Nicola piacente Procuratore capo di Como «Molte imprese rischiano di ricorrere a canali di credito illegali»
il virus favorisce la criminalità attenti agli usurai
Le crisi economiche sono l’humus preferito dalla criminalità. Per questo motivo la Procura di Como, guidata da Nicola Piacente, guarda con preoccupazione alle dinamiche che si svilupperanno quando ci sarà un ritorno alla normalità. Quando l’emergenza coronavirus sarà finita, o quantomeno attenuata, il timore è di dover fronteggiare un altro tipo di virus, ben noto alla realtà italiana e comasca: quello delle mafie e dei clan.
Procuratore, quanto è concreto il rischio che le difficoltà economiche causate dal forzato blocco delle imprese, a causa dell’emergenza coronavirus, possa tradursi in un’aggressione della criminalità alle imprese comasche?
Partiamo dai numeri. Noi abbiamo 42500 imprese attive nel circondario di Como, con una preponderanza del settore manifatturiero e turistico, oltre che delle imprese di costruzioni e immobiliari. Molti di questi settori risentiranno particolarmente della crisi. E, quando sarà il momento di ripartire, rischiano di trovarsi in crisi di liquidità.
Pensa al settore turistico, quando guarda la nostra provincia?
Sì, e non solo. La preoccupazione riguarda in generale la capacità di sopravvivenza di tutte le aziende del territorio nell’ambito di un circuito legale dell’economia. E, quindi, molto dipenderà dagli strumenti che il Governo sta approntando e dal credito che le imprese riusciranno ad ottenere dalle banche e dagli istituti di credito. Come già anticipato da altri colleghi, il pericolo è che in questa fase ci possa essere una deriva usuraia. In assenza di un supporto istituzionale adeguato, l’esigenza di sopravvivere di molti imprenditori potrebbe comportare il ricorso a personaggi che praticano forme di usura.
Pensa all’usura tradizionale o al tentativo della criminalità organizzata di infiltrarsi nel tessuto economico?
L’esperienza testimonia due distinte forme di ricorso illegale al credito: quello più tradizionale degli usurai non legati alle organizzazioni mafiose, e quello offerto dalla criminalità organizzata.
Quale di queste due opzioni teme maggiormente sul nostro territorio?
Entrambe, in realtà. Quando parlo di usura mi riferisco a forme di liquidità immesse nelle imprese in crisi che finiscono per costituire un vantaggio economico di natura usuraia per chi presta quel denaro. E quel vantaggio può essere di due tipi. Da un lato abbiamo la criminalità organizzata che pretende, come compenso per l’immissione di denaro, la cessione della gestione stessa dell’azienda.
E lo abbiamo visto anche in realtà vicine al nostro territorio come la Perego Strade.
Dall’altro c’è un fenomeno più tradizionale, ma anche più sommerso, che riguarda il ricorso al credito di persone che poi pretendono dai debitori tassi elevatissimi di restituzione dei soldi.
Un fenomeno che esiste anche sul territorio di Como?
In realtà l’usura tradizionale emerge pochissimo nelle denunce che abbiamo ricevuto in questi anni.
Qualche dato?
Negli ultimi quattro anni alla Procura di Como sono arrivate soltanto dodici denunce di usura non bancaria e ben quaranta di usura bancaria, da parte di soggetti che ritengono eccessivi i tassi d’interesse praticati dagli istituti di credito. È evidente che questa sproporzione testimonia l’esistenza di un sommerso molto preoccupante. Questo fa temere che nel momento in cui le imprese che non potranno accedere al credito istituzionale si troveranno di fronte al pagamento dell’interesse usuraio, sarò molto difficile per noi portare questo fenomeno alla luce e monitorarlo.
Come mai?
Tenendo conto della diffusione sul territorio di imprese medio-piccole. Questa parcellizzazione dell’imprenditoria è più facilmente aggredibile, soprattutto su settori che in questo momento sono chiusi e non possono operare, e più difficile da vigilare.
Come si previene o si evita questo rischio?
Sul territorio mancano i comitati antiusura e antiracket che possano tutelare, evitando le distorsioni del sistema, ovvero l’abuso degli strumenti che esistono per aiutare le vittime, chi si ritrova a chiedere prestiti agli usurai. Questa mancanza rende ancora più aggredibile e meno monitorabile il fenomeno. Sicuramente le Camera di Commercio possono svolgere un lavoro molto importante, magari costituendo proprio al loro interno dei comitati antiusura.
Prima abbiamo citato, tra i settori a rischio, quello del turismo. Ne individua altri potenzialmente appetibili per la criminalità, sul nostro territorio?
Sicuramente l’edilizia, ma anche il manifatturiero, soprattutto in quelle realtà che non trattano servizi essenziali e che quindi hanno dovuto interrompere l’attività.
Sul fronte fallimenti?
La Procura di Como, da quando mi sono insediato ormai quattro anni fa, è sempre stata molto sensibile a individuare, nell’ambito della collaborazione con la sezione fallimentare del Tribunale e le esecuzioni immobiliari, tutte quelle situazioni di insolvenza che portavano la Procura ad attivarsi, soprattutto verso le esposizioni rilevanti verso il fisco e l’Inps. Questo tipo di iniziative da un lato ha evitato l’incancrenirsi di situazioni debitorie verso il pubblico, dall’altro ha permesso ai soggetti interessati di attivarsi, attraverso istanze di concordato serie, per restituire i debiti alle finanze pubbliche e dell’erario. Ora è chiaro che tutto questo dovrà essere ripensato, alla luce di una crisi che inevitabilmente finirà per colpire le filiere produttive e imprenditoriali. Inoltre ad agosto dovrebbe entrare in vigore la riforma sulla crisi d’azienda.
Sul fronte dei cosiddetti reati comuni, penso soprattutto ai furti e alle rapine, i numero sono invece in diminuzione. Possiamo considerarlo un dato positivo?
In effetti questi reati stanno subendo un calo drastico, non fosse altro che le abitazioni non sono più vuote e quindi non possono essere aggredite e i movimenti di chi commette i reati sono ovviamente molto limitati dai divieti introdotti per evitare la diffusione del contagio. Questo non vuol dire che sia calata l’attenzione sui fenomeni criminosi da parte delle forze di polizia: ci sono state due operazioni , una dei carabinieri di Cantù e l’altra della squadra mobile di Lecco, contro lo spaccio di stupefacenti, che hanno dimostrato l’esistenza di condotte ancora in essere.
In calo sono anche le denunce presentate dai cosiddetti soggetti deboli. Questo non è un dato che preoccupa?
In effetti ciò che avviene all’interno delle famiglie ora rischia di restare sommerso. E, anzi, alcune situazioni rischiano anche di aggravarsi, considerata la convivenza forzata anche nell’ambito di equilibri compromessi. Pure la comunicazione istituzionale o la denuncia diventa più difficile, perché non si ha la possibilità di giustificare l’uscita di casa. Sì, questo fenomeno preoccupa. Posso però garantire una cosa.
Dica…
I vari provvedimenti adottati in questa fase hanno sospeso i termini previsti dalle norme. Per quanto riguarda i cosiddetti reati da codice rosso per noi i termini non sono affatto sospesi. Quando riceviamo quelle denunce per noi i termini di tre giorni entro cui sentire la vittima restano in vigore.
Il problema è che non è agevole presentare denuncia, in questo momento…
I numeri istituzionali sia d’emergenza che quelli dedicati alle donne per denunciare abusi e violenze sono sempre attivi. E, come detto, l’attività della Procura e delle forze di polizia non si è assolutamente fermata. La sicurezza viene sempre e comunque garantita. E le operazioni dei giorni scorsi lo dimostrano.
Di Paolo Moretti – La Provincia 2.4.2020