di Lionello Mancini
Progressione costante (ma lenta) per la pattuglia di imprese con il rating di legalità. A fine aprile erano 467 e un altro centinaio è in attesa del responso dell’Antitrust.
A rallentare la piena affermazione del rating sono ben identificabili alcuni antagonisti temibili, soprattutto perché silenziosi o – peggio – a parole convinti sostenitori dell’idea. Due i principali: la burocrazia e il sistema bancario.
Burocrazia
Significativa la vicenda riferita da un top manager di un grande gruppo manifatturiero, dotato di rating a tre stelle e iscritto alla white list. «Siamo in attesa di una somma importante che ci è dovuta dal governo. Per erogazioni sopra i 150mila euro, il ministero competente richiede alla prefettura competente la documentazione antimafia. Ma se, come nel nostro caso, un’azienda è in fase di rinnovo dell’iscrizione nelle white list, il ministero preferisce aspettare l’avvenuta riconferma. Consapevole dei rischi connessi al dilatarsi dei tempi, lo stesso ministero ha sollecitato la prefettura a decidere sul nostro rinnovo e intanto ci ha comunque richiesto la documentazione sostitutiva, prontamente inviata. Ed è anche iniziato l’esame del fascicolo, ma purtroppo (non ne so il motivo), a cura di un ufficio diverso da quello che autorizza i pagamenti e quindi l’iter si è complicato. In questo stato di sospensione, ci è stato intanto ribadito che, per evitare pagamenti a soggetti che potrebbero non essere riammessi alle white list, il ministero aspetterà in ogni caso il via libera della prefettura. Quindi a oggi i tempi restano un punto interrogativo».
La morale è sintetizzata con palpabile sarcasmo dallo stesso manager: «Le verifiche per non dare soldi ai mafiosi sono giuste. Ma se un’azienda qualunque deve autocertificare il suo essere “mafia free” , questo passaggio non serve se si è in white list. Tuttavia, poiché la richiesta di rinnovo giace da alcuni mesi, Roma preferisce aspettare la conferma ufficiale. Peccato che la prefettura non riesca a cogliere il valore economico del tempo e per noi, alla fine, era meglio non essere in white list. Insomma, finché l’etica non diventa denaro, è destinata a rimanere un tema di élite».
Credito
Il sistema bancario non si convince – come prevedono la legge istitutiva e anche il buon senso – a tenere in dovuto conto il valore oggettivo che il rating aggiunge a un’impresa.
Non proprio incoraggiante, sotto questo aspetto, l’esito del confronto più recente (5 febbraio) tra Antonello Montante, vicepresidente Confindustria, e Antonio Patuelli, presidente Abi, come si legge sul sito dell’associazione bancaria: «[…] Oggetto del vertice la condivisione dell’importanza e della necessità di valorizzare il tema del rating di legalità, strumento teso a premiare le imprese caratterizzate da elevati standard di trasparenza. Montante e Patuelli hanno ragionato sulle opportunità che questo strumento già fornisce e può ulteriormente garantire nell’ambito dell’attività di finanziamento al mondo produttivo».
Dunque, sul fronte premiale decisivo si è così indietro che viene salutato con entusiastico stupore il fatto che un piccolo istituto marchigiano, la Banca della Provincia di Macerata, abbia fissato i criteri per favorire le aziende virtuose.
Con il rating a una stella, l’impresa ha diritto a una risposta entro 25 giorni, alla riduzione del 50% delle spese d’istruttoria, alla conferma della classe di merito creditizio e relativa fascia di condizioni.
Con il rating a due stelle, la risposta arriva entro 20 giorni, le spese d’istruttoria scendono del 60%, si sale di una classe di merito.
Da due a tre stelle, i tempi di risposta si riducono a 15 giorni, le spese istruttorie del 75% e viene riconosciuto il miglioramento di due classi di merito creditizio e relativa fascia di condizioni.
Non possiamo giurare che la Banca della Provincia di Macerata sia la prima o l’unica banca a compiere questo semplice passo, ma è una conferma sicura che – anziché limitarsi “a ragionare” – il sistema creditizio potrebbe dare una grossa mano al rating.
SOLE 24 ORE 11.5.2015