GASPARE STELLINO, paura di aver paura

Gaspare Stellino  gestiva ad Alcamo un’azienda di torrefazione. Nel venne 1996 venne convocato dalla DDA di Trapani dopo l’operazione Cadice, che svelava il racket delle estorsioni nella sua città, con la richiesta di confermare le accuse e le prove raccolte con intercettazioni ambientali contro i boss. L’imprenditore, atterrito dall’eventualità di confermare al processo le accuse contro i boss, per paura delle possibili ritorsioni contro la sua famiglia, non resse la tensione e si suicidò nella sua casa di campagna.


‘PAPA’, RESTO QUI COMBATTERE’   “Mio padre è stato l’ ennesima vittima del racket. Era molto preoccupato di quello che stava succedendo, ma si chiudeva in se stesso e non trovava il coraggio di parlare. Il pensiero di dover testimoniare contro i presunti boss del racket ad Alcamo lo atterriva, lo rendeva ansioso e teso, anche se cercava di non far trasparire nulla per non fare preoccupare la famiglia”. Con le lacrime agli occhi Isidoro Stellino, 19 anni, parla così della morte del padre, suicidatosi venerdì mattina nelle campagne di Alcamo per paura di dover confermare agli investigatori le accuse contro i boss che da anni lo taglieggiavano e che continuano a imporre il pizzo a decine e decine di commercianti, imprenditori, artigiani e chiunque svolga un’ attività, compresi gli ambulanti. Gaspare Stellino, 53 anni, titolare di una torrefazione nel centro di Alcamo, un paese a cavallo tra le province di Palermo e Trapani, non ha resistito e si è suicidato, sperando così di “salvare” la sua famiglia. E il figlio Isidoro, a soli 19 anni, si è trovato sulle spalle, improvvisamente e tragicamente, un pesante fardello, quello di “guidare” la sua famiglia (la madre e una sorella di 14 anni) e la torrefazione del padre. “Io non mollerò, continuerò l’ attività di mio padre, non voglio abbandonare, debbo farcela a ogni costo”, dice singhiozzando all’ uscita della cerimonia funebre celebrata nella chiesa del Sacro Cuore dove il sacerdote, Mario Viola, ha parlato a poche decine di persone, familiari e pochi amici della vittima. Nessuna corona di fiori delle cosiddette istituzioni, delle cosiddette associazioni che a vario titolo rappresentano i commercianti, gli imprenditori, gli artigiani. E in pochi hanno abbassato le saracinesche al passaggio del corteo funebre. Era come se Gaspare Stellino fosse morto a causa di un infarto e non invece perché non aveva più la forza di resistere alla paura e alle imposizioni della mafia che condiziona la vita del paese. Un paese dove boss e vittime convivono da secoli. Dove la mafia l’ha sempre fatta da padrona, imponendo la sua legge e le sue regole, assoggettando centinaia di imprenditori e commercianti. Alcamo negli ultimi tre anni è stata teatro di una cruenta guerra di mafia dove i morti, tra le fila di Cosa nostra e in quelle degli altri gruppi criminali, si sono contati a decine. Una guerra scoppiata proprio per il controllo del territorio, per gestire anche il racket delle estorsioni. Un business che era stato già dettagliatamente descritto da uno dei primi pentiti trapanesi, Benedetto Filippi, che aveva raccontato i particolari e fatto i nomi di chi imponeva il pizzo e delle vittime. Allora, agli inizi del ’90, scattarono le retate, ma le cosche si ricomposero subito, si divisero di nuovo il paese e continuarono ancora a imporre la loro legge. E che tutto continuava come prima è confermato dall’ ultima indagine sul racket delle estorsioni ad Alcamo, dall’ operazione Cadice, scattata nel ’96 e che ha consentito di individuare i nuovi vertici mafiosi e le loro vittime. Tra queste ultime, Gaspare Stellino che proprio l’ altro ieri era stato convocato dalla Dia di Trapani per confermare le accuse e le prove raccolte con intercettazioni ambientali, contro i boss di Alcamo che tra qualche mese saranno processati. Ma Stellino non ha resistito e venerdì mattina, quando è uscito da casa, anziché andare a Trapani negli uffici della Dia, ha preso un’ altra direzione, è andato nella sua casa di campagna, in contrada “Bosco Falconara”, ha legato una corda a una trave del tetto e si è impiccato. E come sempre, appena c’ è il morto, scoppiano le polemiche, si scopre che le associazioni di categoria non si sono costituite parte civile nel processo contro i boss, che le vittime vengono lasciate al loro destino e che soltanto il Comune, guidato dal sindaco progressista Massimo Ferrara, ha avuto la sensibilità e il coraggio di costituirsi parte civile. “La mancata costituzione di parte civile al processo delle associazioni sindacali e di categoria – dice il sindaco del paese – ha contribuito a isolare Stellino. Non è stato un buon segnale ed è necessaria una svolta culturale per mettersi insieme e superare la paura”.  Francesco Viviano 14 settembre 1997 LA REPUBBLICA 


La solitudine di Gaspare Stellino   Sara Celo COSE VOSTRE 28.10.2020  – Oggi ad Alcamo, in Sicilia, l’immobile dove lavora un’associazione antiracket è intitolato a Gaspare Stellino, vittima di mafia. Gaspare Stellino si è ucciso il 12 settembre 1997, all’età di 57 anni, impiccandosi nella sua casa di campagna, in contrada Bosco Falconara. Era proprietario di una torrefazione in città. Un commerciante come tanti altri si potrebbe dire, ma a differenza di molti altri, Stellino aveva avuto il coraggio di avere paura, paura che lo ha portato a compiere il gesto estremo.Paura di cosa? In quei giorni doveva recarsi negli uffici della Dia a Trapani, dove era stato convocato assieme ad altri negozianti per confermare accuse e prove raccolte contro i boss di Alcamo in merito all’operazione “Cadice” del 1996, che aveva portato all’arresto di circa 20 persone coinvolte nell’imposizione del pizzo ai commercianti. Stellino si era trovato da solo in un “sistema” avvertito quanto mai subdolo: per lui mentire e negare i fatti non era nemmeno una possibile alternativa, non voleva raccontare il falso, ma era ben consapevole del rischio di esposizione a cui andava incontro confermando il vero. Era tormentato. Si sentiva abbandonato. Pochi giorni dopo la tragedia, il figlio diciannovenne, Isidoro, in un’intervista rilasciata a Francesco Viviano su La Repubblica affermava: “Mio padre è stato l’ ennesima vittima del racket. Era molto preoccupato di quello che stava succedendo, ma si chiudeva in se stesso e non trovava il coraggio di parlare. Il pensiero di dover testimoniare contro i presunti boss del racket ad Alcamo lo atterriva, lo rendeva ansioso e teso, anche se cercava di non far trasparire nulla per non fare preoccupare la famiglia”. Il suicidio di Gaspare, il suo gesto estremo ha suscitato a posteriori profonda indignazione, ma ad Alcamo, in quegli anni dove la presenza “mafiosa” la faceva da padrona, non ci fu nessuna rivolta da parte dei commercianti, nessun “mutuo soccorso”, nulla. Nemmeno una corona di fiori. Poche furono le saracinesche abbassate durante il corteo funebre e al funerale solo parenti amici. Quello di Gaspare Stellino è stato l’atto di ribellione o forse l’atto di resa di una battaglia tutta sua, da solo dall’inizio alla fine. Suicidato dal racket, ma in un ambiente indifferente. Come una conseguenza “naturale”, quindi, anche se di naturale non c’era proprio niente.