare arrivare un avviso ricattatorio ai precedenti alleati politici di Sindona, tra cui l’onorevole Giulio Andreotti, per portare a buon fine il salvataggio delle sue banche e quindi del denaro investito da Inzerillo e dagli altri boss. Nel 1980 Inzerillo ordinò l’omicidio del giudice Gaetano Costa, il quale aveva firmato personalmente sessanta mandati di cattura contro Inzerillo, Rosario Spatola, John Gambino e i loro associati per traffico di stupefacenti; il delitto venne decretato da Inzerillo per mandare un segnale allo schieramento avversario dei Corleonesi, dimostrando che anche lui era capace di ordinare un omicidio “eccellente”.Per queste ragioni, dopo l’uccisione di Bontate, i Corleonesi ordinarono anche quella di Inzerillo: l’11 maggio 1981, quando esce dal portone della sua amante, un gruppo di killer, dall’interno di un furgone, comincia a sparare all’impazzata e lo uccide a colpi di kalashnikov, prima che possa salire sulla sua nuova auto blindata (un’Alfa Romeo Alfetta bianca).
Subito dopo la morte di Inzerillo, furono uccisi il figlio diciassettenne Giuseppe (mutilato e ucciso perché voleva vendicare il padre) e anche i fratelli Santo (27 maggio) e Pietro che fu ucciso il novembre 1981 in New Jersey e fatto ritrovare cadavere nel bagagliaio di un’automobile con 5 dollari in bocca e due dollari sui genitaliGran parte della famiglia decise di scappare negli Stati Uniti dove ricevette la protezione dei cugini Gambino. Restarono invece a Palermo la moglie di Salvatore Inzerillo Filippa Spatola e il figlio Giovanni.
Il ritorno degli Inzerillo, la famiglia sterminata da Totò Riina agi 17 luglio 2019 Rientrati in Italia nei primi anni duemila, Tommaso e Francesco Inzerillo sono riusciti a stabilire un equilibrio con alcuni tra gli ultimi esponenti del gruppo avverso ancora in libertà Decimati durante la seconda guerra di mafia dalla fazione guidata dai corleonesi di Totò Riina, gli Inzerillo erano stati costretti, subito dopo l’omicidio di Salvatore Inzerillo nel 1981, a fuggire negli Stati Uniti per avere salva la vita. Rientrati in Italia nei primi anni duemila, Tommaso e Francesco Inzerillo sono riusciti a stabilire un equilibrio con alcuni tra gli ultimi esponenti del gruppo avverso ancora in libertà, i fratelli Gaetano e Giuseppe Sansone, e a ricostruire le fila della famiglia mafiosa di Passo di Rigano. Grazie a una fitta rete di fedelissimi, tra cui Giuseppe Spatola, genero di Tommaso Inzerillo, e Alessandro Mannino, già affiliato alla medesima famiglia mafiosa, gli Inzerillo hanno esercitato un ferreo controllo del territorio di riferimento condizionandone il tessuto economico. Tramite Spatola e Gabriele Militello, Tommaso Inzerillo imponeva la fornitura di prodotti alimentari; ad Antonino Fanara aveva affidato il settore dei giochi e la gestione delle agenzie di scommesse abusive on line; Antonino Lo Presti interveniva come mediatore in alcune vicende estorsive; tante situazioni, in definitiva, ruotavano intorno agli Inzerillo che venivano considerati dai residenti dei punti di riferimento per risolvere anche questioni di carattere privato e non collegati a vicende criminali. Altro personaggio di assoluta caratura criminale è Giovanni Buscemi: scarcerato dopo 24 anni di detenzione per associazione mafiosa e omicidio, si è immediatamente riproposto nel panorama mafioso palermitano, pretendendo un ruolo. Ed infatti, solo pochissime settimane dopo la sua scarcerazione, ha preso parte, in qualità di rappresentate del mandamento mafioso di Passo di Rigano, alla riunione a Palermo il 29 maggio 2018, alla quale hanno partecipato numerosi capi dei mandamenti mafiosi palermitani per discutere e approvare le regole del funzionamento della commissione provinciale di cosa nostra e delle dinamiche fra i mandamenti. Le indagini hanno, inoltre, consentito di documentare stabili relazioni tra gli uomini di Passo di Rigano e soggetti appartenenti alla potente Gambino Crime Family di New York: si tratta, in particolare, del noto Frank Calì, recentemente ucciso, e di Thomas Gambino, cittadino americano considerato dal Federal Bureau of Investigation elemento di rilievo della famiglia Gambino, che rappresenta, secondo le attuali indagini, un importante anello di collegamento tra le organizzazioni criminali delle due sponde dell’oceano; mentre per il mandamento di Passo di Rigano si occupavano dei contatti americani Simone e Calogero Zito.
E poi tocca a Salvatore Inzerillo, il mafioso con tanti “cugini” in America Il 10 maggio “Totuccio” Inzerillo viene ucciso nelle immediate vicinanze di un’Alfetta blindata, era in possesso di una rivoltella 357 magnum carica. Come per Stefano Bontate, anche “Totuccio” aveva paura di un agguato dei Corleonesi
Il 10.5.1981, alle ore 23.45 circa, le Guardie Giurate dell’Istituto di Vigilanza “Città Di Palermo” SPITALE FRANCESCO e CAPUANO AGOSTINO, mentre svolgevano servizio d’istituto in questa via Libertà, udivano numerosi spari esplosi in rapida successione; accorsi, notavano un giovane di circa 20-25 anni, snello e alto m.1.75 circa, che, con un’arma di grosso calibro nascosta da un giornale, sparava contro i vetri blindati della gioielleria CONTINO, lasciando ricadere i bossoli espulsi dall’arma in un sacchetto che reggeva con la mano sinistra.
Il giovane, alla vista dei metronotte, sparava al loro indirizzo senza riuscire a colpirli, ed essi di rimando rispondevano al fuoco con le pistole in dotazione.
La Guardia Giurata CAPUANO si diceva certa, dinanzi al G.I. di avere attinto al torace, con un colpo di pistola, il giovane sconosciuto, perché questi, dopo l’esplosione, aveva fatto un balzo all’indietro, quasi perdendo l’equilibrio; si era però subito ripreso, probabilmente in quanto munito di giubbotto antiproiettile, e si era dato alla fuga salendo a bordo di un’autovettura guidata da un complice, che si eclissava rapidamente.
Sul luogo della sparatoria, nonostante le precauzioni adottate dall’ignoto attentatore, venivano rinvenuti tre bossoli, sul cui fondello si leggeva la scritta “711-74”, ed alcuni frammenti di proiettile.
Il giorno successivo, 11.5.1981, alle ore 12,30 circa, personale della Squadra Mobile di Palermo si portava in questa via Brunelleschi n.50 dove una telefonata anonima aveva segnalato che, poco prima, era stato consumato un omicidio. Ivi, all’interno di un atrio condominiale, veniva rinvenuto, nei pressi di un’autovettura Alfetta blindata, munita di targa di prova, il cadavere di un uomo col volto sfigurato dai colpi d’arma da fuoco, poi identificato per il “boss” di Passo di Rigano, SALVATORE INZERILLO.
Nei pressi del cadavere venivano rinvenuti tre cartucce, esplose, marca Clever per fucile calibro dodici a canna liscia e tre bossoli di fucile mitragliatore calibro 7,62, con la scritta, sul fondello, “711-74”, mentre all’interno di un autofurgone Renault Saviem, abbandonato nei pressi del luogo dell’attentato, venivano rinvenuti 15 bossoli di proiettile calibro 7,62, dello stesso tipo di quelli rinvenuti vicino alla vittima.
LA PERIZIA MEDICO-LEGALE Dalla perizia autoptica emergeva che l’INZERILLO era stato attinto da quattro colpi di fucile calibro dodici caricato a lupara, due dei quali sparati da circa tre metri e gli altri da circa cinque-sei metri, nonché da nove proiettili camiciati, esplosi verosimilmente da un mitra, da distanza superiore ai cinquanta-sessanta centimetri. I colpi erano stati esplosi da almeno tre killers. Anche stavolta nel corpo della vittima veniva rinvenuto, come per STEFANO BONTATE, un contenitore di sostanza per proiettili traccianti.
Data la presenza di un’autovettura blindata nei pressi del cadavere dell’INZERILLO, sorgeva subito il sospetto che l’episodio della sera prima, e cioè l’esplosione di colpi d’arma da fuoco contro la vetrina di esposizione della gioielleria CONTINO, munita di vetri antiproiettile, fosse collegato con l’assassinio del predetto e, cioè, che i killers avessero voluto sperimentare la capacità di penetrazione dei proiettili in superfici corazzate.
[…] La perizia accertava che:
– per l’omicidio di SALVATORE INZERILLO e per l’attentato alla gioielleria CONTINO era stato usato certamente lo stesso fucile mitragliatore kalashnikov (del tipo ak47 o AKM);
– il medesimo kalashnikov era stato usato, molto probabilmente, anche per l’omicidio di STEFANO BONTATE;
– Per uccidere SALVATORE INZERILLO era stata impiegata anche una arma a canna liscia calibro 12, molto probabilmente la stessa già adoperata per uccidere STEFANO BONTATE.
[…] Già questo risultato conferma, in modo obiettivo ed inconfutabile, che BONTATE ed INZERILLO sono stati uccisi dal medesimo “gruppo di fuoco”, non essendo nemmeno pensabile che armi come il kalashnikov possano essere in possesso di comuni ricettatori o, peggio, possono essere cedute da “Cosa Nostra” ad estranei all’organizzazione, con tutti i rischi, a tacer d’altro, che un’operazione del genere comporterebbe.
Rimane dunque riaffermato, in modo indiscutibile, quanto si è diffusamente esposto circa l’alleanza tra il BONTATE e l’INZERILLO e circa le cause e gli autori di tali omicidi.
Ma ulteriori emergenze probatorie confortano l’assunto.
L’INGEGNER IGNAZIO LO PRESTI Come si è detto, l’INZERILLO è stato rinvenuto morto nelle immediate vicinanze di un’autovettura Alfetta blindata con targa di prova di cui egli aveva le chiavi, ed è stato trovato in possesso di una rivoltella 357 magnum carica e di altre cartucce per la stessa arma. Come già si è rilevato per BONTATE, il fatto che la vittima usasse una vettura blindata, e andasse in giro armato, dimostra, senza ombra di dubbio, che nutriva grave preoccupazione per la sua incolumità fisica, contrariamente a quanto ha dichiarato la vedova, SPATOLA FILIPPA, secondo cui il marito, anche negli ultimi tempi, era spensierato e allegro come al solito; la SPATOLA, peraltro, ha dovuto ammettere di avere visto il marito l’ultima volta il 3 maggio 1981, cioè 8 giorni prima del suo assassinio, ma non ha saputo o voluto dire dove egli si fosse rifugiato.
Ma sono state proprio le indagini sulla provenienza dell’Alfetta blindata, da un lato, a svelare i rapporti di IGNAZIO LO PRESTI con l’INZERILLO e, dall’altro, a dimostrare che MONTALTO SALVATORE è stato effettivamente il “traditore” di SALVATORE INZERILLO ed il principale artefice della sua uccisione.
Invero, come è stato già puntualizzato nella ordinanza-sentenza istruttoria riguardante SPATOLA ROSARIO ed altri, l’auto blindata dell’INZERILLO era stata materialmente ritirata da IGNAZIO LO PRESTI e GIUSEPPE GUGLIELMINI, uomo di fiducia dell’INZERILLO, i quali si erano appositamente recati a Caronno Pertusella ad acquistarla dalla ditta MARAZZI. […].
L’impiego di un individuo come GIUSEPPE GUGLIELMINI, di cui era ben nota la “contiguità” con SALVATORE INZERILLO, per il ritiro dell’Alfetta blindata non destava sorpresa, mentre appariva strana la presenza di un professionista affermato come l’Ing. LO PRESTI, le cui utenze telefoniche venivano, poi, trovate annotate in un appunto rinvenuto sul cadavere dell’INZERILLO.
Si ponevano pertanto sotto controllo queste utenze, corrispondenti all’abitazione del LO PRESTI, agli uffici della CESPA siti in via Quintino Sella n. 77 ed al cantiere edile della società sito in Altarello di Baida; e si potevano così conoscere talune conversazioni, molto interessanti, fra il LO PRESTI, la moglie CORLEO MARIA, IGNAZIO SALVO, CARMELO GAETA e TOMMASO BUSCETTA.
Si svolgevano, poi, approfondite indagini sulla società di pertinenza del LO PRESTI e si accertava che gli uffici della CESPA erano frequentati dal latitante ALESSANDRO MANNINO, nipote di SALVATORE INZERILLO. Il MANNINO veniva pertanto immediatamente arrestato negli uffici stessi, così come l’Ing. LO PRESTI, il quale veniva incriminato per il delitto di favoreggiamento personale nell’interesse del MANNINO e, successivamente, per quello di associazione per delinquere.
Nel corso dell’istruttoria emergeva, così, una singolare familiarità di rapporti tra SALVATORE INZERILLO e l’Ing. LO PRESTI, il quale ultimo, in sostanza, era “nelle mani” di SALVATORE INZERILLO, in relazione ai lavori di realizzazione di numerose villette unifamiliari in Altarello di Baida.
[…] Insomma, appariva chiaro che il LO PRESTI era stato un docile strumento nelle mani di SALVATORE INZERILLO, e che, in contropartita della sua “disponibilità”, era stato aiutato a decollare nel campo dell’edilizia, giungendo ad intrattenere rapporti con imprese prestigiose del gruppo di ARTURO CASSINA.
Il LO PRESTI, dopo l’arresto, aveva cominciato a rendersi conto della pericolosità della sua scelta di campo ed aveva mostrato una certa disponibilità verso la giustizia, ammettendo i suoi rapporti con SALVATORE INZERILLO, facendo intravedere il ruolo dei cugini IGNAZIO e NINO SALVO in seno a “Cosa Nostra” ed accennando ai motivi della cosiddetta guerra di mafia. Probabilmente altre e più importanti informazioni egli, tornato in libertà, aveva fornito al Dott. ANTONINO CASSARA’, che le aveva riferite, come provenienti da fonte confidenziale, nel rapporto del 13.7.1982; ma il suo coinvolgimento e la sua ostinazione nel non volersi distaccare dagli ambienti mafiosi gli sono costati la vita. Il LO PRESTI, infatti, è scomparso, senza lasciare più traccia di sé, il 29.7.1982; prima di allora, era stato visto presenziare alle udienze del processo contro gli autori materiali dell’omicidio del Capitano BASILE (PUCCIO GIUSEPPE, BONANNO ARMANDO e MADONIA GIUSEPPE) e intrattenersi a parlare familiarmente cogli imputati, negli intervalli delle udienze. Testi tratti dall’ordinanza del maxi processo a cura Associazione Cosa Vostra
Pino Greco: «Di questi Inzerillo non deve restare neanche il seme» Giuseppe lnzerillo, ancora giovanissimo, aveva giurato di vendicare la morte del padre. Pino Greco “Scarpuzzedda” prima di ucciderlo – racconta Buscetta – «gli tagliò il braccio destro e gli fece presente che non gli sarebbe più servito per uccidere Totò Riina»
La soppressione dell’INZERILLO, seguita a quella di STEFANO BONTATE, segnava la fine del gruppo degli avversari dei corleonesi e l’inizio di una spietata caccia a quanti fossero legati ai BONTATE e agli INZERILLO da legami di amicizia o di parentela.
Non poteva sottrarsi a questa caccia il figlio diciassettenne dell’INZERILLO – GIUSEPPE – il quale, verso il 12 agosto, si allontanava da casa in compagnia di PECORELLA STEFANO per non fare più ritorno.
SPATOLA FILIPPA, madre di INZERILLO GIUSEPPE, e MANNINO ELISABETTA, madre di PECORELLA STEFANO, si presentavano negli uffici della Squadra Mobile per esternare i loro timori circa detto allontanamento.
Chiamate di nuovo, qualche giorno dopo, per formalizzare la denuncia di scomparsa, le due donne rendevano dichiarazioni palesemente contrastanti con la realtà dei fatti.
SPATOLA FILIPPA, contrariamente a quanto oralmente riferito, dichiarava di non nutrire preoccupazione alcuna per la sorte del figlio che, partito il 12 agosto, le avrebbe telefonato il successivo giorno 26 per informarla che si trovava negli Stati Uniti.
Precisava, però, che il figlio era sprovvisto di passaporto e che era partito solo, come pure precisava che il PECORELLA non era fidanzato con la figlia.
MANNINO ELISABETTA dichiarava che il figlio era partito da solo da Palermo il 17 o il 18 agosto senza comunicarle la destinazione o i motivi del viaggio. Aggiungeva di non sapere se il figlio avesse o meno una relazione amorosa con la figlia del defunto INZERILLO SALVATORE o se frequentasse la casa dello stesso.
Concludeva affermando che il figlio STEFANO non era in possesso del passaporto e che non aveva dato più notizie di sé.
Si faceva osservare nella nota della Squadra Mobile la insanabile contraddizione tra le dichiarazioni formalizzate dalle due donne e quelle dalle stesse rese oralmente qualche giorno prima.
Secondo gli inquirenti, quindi, si doveva ritenere che INZERILLO GIUSEPPE fosse caduto in una imboscata tesagli per eliminarlo e che con lui doveva essere stato eliminato anche il futuro cognato che si trovava in sua compagnia.
Tale ipotesi, secondo la polizia, appariva verosimile se si considerava che molti personaggi, già aderenti ai clan INZERILLO – DI MAGGIO, si erano resi irreperibili negli ultimi giorni di maggio.
SPARITI NEL NULLA Ed, infatti, proprio dopo la uccisione di SALVATORE INZERILLO, si era mostrata la drammaticità della situazione per i “perdenti”, molti dei quali si erano precipitosamente allontanati da Palermo lasciando tutto e tutti.
Che, però, per INZERILLO GIUSEPPE e PECORELLA STEFANO non si fosse trattato di allontanamento, lo si sapeva bene negli ambienti mafiosi.
Già nel rapporto del 13 luglio 82, contro MICHELE GRECO + 160, si riferiva come SPATOLA FILIPPA, interpellata informalmente sulla fine del figlio, venisse colta da malore e lasciasse intendere che mai il figlio si sarebbe allontanato da casa per tanto tempo senza dare alcuna notizia alla famiglia.
Si riferiva, altresì, che da fonte confidenziale si era appreso come i due giovani fossero stati intercettati da alcune “vedette” presso l’HOTEL “ZAGARELLA”, dove era in corso una riunione tra gli esponenti mafiosi che avevano dato inizio alla strage ed esponenti delle famiglie BONTATE ed INZERILLO che erano passati ai “vincenti”.
Ritenendo che i due fossero sul posto per spiare i convenuti, ne era stata decisa ed immediatamente attuata la uccisione.
IL BRACCIO TAGLIATO Sull’omicidio dell’INZERILLO, BUSCETTA riferiva: «Come ho appreso in seguito da GAETANO BADALAMENTI, poco dopo l’omicidio di SALVATORE INZERILLO venne ucciso da PINO GRECO “SCARPUZZEDDA” anche il figlio dell’INZERILLO, ancora giovanissimo, sol perché aveva manifestato la intenzione di vendicare la morte del padre; anzi, nemmeno è sicuro che ciò sia vero, potendo benissimo essere stata una giustificazione postuma di questo brutale assassinio. Inoltre, a dimostrazione della particolare ferocia del GRECO “SCARPUZZEDDA”, BADALAMENTI mi riferì che, prima di uccidere il figlio dell’INZERILLO, PINO GRECO gli tagliò il braccio destro e gli fece presente che non gli sarebbe più servito per uccidere TOTO’ RIINA.
A tale barbaro gesto aveva assistito anche GRADO ANTONINO, il quale, a quei tempi, era ritenuto un alleato dei corleonesi e dei loro accoliti in quanto si credeva che avesse tradito il BONTATE, così come avevano fatto i familiari dei GRADO».
Una riprova della presenza di GRADO ANTONINO al momento dell’omicidio si ritrova nelle dichiarazioni di GENNARO TOTTA il quale, proprio nella villa dei GRADO a Besano, aveva sentito parlare di tale barbaro omicidio.
Anche SALVATORE CONTORNO riferiva quanto a sua conoscenza sul fatto: «Sono a conoscenza della morte del figlio di TOTO’ INZERILLO. Se mal non ricordo, la notizia mi è stata data da MIMMO TERESI, il quale soggiunse che il predetto era stato soppresso e fatto scomparire insieme con il figlio di certo PECORELLA, fidanzato con la figlia di TOTO’ INZERILLO. Sull’argomento il TERESI non aggiunse né io gli chiesi altro».
Tali dichiarazioni portano a far ritenere come sicura la soppressione dei due giovani ad opera dei “vincenti”, dovendosi rilevare come le stesse siano concordanti.
Ed, invero, il BUSCETTA aveva appreso dal BADALAMENTI alcune circostanze dell’omicidio di GIUSEPPE INZERILLO, né potevano queste essere frutto della sua fantasia o della fantasia del BADALAMENTI, avendo quest’ultimo specificato come presente al fatto si fosse trovato GRADO ANTONINO.
Quest’ultima circostanza è pienamente confermata da GENNARO TOTTA il quale proprio dai GRADO aveva sentito il racconto della soppressione del giovane INZERILLO.
Testi tratti dall’ordinanza del maxi processo A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA19 marzo 2021
a cura di Claudio Ramaccini Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco