Beni confiscati: firmato un protocollo tra Regione Lombardia , ANBSC e ANCI per accelerare il riutilizzo
Cosa non sta funzionando nella gestione dei beni confiscati alla mafia
La legge 109/96 permette di restituire alla comunità i beni confiscati alle mafie. Ma la sua applicazione rivela ancora molte problematiche
Camorra, ‘ndrangheta, Cosa Nostra, Sacra Corona Unita sono prima di tutto potentati economici e finanziari, con proprietà e interessi in ogni angolo d’Italia e del mondo. Un aspetto fondamentale dell’opera di contrasto alla criminalità organizzata è lo smantellamento di questi imperi. E uno strumento che permette non solo di colpire le mafie al portafoglio, ma anche di redistribuirne i beni alla collettività, è la legge 109/96.
La 109/96: una buona legge
Spesso si parla di leggi inefficaci, tardive, dannose. Cattive normative. La numero 109 del 1996 ha rappresentato invece una svolta. Regola la confisca dei beni di proprietà degli esponenti mafiosi e, soprattutto, la loro riassegnazione.
Grazie ad essa, case, terreni, aziende, oggetti un tempo di proprietà della criminalità organizzata possono diventare patrimonio della collettività.
A gestirli nella loro nuova vita sono gli enti pubblici o, spesso, organizzazioni del terzo settore che li ottengono in comodato d’uso. È un’idea nata dal basso. La volle fortemente Libera, l’associazione antimafia fondata da Don Luigi Ciotti. La ottenne, appunto, nel 1996. Nel tempo riuscì anche a migliorarla, come quando nel 2010 il governo – su proposta degli attivisti – istituì un’agenzia dedicata alla gestione di questi beni, l’ANBSC(Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati).
I beni confiscati: quanti sono e dove sono
Per tracciare un bilancio di questo strumento legale, a quasi trent’anni dalla sua entrata in vigore, è utile partire dai numeri. Ce li fornisce il ministero della Giustizia, nel suo rapporto semestrale al Parlamento.
Prima considerazione: i beni sequestrati sono tanti. Il governo ha nei suoi database fascicoli riguardanti 230.517 beni a giugno del 2022. Di questi, solo il 40% circa è stato alla fine dell’iter giudiziario dissequestrato e restituito ai proprietari. Seconda considerazione: i sequestri sono in calo da anni. Dal 2017, in media meno di 500 nuovi fascicoli l’anno.
Terza considerazione: tali beni sono ovunque.
Le regioni storicamente a più alta concentrazione mafiosa – quelle del sud e la Sicilia – rimangono prime in classifica, ma percentuali importanti di confische si registrano anche al centro e al nord.
Inquinamento
«Sfatiamo il mito della mafia radicata solo al meridione. Oggi la criminalità organizzata è ovunque, seppure in modo non omogeneo», commenta Tatiana Giannone di Libera. «A seconda delle località, semmai, troviamo diversi tipi di beni. In Sicilia una percentuale maggiore di terreni, in Emilia-Romagna di aziende».
I dati confermano questo scenario. Che si guardi al numero di fascicoli aperti nei palazzi di giustizia o alla mole di beni, il meridione domina, ma nessuna regione può dirsi libera dal fenomeno mafioso. Il 38,6% dei beni iscritti nella banca dati centrale del governo è al sud, il 34% nelle isole (in cui la Sicilia fa la parte del leone). Il 16% si trova al nord, mentre il centro chiude la classifica con l’11,2%.
Di cosa parliamo quando parliamo di beni confiscati
Il sequestro di un bene parte solo laddove il proprietario, indiziato per associazione mafiosa, non ne dimostri l’origine lecita. Con la condanna in secondo grado il bene viene confiscato e trasferito all’agenzia preposta, l’ANSBC. Solo a seguito della condanna definitiva è assegnato allo Stato nelle sue diverse articolazioni (dai ministeri alle forze dell’ordine) o agli enti locali, che a loro volte possono farlo gestire ad una realtà del terzo settore.
I beni di cui parla il rapporto ministeriale possono trovarsi a uno stadio diverso di questo lungo iter. Il 39% dei 230.517 beni censiti dal ministero è stato alla fine dissequestrato, e il 15,3% è ancora in fase preliminare, semplice proposta di sequestro.
Legalità
Quanti beni, allora, sono stati davvero affidati alla comunità? La risposta non è semplice. Il sistema di trasmissione delle informazioni tra l’agenzia preposta e il governo non è ancora entrato pienamente in funzione, e il ministero nel suo rapporto indica per questo numeri non aggiornati.
Open Regio, portale pubblico dedicato, parla di 21.038 beni destinati al 30 giugno 2022. Altre stime arrivano a cifre leggermente più basse, attorno ai 19mila. In ogni caso, è su questi numeri che si concentrano le critiche di parte del mondo antimafia. Tanti, troppi beni confiscati rimangono inutilizzati o, peggio, occupati abusivamente dai vecchi proprietari.
Troppi beni abbandonati. E per arrivare alle assegnazioni si aspettano anche dieci anni
Matteo Iannitti è un giornalista della rivista online I Siciliani Giovani. Si tratta di una testata che di antimafia si occupa da sempre. La sua redazione ha sede in un locale sequestrato alla criminalità organizzata. È erede de I Siciliani, il giornale di Pippo Fava, che proprio per la sua attività di cronista venne ucciso dai clan.
«Abbiamo tante belle storie di beni sequestrati e consegnati alla comunità. Storie spesso romantiche, commoventi», spiega. «Ma rischiano di restare mosche bianche. Su 45mila beni circa che ci risultano essere destinati o in gestione, contiamo meno di 2.500 esperienze sociali attive».
Libera ha un giudizio più sfumato: «In 27 anni sono stati fatti moltissimi passi avanti. Oggi quasi mille enti del terzo settore gestiscono ex-proprietà mafiose. Moltissime aziende hanno trovato il loro posto nel mercato legale, sano», osserva Tatiana Giannone. Anche lei, però, condivide certe perplessità: «Dal sequestro all’uso sociale del bene possono passare più di 10 anni. Tempi lunghi, lunghissimi, nei quali le proprietà non sono di fatto a disposizione delle persone».
Trasparenza che manca
La trasparenza è in teoria un pilastro della legislazione antimafia. I cittadini hanno diritto di sapere nel dettaglio cosa lo Stato abbia strappato alla criminalità organizzata. Ma anche qui lo iato tra teoria e pratica si fa sentire.
Il rapporto «RimanDati», curato annualmente da Libera, rileva come il 60% dei Comuni non abbia pubblicato l’elenco dei beni confiscati in suo possesso. Nonostante la legge glielo imponga. Le cose non migliorano se alziamo lo sguardo fino alla ANSBC, spiega Iannitti: «Il 30% dei beni destinati è irreperibile, cioè non è indicato un indirizzo esatto. Di molti mancano i dati catastali. E i beni non ancora destinati sono del tutto anonimi, senza informazioni».
«L’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati è la più grande agenzia immobiliare d’Europa – prosegue il giornalista -. Non è accettabile che gli manchino le risorse per compiere un corretto lavoro di informazione trasparente». Spesso a porre rimedio sono proprio le associazioni. Libera censisce le realtà del terzo settore che hanno in comodato d’uso beni confiscati. Quest’anno ha deciso di farlo ancora più in profondità, e con la campagna «Raccontiamo il bene» chiede agli stessi gestori dei beni di parlare della loro esperienza.
«Stanno sabotando la legge 109/96»
“Andrà bene” è invece il nome scelto da Arci e I Siciliani Giovani per il loro progetto. L’obiettivo è di tracciare e inserire in una mappa facilmente consultabile tutti i beni confiscati nell’isola. Il lavoro è ancora incompleto, ma sulla città di Catania – da cui l’iniziativa è partita – i dati sono già affidabili. Per Iannitti gli strumenti legali ci sono già: «Il problema è di volontà politica. Noi spesso ci troviamo di fronte ad un muro di gomma delle istituzioni». Iannitti ci descrive uno scenario fatto di migliaia di beni ancora occupati illegalmente dai vecchi proprietari – cioè dalla mafia. E ancora di più, decine di migliaia semplicemente abbandonati, talvolta in stato ruderale: «Noi parliamo di sabotaggio. Sabotaggio della 109/96, sabotaggio della legge Rognoni-La Torre, che creò il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso».
I beni confiscati non sono solo immobili
Le proprietà che lo Stato strappa alle mafie sono per il 46% immobili: ville, appartamenti, terreni, garage. Ma l’ANSBC gestisce anche beni mobili, come oggetti di valore e vetture; aziende di ogni genere; beni finanziari come contanti o pacchetti azionari. Normalmente, solo immobili e aziende sono oggetto di destinazione. Un problema comune nelle esperienze di beni e aziende confiscate e poi destinate è la difficoltà a reperire i finanziamenti necessari. Roberto Orioles, direttore de I Siciliani Giovani, ci parla di una possibile soluzione: «La mafia non ha solo case e aziende. Le vengono sequestrati anche conti correnti e contanti che rimangono congelati. Perché non redistribuirli alla comunità, magari proprio alle imprese confiscate o ai beni destinati?»
Mafie
Iannitti fornisce i numeri: «Secondo le stime, ci sono quattro o cinque miliardi di euro presi alle mafie e lasciati al Fondo Unico Giustizia, che li parcheggia o li usa per altro».
Ciò che serve per una gestione efficace dei beni confiscati alle mafie
L’uso sociale dei beni confiscati alla mafia è assieme un modello e un problema. Parliamo di una legislazione che rappresenta un esempio per il resto del mondo, e di tante esperienze di assoluto valore. Ma anche di un’applicazione problematica, e di tanti beni abbandonati a loro stessi o lasciati a chi non dovrebbe averli.
L’importanza di colpire al portafoglio la criminalità organizzata ce la racconta chi sui territori ne vede ogni giorno gli effetti. «Noi non facciamo gestione diretta, ma aiutiamo enti locali e associazioni che vogliono intraprendere questo percorso – aggiunge Giannone -. Un esempio virtuoso per noi è quello della GeoTrans di Catania.
Parliamo di un’azienda di trasporti in mano alle cosche ripresa in mano da una cooperativa formata dai lavoratori stessi. Oggi opera nella legalità ed è in salute». La stessa redazione de I Siciliani Giovani ha sede in un locale confiscato. Un appartamento con giardino nel centro di Catania che, per chi ci lavora, ha un valore particolare.
Quell’immobile era di proprietà di Nitto Santapaola, il boss di Cosa Nostra che volle l’omicidio di Pippo Fava, padre nobile del giornale. Di questo spazio racconta Orioles: «Quando lo abbiamo avuto, come prima cosa abbiamo organizzato un evento per ragazzi autistici.
Dalle nostre parti funziona così: un giornale fa anche da associazione, da centro sociale, daluogo di cultura. Da noi vengono ragazzi stranieri a fare scambi culturali, si riuniscono i boy scout. Davvero lo abbiamo ridato alla comunità». Esperienze virtuose, insomma. Che però, senza sostegno politico, rischiano di diventare oasi di socialità in un deserto di abbandono.
Lorenzo Tecleme 20
RELAZIONE
Il RAPPORTO 2022
Metà dei beni sequestrati alla criminalità organizzata è inutilizzata
Lo dice un’indagine della Commissione bicamerale antimafia, che spiega i problemi nel processo di regolarizzazione e riassegnazione
C’è un problema in Italia che riguarda i beni sequestrati alla mafia. Secondo dati aggiornati a giugno 2021, 18.518 immobili e 2.929 aziende in 2.176 comuni devono ancora essere destinati.
In pratica bisogna ancora capire cosa farne: se venderli o liquidarli, abbatterli in alcuni casi o se assegnarli ad associazioni del terzo settore. Molte amministrazioni comunali dicono di non sapere nemmeno se nel loro territorio esistano beni sotto sequestro. E anche quando lo sanno, spesso non conoscono le finalità cui possono essere destinati e qual è la strada da seguire per arrivare a utilizzarli.
In generale il percorso burocratico è lentissimo, gli immobili si deteriorano, le aziende sequestrate rischiano il fallimento. Le criticità sono descritte nella relazione dell’inchiesta sui beni sequestrati e confiscati realizzata dalla Commissione bicamerale antimafia e approvata all’unanimità ad agosto. Due mesi prima era stata l’associazione Libera a realizzare un rapporto in occasione dei 25 anni della legge 109 del 1996, che integrava la legge Rognoni-La Torre del 1982 per quanto riguardava la restituzione alla collettività dei beni tolti ai mafiosi.
Dall’entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre (l’articolo 17 della legge dice «Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego») sono stati sequestrati 36.000 beni immobili: il 48% è stato destinato, dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità, a finalità istituzionali e sociali, ma per circa metà rimane ancora da decidere cosa farne (l’elenco dei beni si trova sul sito Open Re.Gi.O).
Secondo la relazione di Libera il maggior numero di beni immobili è stato confiscato in Sicilia (6.906), quindi in Calabria (2.908), in Campania (2.747), in Puglia (1.535) e in Lombardia (1.242). I problemi che bloccano i vari passaggi burocratici possono essere l’esistenza di quote indivise, irregolarità urbanistiche, occupazioni abusive (i proprietari non se ne sono mai andati oppure hanno chiesto a parenti o amici di occupare l’immobile) o problemi strutturali.
Le aziende confiscate sono invece 4.384: il 34% è già stata destinata alla vendita o alla liquidazione, all’affitto o alla gestione da parte di cooperative formate dai lavoratori.
La maggior parte però, il 66%, è ancora in gestione all’agenzia.
Il problema, per quanto riguarda le aziende, è che molte sono scatole vuote o società paravento per le quali un percorso di regolarizzazione è impossibile. Dice il dossier di Libera: «Sul fronte delle aziende la maggior parte di quelle confiscate giunge nella disponibilità dello Stato priva di reali capacità operative; le aziende sono spesso destinate alla liquidazione e alla chiusura, se non si interviene in modo efficace nelle fasi precedenti».
Il problema principale per un’azienda confiscata alla criminalità organizzata è paradossalmente il passaggio alla legalità: il lavoro nero deve essere sostituito da lavoro regolare, vanno pagate tasse e contributi pregressi, la gestione delle forniture diventa infine trasparente. E fornitori che prima non esigevano pagamenti arretrati per timore di rappresaglie violente da parte della criminalità, nel momento in cui il bene passa allo Stato tornano a esigere quanto spetta loro. I costi, insomma, sono alti.
In più c’è un problema legato alle banche. Lo sottolinea la relazione della Commissione antimafia: «Le banche vedono nelle misure giudiziarie non un passo positivo verso la legalità ma un aumento dei rischi».
Il risultato è che le aziende, così come gli immobili a uso abitativo, restano per mesi o anni utilizzati. E più passa il tempo più hanno poi bisogno di interventi di recupero. Tra i beni sequestrati c’è anche il denaro di conti correnti, titoli azionari, fondi di investimento che confluiscono poi nel Fug, il Fondo unico giustizia, che li utilizza per vari scopi come l’assistenza alle vittime di violenza. Spetta al presidente del Consiglio determinare, di anno in anno, come devono essere utilizzati i soldi del Fondo.
In un incontro che ebbe con i membri della Commissione parlamentare antimafia, il 21 settembre 2017 in occasione dell’anniversario dell’assassinio del giudice Rosario Livatino, Papa Francesco definì «palestre di vita» i beni confiscati alla mafia e riconvertiti a uso sociale. Sono 900 le organizzazioni dell’associazionismo che ne hanno avuti in gestione. Le organizzazioni criminali non sono state a guardare.
«I beni sequestrati affidati all’associazionismo e al volontariato», dice don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, «sono diventati strumenti di prevenzione antimafia che i clan mafiosi hanno provato sempre ad ostacolare – perché hanno inferto un duro colpo al loro potere economico e di controllo del territorio – tentando azioni elusive, di condizionamenti fino ai danneggiamenti ed alcune volte alla distruzione dei beni stessi».
Dove non sono arrivate le organizzazioni criminali arriva a volte la burocrazia, troppo lenta, e anche la miopia, o semplicemente la scarsa preparazione, delle amministrazioni locali. Don Ciotti parla di «una debole capacità di gestione, la presenza di varie forme di criticità sullo stato dei beni, un raccordo insufficiente tra fase giudiziaria e amministrativa, una trasparenza delle informazioni ancora parziale, una difficoltà a mettere in atto una concreta progettualità sostenibile».
Per capire meglio quali siano i problemi, si può guardare alla situazione della Sicilia dove, dice Claudio Fava, presidente della Commissione antimafia dell’Assemblea Regionale Siciliana, «i numeri sono impietosi». In Sicilia su 780 imprese definitivamente confiscate solo 39 sono attive. Per quanto riguarda quelle “destinate”, solo 11 su 459 non sono state poste in liquidazione.
Ha detto Claudio Fava nella sua relazione del febbraio 2021:
«È assente un approccio manageriale da parte dell’Agenzia… Poca sinergia istituzionale fra i soggetti (Agenzia, coadiutori giudiziari, enti locali, prefetture, tribunali…). Manca un reale sistema di sostegno delle imprese confiscate, spesso disarmate di fronte ai sabotaggi del mercato e al ritorno di fiamma di Cosa nostra. Troppi i beni immobili che risultano ancora occupati da coloro a cui erano stati confiscati: per lo Stato e per la società civile, danno e beffa insieme. Grave, poi, che il vulnus emerga spesso solo grazie alla volenterosa attività di monitoraggio svolta da alcune associazioni del terzo settore».
Che la situazione in Sicilia sia complicata lo conferma al Post anche Matteo Ianniti, giornalista del giornale I Siciliani giovani, che ha avviato una campagna per verificare, a Catania e in tutta la Sicilia, l’effettivo stato degli immobili sequestrati, e se fossero poi finiti realmente a coloro a cui erano destinati. «Ci siamo accorti presto», dice Ianniti, «che l’85% degli immobili erano ancora nelle mani di quelli a cui erano stati sequestrati. Andammo a vedere tre palazzine sequestrate a Catania e che secondo Open Re.Gi.O erano state assegnate ai carabinieri. Trovammo panni stesi e ingenuamente pensammo che fossero dei carabinieri. Nient’affatto, erano dei parenti del soggetto a cui il bene era stato sequestrato che avevano occupato le palazzine. I carabinieri non ne sapevano nulla».
Per quanto riguarda le aziende la questione è ancora più complicata: «Molte società sono all’interno di scatole cinesi, non bisogna pensare che all’indirizzo dove è indicata una società ci sia veramente un’azienda. Spesso non c’è assolutamente nulla e quella società serviva solo di copertura, o per il passaggio di denaro sporco. Certo, ci sono esempi anche virtuosi come la Geotrans, una società di trasporti che si è salvata dopo molte traversie grazie all’arrivo di nuovi clienti».
La storia della Geotrans è quella di un’azienda di trasporti sequestrata a Vincenzo Ercolano e Cosima Palma Ercolano, figli di Giuseppe Ercolano e di sua moglie Grazia Santapaola (sorella del boss Nitto Santapaola). La gestione venne data all’amministratore giudiziario che si accorse presto però che gli Ercolano avevano fondato una nuova società, divisa solo da un muro dalla sede dell’azienda ora amministrata dallo Stato. La nuova società, giorno dopo giorno, portava via i clienti alla Geotrans. La società confiscata perse in poco tempo l’80% dei clienti. Ora la Geotrans è rinata come cooperativa di lavoratori.
A Trapani c’è un altro esempio ora virtuoso. A metà degli anni Novanta la Calcestruzzo Ericina venne sequestrata al boss mafioso Vincenzi Virga. Per cinque anni, però, i figli del boss mafioso a cui apparteneva l’azienda furono presenti tutti i giorni all’interno dell’impianto gestendo di fatto gli affari. Nel 2000 l’azienda fu confiscata definitivamente ma a quel punto accadde che la società, fiorente in mano alla criminalità organizzata, vide crollare le commesse, sia pubbliche sia private. La mafia fece terra bruciata attorno all’azienda sperando di farne crollare il valore per poi riacquistarla a prezzi bassissimi. Fallì nel tentativo perché, come previsto dalla legge, la Calcestruzzi Ericina venne affidata a una cooperativa costituita dai lavoratori dell’azienda.
Secondo Libera l’Agenzia nazionale si deve dotare ora di competenze e professionalità per poter eliminare i ritardi. Servono le persone giuste per svolgere tutte le funzioni e i compiti di gestione, destinazione, verifica e monitoraggio del riutilizzo, assieme ovviamente all’autorità giudiziaria e alle amministrazioni locali. L’associazione ha anche dato vita a una Scuola di formazione nazionale beni confiscati.
Esistono poi altre iniziative. La Federmanager ha previsto un corso per formare in un anno 40 professionisti esperti di diritto, economia e cultura aziendale che si occupino di gestione, recupero e rilancio delle attività sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata. Da parte sua la Commissione bicamerale antimafia propone di fornire ora agli enti locali un vademecum: si va dalla finalità a cui può essere destinato il bene al percorso che bisogna seguire per utilizzarlo, fino a come presentare la manifestazione di interesse all’Agenzia nazionale, con tanto di documenti e indirizzi utili da contattare in caso di difficoltà.IL POST
Beni confiscati, così non va
L’alta magistratura contabile nota allarmata che molti beni confiscati non vengono utilmente assegnati e riutilizzati. Certamente uno spreco di risorse, ma anche di legalità.
La legge ispirata da Pio La Torre sul sequestro dei patrimoni mafiosi e poi quella nata dalla raccolta di firme di Libera sul riutilizzo sociale di quei patrimoni hanno appunto un valore sociale oltre che economico: restituire ai cittadini e alle cittadine quanto sottratto dalla criminalità organizzata.
Ma se questi patrimoni rimangono fermi per lungaggini amministrative e per la difficoltà di assegnarli per farli rivivere il danno è doppio, e la costruzione di legalità ancora più difficile.
La delibera della Corte dei Conti
“I provvedimenti di sequestro o confisca dei beni della criminalità organizzata sono in continuo aumento e superano costantemente i provvedimenti di riutilizzo, anche in virtù delle varie criticità rilevate”.
È quanto afferma la Corte dei conti nella delibera n. 34/2023/G. I rilievi e le critiche non si fermano qui: “Malgrado le cospicue risorse umane e finanziarie impiegate – si legge nel documento – il volume delle informazioni raccolte sui beni sequestrati o confiscati non è ancora confluito in un sistema di dati affidabile, completo e pienamente consultabile”. E continuando a leggere il documento si scopre che gli ostacoli individuati dai giudici sono nel destinare a nuovo uso i beni sequestrati alle mafie, ovvero gli stessi più volte denunciati dalla Cgil e dalle associazioni che si occupano di legalità: “Oltre alla lunghezza dei procedimenti, alla ridotta disponibilità finanziaria dei Comuni e degli enti del terzo settore, che rende difficoltoso l’avvio dei progetti di reimpiego sociale delle strutture sottratte alle organizzazioni criminali, soprattutto nel caso di immobili in cattivo stato manutentivo o soggetti a spese di gestione”. Non solo, ma sono anche poco conosciute le risorse disponibili e come poterne disporre.
Voglia di legalità?
La volontà politica di continuare la lotta alle mafie e la determinazione nel proseguire sulla via del riutilizzo sociale dei beni confiscati sono priorità dell’attuale maggioranza di governo? La domanda è lecita visto le lungaggini, ad esempio nell’avviare i lavori della Commissione parlamentare antimafia. E il nuovo codice degli appalti che certo non stringe le maglie su controlli e prevenzione per evitare che le risorse europee finiscano alle cosche. Libera e Cgil nazionale concordano con quanto affermato dalla Corte. Luciano Silvestri, responsabile Legalità della Confederazione di Corso di Italia e Tatiana Giannone, referente nazionale per il settore beni confiscati dell’Associazione fondata da don Luigi Ciotti, affermano: “La Corte dei Conti ci dice una cosa molto chiara: è giunto il tempo di aprire un tavolo di lavoro e di confronto fra i soggetti sociali e il governo sulla gestione dei beni sequestrati e confiscati. Continua in nostro impegno per una mobilitazione forte: il riutilizzo dei beni confiscati rappresenta uno strumento formidabile di contrasto alle mafie e alla criminalità organizzata”.
“A fronte di quanto evidenziato dalla Corte dei Conti – sostengono – è necessario accrescere il livello di trasparenza delle pubbliche amministrazioni in materia di beni confiscati e garantire la piena conoscibilità dei dati e delle informazioni in modo che possa essere da stimolo per la partecipazione democratica dei cittadini e delle cittadine”. Per Libera e Cgil “è necessario coinvolgere il terzo settore come presupposto per tutti gli interventi normativi pubblici e per gli interventi di sostegno finanziario pubblici e privati. Dobbiamo mettere a sistema tutti i finanziamenti pubblici (locali, nazionali e di derivazione europea) che possono trovare negli immobili confiscati strumenti di realizzazione delle politiche pubbliche e in particolare le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza Next Generation Eu”. “La stessa valorizzazione dei beni confiscati – continuano – non dovrà riguardare soltanto opere di ristrutturazione e ri-funzionalizzazione, ma comprendere la fase di start-up e di gestione delle esperienze di riutilizzo, così come gli interventi di sostegno dovranno interessare tutte le Regioni e non solo il Sud e le Isole”.
Per la Confederazione e l’associazione “il Codice antimafia deve essere attuato in tutte le sue positive innovazioni quale strumento efficace di contrasto patrimoniale alle mafie, con l’effettiva estensione ai corrotti delle norme su sequestri e confische previste per gli appartenenti alle mafie. Dobbiamo garantire il diritto al lavoro, sostenendo le esperienze dei workers buyout e di cooperative di lavoro nate all’interno di aziende sequestrate e confiscate, tutelando i lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate e dando un supporto adeguato al fine della loro continuità imprenditoriale”. “Inoltre – affermano ancora– va rivisto il sistema di riutilizzo delle risorse liquide (conti correnti, denaro liquido ecc.) sequestrate dedicando una parte di esso al sostegno dei beni confiscati e dei Comuni che quei beni li prendono in carico.
L’Anbsc ad esempio, che oggi si trova a fare il semplice passacarte, potrebbe andare nella direzione di implementare la sua autonomia finanziaria. Neppure quando c’è da demolire un bene perché abusivo l’Agenzia riesce a intervenire, poiché la demolizione ha un costo. I benpensanti cavalcano questa situazione chiedendo a gran voce la vendita dei beni, dimenticando che in alcuni casi la vendita ad alcune categorie di soggetti è già possibile come extrema ratio, e come tale deve essere considerata. Noi – concludono Cgil e Libera – siamo nettamente contrari a questa sciagurata ipotesi e ci batteremo con tutte le nostre forze per evitarla. Sarebbe un regalo alle mafie e una resa incondizionata da parte dello Stato”. 10/05/2023 – Collettiva
Beni confiscati alla mafia, la Corte dei Conti: sistema dati non ancora affidabile, completo e pienamente consultabile
I provvedimenti di sequestro o confisca dei beni della criminalità organizzata sono in continuo aumento e superano costantemente i provvedimenti di riutilizzo, anche in virtù delle varie criticità rilevate. E` quanto afferma la Corte dei conti nella Delibera n. 34/2023/G della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, in cui la magistratura contabile ha esaminato le funzioni svolte dall`Agenzia nazionale per l`amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Nel documento, la Corte ha rilevato che, malgrado le cospicue risorse umane e finanziarie impiegate, il volume delle informazioni raccolte sui beni sequestrati o confiscati non è ancora confluito in un sistema di dati affidabile, completo e pienamente consultabile. Secondo i giudici contabili, inoltre, gli ostacoli maggiori nel destinare a nuovo uso i beni sequestrati alle mafie sono legati, oltreché alla lunghezza dei procedimenti, alla ridotta disponibilità finanziaria dei Comuni e degli enti del terzo settore, che rende difficoltoso l`avvio dei progetti di reimpiego sociale delle strutture sottratte alle organizzazioni criminali, soprattutto nel caso di immobili in cattivo stato manutentivo o soggetti a spese di gestione. Anche in presenza di adeguate risorse, ha aggiunto la Corte, la scarsa conoscenza della loro esistenza e delle modalità di acquisizione costituiscono significativi elementi di intralcio al riutilizzo sociale dei beni nell`ambito delle politiche di contrasto alle mafie. Le ulteriori difficoltà nell`elaborare stime affidabili ed attuali sul valore di mercato dei beni e la lunghezza dei tempi necessari alla verifica dei crediti dei terzi in buona fede delineano – ha concluso la magistratura contabile – un panorama complessivo che richiede una rinnovata capacità di concentramento delle energie umane e finanziarie – pur adeguatamente presenti nel sistema – per restituire slancio e credibilità allazione istituzionale. ITALIA OGGI
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Il Rapporto Sud del Sole 24 Ore in l’ampio focus di apertura all’elaborazione fatta da Sicindustria su dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc): ad oggi sono 1.487 le aziende siciliane confiscate, pari al 30% del totale italiano (4.915). Percentuale che sale al 39,5% quando si parla di beni immobili (16.947 sui 42.875 di tutta Italia).
La lotta al crimine organizzato in Italia vale 12 miliardi.
A tanto ammonta la cifra sequestrata negli ultimi cinque anni, tra beni immobili, contanti, depositi e azioni, alle diverse organizzazioni criminali. È quanto emerge dal dossier sul Fondo sicurezza interna realizzato dal ministero dell’Interno e finanziato dalla Ue.
Nel 2022 l’ammontare complessivo di quanto sequestrato è di poco più di tre miliardi.
Di cui, secondo stime, la parte prevalente al Sud. Resta aperto il nodo della gestione dei beni e soprattutto delle aziende tolte alle cosche italiane.
La ’ndrangheta si conferma l’organizzazione più ricca.
Al Rapporto Sud parla Piergiorgio Morosini, 59 anni, presidente del Tribunale di Palermo ma alle spalle un’esperienza da consigliere al Csm e prima ancora un lungo lavoro all’ufficio Gip a Palermo: «A oltre 30 anni dalla stagione di attacco al cuore della democrazia, resta intatto il diritto alla ricerca della verità i cui titolari sono i cittadini con una commissione per cercare la verità sulle stragi di mafia».
Le élite mafiose hanno aggiunto alla tradizione un altro modulo comportamentale che è quello di far parte di comitati d’affari: «I dati che emergono dalle ultime indagini ci propongono un’idea dell’organizzazione che ancora, in certi quartieri cittadini e certe fasce della provincia, cerca di controllare il territorio anche attraverso le estorsioni, mi sembra poi che ci sia un rilancio in grande stile del traffico di stupefacenti».
Nuove tecnologie. Il Rapporto Sud del Sole 24 Ore si sposta poi a Napoli dove verrà installato il computer quantico, con piattaforma a superconduttori di nuova generazione e con un elevato numero di qubit: sarà il primo in Italia. Il progetto del Dipartimento di Fisica della Università Federico II, che gode di un finanziamento del PNRR (Centro Nazionale High Performance Computation – HPC) e di altri fondi nazionali ed europei per 8 milioni circa, ha suscitato un forte interesse nel mondo imprenditoriale.
Turismi. Calabria e Basilicata richiamano gli emigranti e i loro discendenti per restituire memorie, storie, identità. È il turismo delle radici, delle origini, del ritorno, turismo ancestrale o genealogico, praticato da viaggiatori nostalgici e sentimentali: un fenomeno in crescita intorno al quale si stanno mobilitando istituzioni e operatori per proporre un’offerta sempre più strutturata, spiega il Rapporto Sud in edicola venerdì 14 luglio.
Il ministero degli Esteri ha stanziato 200 mila euro di fondi per un progetto per regione al fine di sostenere il turismo delle origini valorizzando i territori. LA VALLE DEI TEMPLI 14.7.2023
Comuni rimandati in trasparenza sui beni confiscati
Peggiora la trasparenza dei Comuni sui patrimoni sottratti alle mafie, 6 su 10 sono inadempienti. I dati sono necessari anche per un buon uso dei fondi pubblici e delle voci del Pnrr destinate al settore. Libera presenta la seconda edizione del Report nazionale RimanDATI, realizzato con il Gruppo Abele e Università di Torino
I Comuni italiani sono poco trasparenti sui beni confiscati e i risultati del 2022 sono peggiori rispetto a quelli dell’anno precedente. Lo denuncia Libera, presentando la seconda edizione di RimanDATI, Report nazionale sullo stato della trasparenza delle amministrazioni locali sui patrimoni sottratti alle mafie realizzato con il Gruppo Abele e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino.
Il Report di Libera è pubblicato in occasione del 40esimo anniversario della legge Rognoni-La Torre, promulgata il 13 settembre 1982. La norma ha introdotto il reato di associazione mafiosa e la confisca dei beni, aprendo così la possibilità del loro riuso a fini sociali, come prevede la legge 109 del 1996. “In questo percorso gli enti territoriali, cui la legge affida la responsabilità di garantire il riutilizzo sociale, hanno avuto, sin dall’inizio, un ruolo cruciale e una funzione assai delicata”, scrive Tatiana Giannone, referente nazionale Beni confiscati di Libera nell’introduzione al rapporto. Da qui nasce “l’esigenza di avere a disposizione una fotografia complessiva e ragionata sullo stato della trasparenza della Pubblica Amministrazione in materia di beni confiscati, su cui basare un’azione politica in grado di incidere concretamente” su questi aspetti.
Le pagelle dei Comuni
Su un totale di 1073 Comuni monitorati, sei su dieci risultano inadempienti, ossia il 63,5 per cento del totale (nel 2021 era il 62 per cento). “Le conclusioni a cui siamo giunti purtroppo non sono incoraggianti – si legge nel rapporto –. I dati raccolti confermano ancora una volta la grande fatica che gli enti territoriali fanno a garantire la trasparenza delle informazioni”. Dati che rappresentano uno strumento “necessario e imprescindibile” per la gestione dei beni e la loro restituzione alla collettività.
In termini assoluti il primato negativo spetta ai comuni del Sud Italia, isole comprese, in cui si contano 400 comuni che non pubblicano elenco, seguiti dai 215 comuni del Nord Italia e dai 66 del Centro. A livello regionale, fanno segnare performance migliori i comuni di Campania, Emilia Romagna, Marche, Umbria e Lazio, seguono quelli di Calabria, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Toscana. Nessuna informazione è invece fornita dai comuni di Basilicata, Molise, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta.
Le aree interne restano indietro
Tra le novità della seconda edizione di RimanDATI figura la classificazione dei comuni destinatari dei beni confiscati in relazione alla loro perifericità e appartenenza alle cosiddette “aree interne” del Paese. “Man mano che ci si allontana dai ‘poli’ – è scritto nel report – diminuisce la trasparenza dei dati sui beni confiscati”. Sintomo di carenze in risorse e competenze proprio nei luoghi in cui la presenza di beni confiscati potrebbe diventare invece il perno di circuiti virtuosi sul piano economico e sociale. In quest’ottica il documento non vuole essere un atto d’accusa nei confronti degli enti locali, soprattutto i più piccoli e in affanno. “Ci auguriamo che si arrivi presto a superare la logica per la quale i comuni debbano redigere discrezionalmente la tabella (dei beni loro assegnati, ndr), compilare l’elenco e metterlo in rete. Occorre ridurre al minimo lo sforzo e il tempo richiesto alle amministrazioni comunali – scrive nelle conclusioni Leonardo Ferrante, referente nazionale del progetto Common comunità monitoranti (Gruppo Abele e Libera) –. Non possiamo infatti più permetterci di scaricare la responsabilità di un meccanismo fallace sul suo anello ultimo” .
Attenzione ai fondi del Pnrr
“Garantire che la filiera del dato sui beni confiscati sia trasparente – continua Tatiana Giannone – vuol dire dare spazio al protagonismo della comunità e della società civile organizzata, che solo conoscendo possono progettare e programmare nuovi spazi comuni. Alla conoscenza del patrimonio e del territorio, del resto, è strettamente legata la capacità di utilizzare i fondi pubblici (siano essi di natura europea o di provenienza nazionale) per la valorizzazione dei beni confiscati, nella fase di ristrutturazione e in quella di gestione dell’esperienza di riutilizzo”. In questo l’associazionismo si candida a collaborare perché sia tenuto d’occhio ogni euro speso per trasformare i beni sottratto alle mafie da luogo di oppressione in spazio restituito alla collettività. “Il bando del Pnrr sui beni confiscati e la nuova programmazione europea delle politiche di coesione saranno, quindi, un banco di prova importante per le istituzioni tutte, ma soprattutto per il potere di monitoraggio della società civile”. Proprio sul bando del Pnrr Libera ha presentato con altre realtà nazionali e locali un appello alla Ministra Mara Carfagna per una più efficiente ed oculata gestione delle risorse europee in materia di beni confiscati.
L’Università di Torino ha curato e supervisionato il disegno della ricerca. Il metodo di lavoro della nuova edizione di RimanDATI ha visto il coinvolgimento della rete territoriale di Libera: 32 unità distribuite in 11 regioni: “Si è voluto così stimolare, far crescere e incoraggiare la nascita e il rafforzamento del monitoraggio civico – scrive il professore Vittorio Martone – come promozione del buon modo di gestire la cosa pubblica anche attraverso la vigilanza civica organizzata in gruppi o singole comunità territoriali”.
LA VIA LIBERA 15 settembre 2022
BENI CONFISCATI IN LOMBARDIA
Mafia, aumentano i beni confiscati ma restano le criticità nel riutilizzo
Mafia, in Lombardia confiscati oltre 1.500 immobili. Tra 2019 e 2022 la Regione ha sostenuto 87 progetti da 5 milioni
Beni Confiscati: consulenza ai Comuni su progetti e azioni
Iniziativa di Regione Lombardia, Polis Lombardia e Anci Lombardia
Dal 2020 Regione Lombardia, Polis Lombardia e Anci Lombardia hanno investito notevoli risorse in programmi di formazione aventi l’obiettivo di aumentare le competenze dei Comuni nel processo di valorizzazione sociale dei beni immobili confiscati alla criminalità organizzata.
Attraverso un programma di formazione con taglio pratico ed operativo sono stati presentati e messi a disposizione dei Comuni 4 modelli, adattabili e personalizzabili in base alle caratteristiche e alla complessità delle diverse progettualità:
• Modello di Regolamento;
• Modello di Bando di Concessione;
• Modello di Studio di Fattibilità;
• Modello di Contratto di Concessione.
Ora si offre una nuova opportunità: una consulenza diretta e personalizzata per supportare i Comuni nel processo di valorizzazione sociale dei beni immobili confiscati alla criminalità organizzata.
I Comuni avranno così l’opportunità di richiedere gratuitamente una consulenza per la redazione del Regolamento e consulenze su specifiche progettualità a livello di Bando di Concessione, Studio di Fattibilità e Contratto di Concessione.
I Comuni interessati dovranno richiedere la consulenza entro martedì 31 gennaio 2023 compilando l’apposito form online. Le consulenze sono dedicate ad un numero limitato di Comuni. Verranno soddisfatte le richieste in base alla data di ricezione del form.
I beni sottratti alle mafie in Lombardia
Da oggetti di reato a strumenti di riqualificazione
Regione Lombardia, terza regione italiana per numero di beni sottratti alle mafie, dopo Sicilia e Campania, è attivamente impegnata per favorire il recupero dei beni confiscati alla criminalità organizzata, assicurandone la restituzione alla collettività ed il loro riutilizzo ai fini sociali o istituzionali.
- sottoscritto nel 2020 l’accordo con l’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati (ANBSC) per supportare il recupero e il riutilizzo dei beni;
- complessivamente, nei bienni 2019-2021 e 2022-2023 stanziati nel recupero dei beni confiscati 6,5 milioni di euro. Nel triennio 2019-2021 sono stati finanziati 52 interventi, cui 48 verso enti locali e quattro per gli enti concessionari con importo complessivo di oltre 2,88 mln di euro. Per il biennio 2022 e 2023 sono stati stanziati 3,6 milioni di euro. Con questi finanziamenti si sono potuti avviare al riuso immobili del valore di molte decine di milioni di euro;
- realizzato viewer BENI CONFISCATI. Si tratta di uno strumento unico in Italia e consiste nella visibilità georeferenziata dei beni immobili confiscati alla criminalità organizzata in modo da consentire ad Enti locali, Prefetture, Demanio, enti del terzo settore, di avere un’esatta cognizione dei beni confiscati e disponibili sul territorio per destinazioni di pubblica utilità;
- corso BENI CONFISCATI. Nell’ambito dell’incarico affidato a PoliS-Lombardia a partire dal biennio 2020-2021, si stanno sviluppando le attività formative prevalentemente rivolte a tecnici degli Enti Locali e al Terzo settore, per favorire il processo di destinazione e gestione dei beni confiscati.
LOMBARDIA – Beni confiscati (2022)
Su un totale di 17.453 beni immobili confiscati in gestione in Italia, Regione Lombardia occupa il quarto posto, dopo Sicilia, Campania e Calabria, con un totale di 1779 beni immobili confiscati in gestione. Nella classifica dei beni immobili confiscati e già destinati Regione Lombardia si posiziona al quinto posto dopo Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, con un totale di 1543 beni. Tra questi ultimi l’80,36% riguarda unità immobiliari per uso di abitazione e assimilabile ed il 58,26% viene destinato a scopi sociali.
RELAZIONE 2022
Relazione annuale dell’Agenzia
Istituita nel 2010, l’Anbsc è un ente con personalità giuridica di diritto pubblico, vigilato dal ministro dell’Interno. Ha sede a Roma, con sedi secondarie a Reggio Calabria, Palermo, Napoli e Milano.
Con la sua attività l’Agenzia favorisce la raccolta e lo scambio di informazioni sui beni e il superamento di eventuali criticità relative alla loro destinazione, dalla fase di sequestro durante la quale coadiuva gli amministratori giudiziari alla fase di gestione diretta dei beni, dopo la confisca, fino alla loro destinazione.
Tra le attività funzionali alla destinazione dei beni confiscati – che è una delle priorità della mission dell’Anbsc – c’è l’organizzazione, in collaborazione con le prefetture e gli enti locali, delle conferenze di servizi nell’ambito delle quali le amministrazioni del territorio possono manifestare l’interesse all’acquisizione dei beni, sulla cui destinazione decide poi il consiglio direttivo dell’Agenzia.
RIFERIMENTI NORMATIVI
CRIMINALITÀ ORGANIZZATA – 7 marzo 1996 Legge sui sequestri e confische
SINTESI DELLA NORMATIVA SUL RIUTILIZZO SOCIALE DEI BENI CONFISCATI ALLA MAFIA E ALLE ALTRE ORGANIZZAZIONI CRIMINALI
Premessa. Nell’ambito della legislazione contro la mafia le misure riguardanti il sequestro dei beni delle organizzazioni mafiose rivestono una notevolissima importanza perché volte a colpire il patrimonio accumulato illecitamente dalle organizzazioni criminali. Non si vuole tanto colpire il soggetto socialmente pericoloso quanto sottrarre i beni di origine illecita dal circuito economico dell’organizzazione criminale.
Tali misure di prevenzione, introdotte per la prima volta nel 1982 con la legge Rognoni-La Torre (legge n. 646 del 1982) sono state oggetto nel corso degli anni di numerose modifiche al fine di superare le difficoltà applicative e rendere più snelle ed efficaci le procedure.
Qui di seguito sono sintetizzati gli elementi principali racchiusi nel codice antimafia (decreto legislativo n. 159 del 2011) che, come detto, è il risultato di diversi provvedimenti succedutisi nel tempo; aspetto, questo, che non sempre facilita la comprensione dei testi in vigore (anche per tale ragione la Commissione bicamerale di inchiesta sulle mafie nel corso della XVII Legislatura ha sollecitato una revisione del suddetto codice: si vedano le sedute del 21 ottobre 2014 e del 22 ottobre 2014).
I provvedimenti di sequestro e confisca. Soggetti destinatari dei provvedimenti di sequestro e confisca sono, tra gli altri, gli indiziati di appartenere ad associazione mafiose, coloro che sono dediti abitualmente a traffici delittuosi ovvero che vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose (art. 16). In caso di morte queste misure possono essere applicate anche nei confronti dei loro eredi o aventi causa (art. 18). Competenti a proporne l’adozione sono il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona, il questore e il direttore della Direzione investigativa antimafia, che a tal fine effettuano tutti gli accertamenti necessari (artt. 17 e 19).
Il sequestro è disposto dal tribunale quando il valore dei beni risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ritiene che essi siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego (art. 20). Al termine del procedimento, cui partecipano anche gli eventuali terzi interessati – proprietari o comproprietari – il sequestro dovrà essere confermato entro un termine prestabilito da un provvedimento di confisca (artt. 23 e 24). La legge prevede anche il c.d. “sequestro per equivalente”, che interessa altri beni di valore analogo, quando il destinatario delle misure di prevenzione disperde, distrae, occulta o svaluta i beni sottoposti a sequestro (art. 25). Un’ipotesi particolare, disciplinata dall’art. 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992 (‘Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa’) riguarda la c.d. “confisca allargata” del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona, risulta essere titolare o avere la disponibilità, in valore sproporzionato al proprio reddito. Sono dettate disposizioni per l’annullamento delle intestazioni fittizie a terzi (art. 26). I provvedimenti di prevenzione patrimoniale prescindono dall’avvio dell’azione penale (art. 29).
Con il provvedimento di sequestro viene nominato l’amministratore giudiziario con il compito di custodire, conservare ed amministrare i beni, anche al fine di incrementarne la redditività, e di predisporre apposite relazioni; in tale attività è assistito dall’Avvocatura generale dello Stato e dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, alla quale è affidata la gestione del bene dopo il provvedimento di confisca di primo grado (artt. 35-39). Sulla base delle proposte avanzate, il giudice assume le direttive generali in ordine alla gestione dei beni (art. 40).
La destinazione dei beni confiscati. A seguito della confisca definitiva i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato (art. 45). È l’Agenzia a deliberare in ordine alla destinazione del bene, versando al Fondo Unico per la Giustizia le somme di denaro, ivi incluse quelle derivanti dalla vendita dei beni. I beni immobili sono mantenuti al patrimonio dello Stato (per finalità di giustizia, ordine pubblico e protezione civile o per essere utilizzati da altre amministrazioni pubbliche) ovvero trasferiti agli enti locali che potranno gestirli direttamente oppure assegnarli in concessione, a titolo gratuito, ad associazioni del terzo settore, seguendo le regole della massima trasparenza amministrativa. Le aziende sono mantenute nel patrimonio dello Stato: l’Agenzia le può destinare all’affitto (a titolo oneroso o gratuito, ad esempio a cooperative di lavoratori dipendenti dell’impresa confiscata), alla vendita e anche alla liquidazione, quando le altre due possibilità risultino impraticabili. I relativi proventi confluiscono anch’essi nel Fondo Unico Giustizia (artt. 47 e 48).
Norme specifiche sono dettate per la tutela dei terzi, per la verifica dei crediti ed il loro pagamento (artt. 52- 62).
LE NOVITÀ INTRODOTTE DALLA LEGGE N. 132 DEL 2018 (DI CONVERSIONE DEL C.D. “DECRETO SICUREZZA”)
La legge n. 132 del 2018 ‘Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Delega al Governo in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate’, definitivamente approvata dal Parlamento il 28 novembre 2018, è entrata in vigore il 4 dicembre 2018.
Numerose disposizioni riguardano i beni confiscati alla criminalità organizzata. Si prevede innanzitutto l’autorizzazione da parte del Ministro dell’Interno (e non più del Presidente del Consiglio) per l’assegnazione per finalità economiche all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC). È possibile il trasferimento dei beni confiscati anche alle Città metropolitane e la destinazione degli immobili confiscati per incrementare l’offerta di alloggi da cedere in locazione a soggetti in particolare condizione di disagio economico e sociale. Viene soppressa l’assegnazione automatica ai Comuni, prevista dalla legislazione vigente, con concessione a titolo gratuito ad associazioni, comunità o enti per il recupero di tossicodipendenti operanti nel territorio ove è sito l’immobile confiscato (art. 36, co. 3, lett. a), c).
Il decreto-legge ha ampliato i casi di vendita dei beni, mobili ed immobili, precisando i criteri da seguire per le migliori offerte da presentare, i controlli di certificazione antimafia sugli acquirenti, le limitazioni temporali per la futura rivendita dei beni medesimi e la procedura di sanatoria urbanistica. Il 90 per cento delle somme ricavate dalla vendita dei beni confiscati affluisce al Fondo Unico Giustizia, per essere riassegnate al Ministero dell’Interno (per il 40 per cento) e all’ANBSC (per il 20 per cento) (art. 36, co. 3, lett. d), f). Il rimanente 10 per cento confluisce in un fondo, istituito presso il Ministero dell’Interno, per le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni trasferiti agli enti territoriali ai sensi dell’art. 48, co. 3, lett. c) del d.lgs. n. 159/2011 (art. 36, co. 3, lett. f-bis).
Procedure di gestione e destinazione dei beni confiscati. Si snellisce la procedura volta a consentire la prosecuzione dell’attività di un’impresa sequestrata o confiscata, mediante la sospensione degli effetti della documentazione antimafia interdittiva «dalla data di nomina dell’amministratore giudiziario e fino all’eventuale provvedimento di dissequestro dell’azienda o di revoca della confisca della stessa, o fino alla data di destinazione dell’azienda» (art. 36, co. 1-bis). Prima della novella introdotta dal decreto in oggetto, era stabilito che il prefetto della provincia rilasciasse all’amministratore giudiziario la nuova documentazione antimafia, e che questa avesse «validità per l’intero periodo di efficacia dei provvedimenti di sequestro e confisca dell’azienda e sino alla destinazione della stessa».
L’istituzione presso le prefetture dei tavoli provinciali permanenti sulle aziende sequestrate e confiscate, prevista dall’art. 41-ter del d.lgs. n 159/2011, diviene ora una facoltà del prefetto (art. 36, co. 2-bis).
È elevato da uno a due anni il termine superato il quale l’ente territoriale cui è stato trasferito (ai sensi dell’art. 48, co. 3, lett. c), del d.lgs. n 159/2011) un bene immobile confiscato, che non abbia provveduto all’assegnazione o all’utilizzazione del bene stesso, si vede revocato il trasferimento dall’ANBSC (la quale può ancora, alternativamente, nominare un commissario con poteri sostitutivi) (art. 36, co. 3, lett. a, num. 2-bis).
È elevato da uno a due anni il termine superato il quale l’ente territoriale destinatario (ai sensi dell’art. 48, co. 3, lett. d), del d.lgs. n 159/2011) di un bene immobile confiscato, che non abbia provveduto alla destinazione del bene stesso, si vede revocato il trasferimento dall’ANBSC (la quale può ancora, alternativamente, nominare un commissario con poteri sostitutivi) (art. 36, co. 3, lett. a, num. 3).
Agenzia per i beni confiscati. Vengono destinate risorse aggiuntive per il personale dell’ANBSC, cui dovrà essere garantita in sede di contrattazione una indennità aggiuntiva, attingendo ai proventi derivanti dall’utilizzo dei beni immobili confiscati (art. 36, co. 3, lett. b). L’Agenzia è posta sotto la vigilanza del Ministro dell’Interno, dispone di una sede principale in Roma e fino a quattro sedi secondarie. Una quota dell’organico (70 unità su 170) sarà reclutata attraverso procedure selettive pubbliche e non più solo tramite comando da altre Amministrazioni (art. 37). Sono infine integrate le risorse finanziarie destinate allo svolgimento della normale attività dell’Agenzia (formazione del personale, collaborazioni, consulenze, ecc.) (art. 38). AVVISO PUBBLICO
Dal bene confiscato al bene comune
La Villetta – la sede del centro studi è dedicata all’avvocato Giorgio Ambrosoli