Sui 79 casi di suicidio registrati dall’inizio dell’anno 2022 in carcere (il tasso più alto di suicidi degli ultimi 10 anni), 33 riguardano persone riconosciute con fragilità personali o sociali. Non solo. Ben 49 persone, pari al 62 % del totale, si sono suicidate nei primi sei mesi di detenzione; di queste, 21 nei primi tre mesi dall’ingresso in Istituto e 15 entro i primi 10 giorni, 9 delle quali addirittura entro le prime 24 ore dall’ingresso. Ciò significa che circa un suicidio su cinque si verifica nei primi dieci giorni dall’ingresso nel carcere.
Dei 79 casi di suicidio registrati 33 riguardano persone riconosciute con fragilità personali o sociali
Questo e altro ancora è emerso dalla conduzione di uno studio – tuttora in corso – del Garante Nazionale delle persone private della libertà. La prima parte dello studio, sull’anno in corso, prende in esame una serie di variabili: alcune relative alla persona, come l’età, il genere, la nazionalità, la tipologia di reato ascritto, la durata della permanenza nell’Istituto in cui si è verificato il suicidio, la posizione giuridica, la data del fine pena, eventuali condizioni di particolare vulnerabilità. Si pensi che dei 79 casi di suicidio registrati 33 riguardano persone riconosciute con fragilità personali o sociali (senza fissa dimora, persone con disagio psichico, ecc.). In undici mesi, da gennaio a novembre del 2022, si sono tolte la vita 79 persone, di cui 74 erano uomini e 5 donne.
Se si prende in considerazione non solo lo stesso numero di mesi ma tutti i dodici mesi per ogni anno, si tratta del più alto di suicidi mai registrato negli ultimi dieci anni. Tale dato – rende noto il Garante – risulta ancora più allarmante se lo si rapporta al totale della popolazione detenuta nei diversi anni: infatti, nel 2022 si registra una popolazione detenuta media visibilmente inferiore a quella del 2012 – ben 11.687 persone detenute in meno – ma con 23 suicidi in più rispetto a quelli verificatisi in quell’anno.
Condizioni di vita detentiva, durata della pena ancora da scontare o carcerazione preventiva spesso non sembrano risultare determinanti
Negli ultimi dieci anni, negli Istituti penitenziari nazionali, si sono verificati 583 suicidi, di persone di età compresa tra i 18 anni e gli 83 anni, quasi la metà delle persone era in attesa di una sentenza definitiva (tasso simile alle persone che si sono suicidate nel 2022). Per quanto riguarda specificamente i suicidi avvenuti nel 2022, a dispetto di quanto ci si potrebbe aspettare, il Garante nazionale osserva che condizioni della vita detentiva o la durata della pena ancora da scontare o della carcerazione preventiva spesso non sembrano risultare determinanti nella scelta di una persona detenuta di togliersi la vita.
Lo stigma per essere entrati in carcere elemento cruciale per chi decide di suicidarsi
Troppo breve è stata in molti casi la permanenza all’interno del carcere, troppo frequenti sono anche i casi di persone che presto sarebbero uscite. In questi casi sembra piuttosto che lo stigma percepito dell’essere approdati in carcere costituisca l’elemento cruciale che spinga al gesto estremo. Infatti circa un suicidio su cinque si verifica nei primi dieci giorni dall’ingresso nel carcere. Inoltre, fra le 79 persone suicidatesi 5 avrebbero completato la pena entro l’anno in corso 39 avevano una pena residua inferiore a 3 anni; solo 4 avevano una pena residua superiore ai 3 anni e una soltanto aveva una pena residua superiore ai 10 anni.
Il picco dei suicidi in carcere ad agosto: 17 casi
Un picco si è registrato nel mese di agosto, quando in carcere gran parte delle attività si fermano, con ben 17 casi. «Tale quadro complessivo non può non preoccupare e interrogare una Autorità di garanzia che ha il compito di vigilare sul rispetto dei diritti delle persone private della libertà, a cominciare dal diritto alla vita e alla dignità, pur con la consapevolezza che la decisione di porre fine alla propria vita si fonda su un insieme di cause e di ragioni intimamente personali», chiosa il Garante nazionale.Nel primo studio appena pubblicato, il Garante denuncia che il mondo del carcere sta vivendo un momento di particolare complessità e criticità.
Nel 2022 sono morte in carcere 194 persone
Nel 2022, in undici mesi, negli Istituti penitenziari sono decedute 194 persone: 82 per cause naturali, 79 per suicidio, 30 per cause da accertare e 3 per cause accidentali. Va ricordato che la popolazione detentiva complessiva alla data del 30 novembre è di 56.524 persone, di cui 2.389 donne. Queste ultime – ci tiene a ricordare il Garante – rappresentano mediamente il 4% della popolazione detenuta.
Delle persone che si sono suicidate 49 erano italiane e 33 straniere
Riguardo alla nazionalità, 46 erano italiane e 33 straniere (18 delle quali senza fissa dimora), provenienti da 16 diversi Paesi: Albania (5), Tunisia (5), Marocco (5), Algeria (2), Repubblica Dominicana (2), Romania (2), Nigeria (2), Brasile (1), Nuova Guinea (1), Pakistan (1), Cina (1), Croazia (1), Eritrea (1), Gambia (1), Georgia (1), Ghana (1), Siria (1). Le fasce d’età più presenti sono quelle tra i 26 e i 39 anni (33 persone) e tra i 40 e i 54 anni (28 persone); le restanti si distribuiscono nelle classi 18-25 anni (9 persone), 55-69 anni (6 persone) e ultrasettantenni (3 persone). Si rileva che 12 persone appartengono alle fasce d’età dei più giovani e dei più anziani e che l’età media delle 79 persone che si sono suicidate, è di 40 anni.
23 persone avevano già tentato un suidicio in carcere
Analizzando i dati relativi agli eventi critici, lo studio del Garante ha rilevato la presenza di eventuali fattori indicativi di fragilità o vulnerabilità. La lettura ha fatto emergere che 65 persone (pari all’82,28%) erano coinvolte in altri eventi critici, mentre altre 26 (ossia il 33%) avevano precedentemente messo in atto almeno un tentativo di suicidio (in 7 casi addirittura più di un tentativo). Inoltre, 23 persone (ossia per il 29% dei casi) erano state sottoposte alla misura della “grande sorveglianza”2 e di queste 19 lo erano anche al momento del suicidio. Va osservato poi che 18 persone tra quelle che si sono tolte la vita risultavano senza fissa dimora e, come già anticipato sopra, erano tutte di nazionalità straniera. A proposito di quest’ultimo dato, si evidenzia che il numero delle persone senza fissa dimora che si sono tolte la vita risulta in netto aumento rispetto agli anni precedenti.
Dal 2017 al 2017 c’è stato un graduale aumento della popolazione penitenziaria e di suicidi in carcere
Dal 2012 al 2016 il numero dei suicidi decresce contestualmente alla diminuzione della popolazione media detenuta, mentre dal 2017 si assiste a un graduale aumento della popolazione media e del numero dei suicidi fino al 2019, per arrivare al 2022 in cui si registra una popolazione detenuta media visibilmente inferiore a quella del 2012 – ben 11.687 persone detenute in meno – ma con 23 suicidi in più rispetto a quelli verificatisi in quell’anno. L’evidente decremento della popolazione avvenuto nell’anno 2020 è attribuibile alle misure alternative al carcere introdotte e potenziate a causa della situazione emergenziale conseguente alla pandemia di Covid19.
Per il garante occorrerebbero interventi di prevenzione suicidaria
Emerge, quindi, che il sovraffollamento, nonostante quanto spesso sostenuto, non sembra essere la causa principale degli eventi suicidari. Lo studio del Garante sottolinea che è invece l’importanza dell’effettiva presenza di un regime “aperto” e un’efficiente elaborazione dei programmi operativi di prevenzione del rischio autolesivo e suicidario all’interno degli istituti detentivi. Interventi di prevenzione suicidaria che dovrebbero essere estesi, di fatto, a tutte le tipologie di persone detenute: non solo a chi entra per la prima volta in carcere, ma anche alle persone sottoposte a trasferimenti e a quelle prossime al fine pena.
IL DUBBIO 7.12.2022 Damiano Aliprandi
Ancora un morto in cella, cresce l’indignazione: “Fermate questa strage”
Invece ad oggi il carcere è un luogo dal quale si rischia di non uscire vivi o comunque di non uscire migliori. Gli atti di autolesionismo sono in preoccupante aumento, dall’inizio dell’anno sono stati sventati 491 tentativi di suicidio in cella (64 dei quali in Campania) e si sono verificati 77 suicidi (sei dei quali in Campania), inoltre aumenta anche il numero di agenti della polizia penitenziaria che si tolgono la vita (l’ultimo caso, il quindi dall’inizio dell’anno, risale a sabato scorso con la morte di un agente di Marcianise). Numeri che spingono a parlare di “strage silenziosa” perché si consuma nell’indifferenza di gran parte di politica e opinione pubblica. In carcere si vive e si lavora in condizioni sempre peggiori e insostenibili. Chi ferma questa strage? «Non vi è preoccupazione nel mondo politico per la quantità di persone che stanno morendo nelle carceri italiane. Centocinquantadue decessi, e tra questi settantasette suicidi, sono numeri mai raggiunti, pur nei momenti più difficili dell’amministrazione penitenziaria», commenta Riccardo Polidoro, avvocato penalista del foro di Napoli e responsabile dell’Osservatorio carcere dell’Unione Camere penali italiane.
«Come da protocollo – aggiunge -, anche il neo ministro della Giustizia Carlo Nordio ha, tra i primi suoi atti, visitato la casa circondariale di Poggioreale. Un film già visto e rivisto. Va, però, evidenziato che la pellicola non era drammatica come le altre, ma di fantascienza. Il protagonista ha, all’esito dell’ispezione, dichiarato che il carcere napoletano dovrebbe essere un modello da seguire in altri istituti. Mai nessuno era giunto a tanto. L’inferno diventato paradiso. Chissà cosa ne pensano i detenuti, i loro familiari e tutti coloro (dirigenti, polizia penitenziaria, i pochi educatori e assistenti sociali) che con enormi sacrifici vivono le fiamme di un disagio perenne da cui sanno che difficilmente potranno uscire. Ed oggi quelle minime speranze sono del tutto perse. Le parole di Nordiosono la definitiva condanna per un sistema penitenziario e, invero, per l’esecuzione penale tutta, ad avere una vita autonoma fuori dai principi costituzionali e in costante violazione di legge. Quanto tutto questo fa male al nostro Paese non è chiaro all’opinione pubblica, che grazie ad un’informazione silente in materia e a una politica che pensa solo all’immediato consenso elettorale, resta convinta che “buttare la chiave” sia la soluzione migliore. Ma quella chiave un giorno verrà presa e le porte si apriranno. Chi ne uscirà? Una persona migliore o incattivita per l’assoluto abbandono in cui ha vissuto la sua detenzione?»
Ristretti Orizzonti ha lanciato una raccolta di firme a cui hanno già aderito giuristi, filosofi, garanti, esponenti della società civile. «Firmare per una detenzione legale, per il numero impressionante di morti, è un dovere civico, oggi più di ieri», conclude Polidoro che è tra i firmatari della petizione. Tra coloro che finora hanno aderito ci sono, tra gli altri, Fiammetta Borsellino,Francesca Scopelliti della Fondazione Tortora, l’ex magistrato Gherardo Colombo, la presidente di Nessuno Tocchi Caino Rita Bernardini, il giurista Giovanni Fiandaca, il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Trieste Giovanni Maria Pavarin, i filosofi Massimo Cacciari e Tommaso Greco, e poi garanti, scrittori, giornalisti e come politici Walter Verini, commissione Giustizia Senato, Anna Rossomando e Mariolina Castellone, vicepresidente del Senato. Hanno risposto all’appello di Ristretti Orizzoni per provare a fermare questo «record lugubre, terribile, inaccettabile. Mai prima d’ora era stato raggiunto questo abisso».
Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa . IL RIFORMISTA 15.11.2022
Altro tentato suicidio nelle carceri calabresi, 3 in 5 giorni
L’ultimo episodio si è registrato nel penitenziario di Vibo. La denuncia del sindacato Osapp: «Poco personale». Ed il Garante Muglia firma l’appello
«La Calabria – afferma il segretario regionale Maurizio Policaro – è la regione con il numero più alto di ristretti con patologie psichiatriche. Se poi si considera anche la modalità di assegnazioni non proprio confacenti alle esigenze e le difficoltà territoriali, conseguenzialmente ricadono negativamente sul sistema già gravemente penalizzato». La segreteria generale Osapp, per voce del segretario generale aggiunto Pasquale Montesano, evidenzia «la necessità di specifici interventi sia per quanto riguarda le assegnazioni di soggetti psichiatrici sia per un immediato attenzionamento per la regione Calabria e nella circostanza per Vibo Valentia. Allora, ribadiamo e chiediamo al Ministro della Giustizia Carlo Nordio, e alla nuova compagine di Governo, di aprire immediatamente un tavolo di confronto permanente e dare consequenzialità agli annunci fatti per interventi immediati, pena maggiori e più gravi conseguenze».
Il garante dei diritti dei detenuti firma l’appello al ministro
Il Garante regionale dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale della Calabria, Luca Muglia, ha condiviso, firmato e rilanciato l’appello sottoscritto da diverse personalità relativamente all’esorbitante numero di suicidi registrati in carcere dall’inizio dell’anno: ben 75 in 10 mesi. È quanto si legge in una nota. L’appello, lanciato da Il Dubbio e rivolto alle istituzioni, è scritto nella nota, «alla politica e agli intellettuali, individua obiettivi precisi. Ricorrere al carcere come extrema ratio, garantire spazi e contesti umani che rispettino la dignità e i diritti, moltiplicare le pene alternative, garantire al cittadino detenuto la possibilità di iniziare un reale percorso di inclusione nella comunità. Tra i primi firmatari della petizione Roberto Saviano, Gherardo Colombo, Luigi Manconi, Giovanni Fiandaca, Massimo Cacciari, Fiammetta Borsellino, Mattia Feltri, Francesca Scopelliti, Rita Bernardini».
Nell’appello, prosegue la nota, «si suggeriscono cinque vie d’uscita: aumento delle telefonate per i detenuti, previa modifica del regolamento penitenziario del 2000 secondo cui ogni detenuto (esclusi quelli che non possono comunicare con l’esterno) ha diritto a una sola telefonata a settimana, per un massimo di dieci minuti; innalzamento a 75 giorni a semestre per la liberazione anticipata rispetto ai 45 attuali; creazione di spazi da dedicare ai familiari che vogliono rimanere in contatto con i propri cari reclusi per valorizzare l’affettività; aumento del personale per la salute psicofisica, attesa la grave carenza di psichiatri e psicologi in tutti gli istituti; attuazione immediata di quella parte della riforma Cartabia che contempla la valorizzazione della giustizia riparativa e, nel contempo, rivitalizza le sanzioni sostitutive delle pene detentive».
Il garante Luca Muglia, «nel lanciare l’allarme e ribadire la necessità di un intervento immediato, ha evidenziato che nell’ultima settimana all’interno delle carceri calabresi si sono verificati diversi episodi di autolesionismo, uno dei quali con un tragico epilogo».
Corriere della Calabria 12.11.2022
Il RAPPORTO
«Basta morti in carcere», hanno detto a gran voce gli attivisti di Antigone che ieri, 4 ottobre, hanno tenuto un sit-in davanti al tribunale di Palermo a cui hanno preso parte anche i famigliari di Samuele Bua e Roberto Pasquale Vitale, morti suicidi nel carcere Pagliarelli di Palermo, e la madre di Francesco Paolo Chiofalo, detenuto nel penitenziario palermitano e deceduto per cause da accertare. Alle istituzioni si chiede di intervenire su una situazione che, dal 2000 a oggi, conta 3.500 decessi di cui 1.240 suicidi. A questi numeri, poi, si aggiungono circa mille atti di autolesionismo all’anno, spiega il presidente di Antigone Sicilia Pino Apprendi. «Sono numeri che dovrebbero far riflettere chi si occupa di giustizia», dice Apprendi: «E invece si è fatta una campagna elettorale nel silenzio perché nessuno dei leader nazionali ha toccato questo tasto, nonostante fosse un periodo molto caldo per i suicidi in carcere». Tra i corridoi degli istituti penitenziari italiani si incrociano storie di vite diverse, molte interrotte troppo presto. Secondo un rapporto di Antigone, infatti, l’età media delle persone che si sono suicidate è di soli 37 anni. La maggior parte dei suicidi si consuma nella fascia d’età tra i 30 e i 39 anni, seguita da quella tra i 20 e i 29 anni.
«Ci sono stati casi di suicidio pochi mesi prima dell’uscita dal carcere», rivela Michele Miravalle, componente dell’osservatorio nazionale di Antigone. Stando al report dell’associazione, inoltre, molte persone che si sono tolte la vita erano ancora in attesa di giudizio. Dodici suicidi avvenuti quest’anno, poi, sono avvenuti dopo brevi permanenze in carcere e “nella maggior parte di questi casi le persone erano affette da patologie psichiatriche”. Quello della salute mentale in carcere può definirsi un’emergenza. «Il problema della salute mentale forse è la grande emergenza del carcere di oggi in Italia», evidenzia Miravalle spiegando che «il 40% delle persone detenute fanno uso sistematico di psicofarmaci». Il carcere, aggiunge «non ha strumenti per affrontare molte di queste situazioni perché c’è un’emorragia di personale professionale sanitario e di operatori di salute mentale che sistematicamente mancano e quindi, spesso, si ricorre allo psicofarmaco senza poter fare null’altro».
Le richieste alle istituzioni
Proprio il tema della salute mentale rientra tra quelli sottoposti all’attenzione delle istituzioni dopo il sit-in di ieri a Palermo. «Chiediamo di evitare la detenzione per i soggetti fragili, identificati come malati psichiatrici o con gravi problemi psicologici», spiega Pino Apprendi. Ma le richieste al prossimo esecutivo non si esauriscono qui: «Chiediamo di creare le condizioni affinché i detenuti in attesa di giudizio possano scontare a casa il periodo che li vede lontani dalla condanna». E ancora: «Un intervento svuotacarceri che metta fuori i ragazzi dai 20 ai 30 anni che sono negli istituti penitenziari per reati minori». Sono persone che, secondo i dati di Antigone, rappresentano la seconda fascia d’età nei casi di suicidi.
In carcere ci si toglie la vita 16 volte più di fuori
Ogni suicidio cela dietro di sé una storia che meriterebbe di essere analizzata senza trasformarla in un numero. Ma i numeri ci sono e vanno interpretati. Secondo il citato rapporto di Antigone, infatti, “un importante indicatore del fenomeno – oltre ai numeri assoluti – è il tasso di suicidi, ossia la relazione tra il numero di decessi e le persone detenute”. Sebbene l’anno non si sia ancora concluso, il tasso di suicidi nel 2022 “sembra destinato a crescere rispetto al biennio precedente”: nel 2020 il tasso di suicidi era pari a 11 casi ogni 10mila persone detenute, mentre nel 2021 il valore è stato di 10,6 suicidi ogni 10mila persone detenute. E se questo non bastasse, Antigone ha confrontato il fenomeno suicidario all’interno del carcere con quello fuori dove si registrano 0,67 suicidi ogni 10mila persone. Negli istituti penitenziari, invece, “ci si leva la vita ben 16 volte in più rispetto alla società esterna”. Ma perché il 2022 rischia di passare alla storia come l’anno con il numero di suicidi più alti dell’ultimo ventennio? «Le risposte possono essere molte – commenta Miravalle –. Non è banale che questo sia stato il primo anno post pandemico e che questa sia l’onda lunga di una pandemia che ha trasformato molto non solo la società, ma anche il carcere.
Il carcere si sta riprendendo dalla pandemia molto più lentamente della società: molti progetti, anche nel mondo del volontariato, sono andati avanti a singhiozzo e alcuni si sono fermati e non hanno più ripreso. E quindi è chiaro che il carcere si trova in una situazione di abbandono, di solitudine».
Un primo passo: più telefonate per i detenuti
«Monitoriamo la situazione dei suicidi da molti mesi», spiega Miravalle. «Ad agosto 2022 – ricorda – abbiamo avuto praticamente un suicidio ogni due giorni. Ormai siamo ben oltre il numero di suicidi degli ultimi anni». Proprio quest’estate Antigone ha lanciato la campagna “Una telefonata allunga la vita” per sollecitare un allargamento delle maglie in materia di colloqui telefonici dei detenuti. «Ovviamente le telefonate non sono risolutive del problema, ma sono un importante strumento di prevenzione», spiega Miravalle.
Solo pochi giorni fa il Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) ha diramato una circolare che affida discrezionalità ai direttori del carcere nell’autorizzare i colloqui telefonici o le videochiamate (introdotte in pandemia), anche oltre i limiti stabiliti dal regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario. Ma l’intervento dovrà essere stabilizzato dal legislatore e, quindi, dal Parlamento che sta per insediarsi. «Il Dap – commenta Miravalle – ha scelto una strada abbastanza prudente suggerendo ai direttori di avere un’applicazione meno restrittiva del regime delle telefonate che era stato allargato durante il Covid e che noi auspicavamo diventasse legge. Non siamo ancora a quel punto, ma è un primo risultato di percezione di un disagio che va affrontato».
AVVENIRE Giuseppe Pastore 11.11.2022
Suicidi in cella, 75 nel 2022: l’allarme del garante regionale dei detenuti Muglia
Obiettivi del dossier
– Presentazione di “Morire di carcere”
– L’informazione giornalistica sulle morti in carcere
– I suicidi in ambito penitenziario
– L’assistenza sanitaria disastrata
– Le morti per cause non chiare e per overdose
– Proposte per mantenere alto il livello d’attenzione sulle morti in carcere
Fonti indipendenti
– “Suicidi in carcere nel 2021”, dalla Relazione al Parlamento del Garante nazionale dei detenuti
– Suicidi, tentati suicidi e atti di autolesionismo nelle carceri: serie storica 1990-2014 (pdf)
– Suicidi anno 2013: confronto tra i dati rilevati dal Ministero e il nostro dossier (pdf)
– Suicidi in carcere: quando la “conservazione del principio di legalità” è venuta meno (pdf)
– Il suicidio tra i detenuti sottoposti al regime di 41-bis, cd. “carcere duro” (pdf)
– Dossier “Morire di Carcere”: numero speciale sull’ergastolo e il 41-bis (pdf)
– Suicidi “presunti innocenti” e quelli che in carcere non dovevano stare (pdf)
– Suicidi in carcere: confronto statistico tra Italia, Europa e Stati Uniti (pdf)
– Troppi detenuti suicidi, quando il problema è l’invivibilità delle carceri (pdf)
– Confronto tra i suicidi in carcere nei decenni 1960-1969 e 2000-2009 (pdf)
Ministero Giustizia-DAP
– Eventi Critici negli Istituti Penitenziari. Serie storica 1992-2019 (pdf)
– Eventi Critici negli Istituti Penitenziari. Anno 2018 (pdf)
– Eventi Critici negli Istituti Penitenziari. Anno 2017 (pdf)
– Eventi Critici negli Istituti Penitenziari. Anno 2016 (pdf)
– Eventi Critici negli Istituti Penitenziari. Anno 2015 (pdf)
– Eventi Critici negli Istituti Penitenziari. Anno 2014 (pdf)
– Eventi Critici negli Istituti Penitenziari. Anno 2013 (pdf)
– Eventi Critici negli Istituti Penitenziari. Anno 2012 (pdf)
– Eventi Critici negli Istituti Penitenziari. Anno 2011 (pdf)
– Eventi Critici negli Istituti Penitenziari. Anno 2010 (pdf)
– Eventi Critici negli Istituti Penitenziari. Anno 2009 (pdf)
– Eventi Critici negli Istituti Penitenziari. Anno 2008 (pdf)
– Eventi Critici negli Istituti Penitenziari. Anno 2007 (pdf)
– Quaderni I.S.S.P.: “La prevenzione del suicidio in carcere”. Dicembre 2011 (pdf)
Altri documenti
– “Quelle strane morti dietro le sbarre”, di Alberto Custodero per Repubblica.it (pdf)
– Morire di carcere in Toscana: time-line a cura de “Altracittà” e “perUnaltracittà“
– Comitato Bioetica: “Il suicidio in carcere. Orientamenti bioetici”. Giugno 2010 (pdf)
– Regione Toscana: linee indirizzo gestione casi a rischio suicidario. Settembre 2009 (pdf)
– World Health Organization: “La prevenzione del suicidio nelle carceri”. Anno 2007 (pdf)
– Consiglio d’Europa: statistiche sui detenuti suicidi nelle carceri europee, dal 1998 al 2006 (pdf)
FONTE Ristrettì Orizzonte