A. BOLZONI, L. MARCELLI e F. TROTTA
Sono passati più di trent’anni e quello che tutti conosciamo come “il fallito attentato dell’Addaura” resta uno dei grandi misteri italiani. Di sicuro c’è solo che, in quel giugno del 1989, Giovanni Falcone ha iniziato a morire.
Segue la pubblicazione di ampi stralci della sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta (presidente Giacomo Bodero Maccabeo, consigliere Michele Barillaro) pronunciata l’8 marzo 2003.
E’ un documento che ricostruisce dinamica e movente intorno a quei cinquantotto candelotti che dovevano far saltare in aria il giudice che, per primo, aveva fatto paura alla mafia e ai suoi complici.
Nonostante le prove trovate contro Totò Riina, Nino Madonia, Salvatore Biondino, Giovan Battista Ferrante e Francesco Onorato (questi ultimi due diventati in seguito collaboratori di giustizia) e le condanne in un successivo processo contro Vincenzo e Angelo Galatolo il fallito attentato sulla scogliera dell’Addaura, dove Giovanni Falcone ogni estate prendeva una villa in affitto, rimane ancora una pagina di storia tutta da scrivere.
In quel fine primavera dell’89 Falcone era impegnato, insieme alla giudice svizzera Carla Del Ponte, su un’importante rogatoria intorno a operazioni di riciclaggio di denaro. E la Del Ponte, accompagnata dal suo collega Claudio Lehman, il giorno del fallito attentato era stata invitata proprio nella villa dell’Addaura. Solo una coincidenza? O qualcuno conosceva tutte le mosse di Falcone e dei suoi ospiti?
Il giudice parlò di “menti raffinatissime” dietro quel tentativo di ucciderlo, menti raffinatissime «che tentano di orientare queste azioni della mafia… esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa Nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi».
Insomma, già da allora c’era qualcuno altro, oltre Cosa Nostra, che lo voleva morto. E lui l’aveva capito.
Al tempo, l’inchiesta sul fallito attentato fu ostacolata da depistaggi e grandi silenzi. In un primo momento si ipotizzò che i sicari fossero venuti dal mare su un gommone, piazzando poi l’esplosivo sugli scogli. Molti anni (e pentiti) dopo le investigazioni hanno fatto qualche piccolo passo avanti ma senza mai scoprire chi aveva “aiutato” i boss.
Ancora avvolte nel mistero anche le uccisioni di Nino Agostino ed Emanuele Piazza, il primo poliziotto del commissariato San Lorenzo e il secondo collaboratore dei servizi segreti. La loro morte è legata a quel fallito attentato. Dopo l’assassino dell’agente Agostino, il capo dei capi Totò Riina ordinò addirittura un’indagine interna a Cosa Nostra per sapere chi era il mandante. Evidentemente non era stato lui.
Il fallito attentato dell’Addaura è arrivato dopo mesi e mesi di tentativi per delegittimare il giudice Falcone. Un clima infame, che cominciò con lettere anonime che lo descrivevano come un “killer di Stato” che aveva fatto scendere in Sicilia il pentito Totuccio Contorno per consentirgli di scovare e uccidere i nemici di cosca.
Naturalmente, subito dopo il ritrovamento dell’esplosivo sugli scogli, qualcuno mise in giro una sola voce su Falcone: «L’attentato se l’è fatto lui».