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- Chi era
- Italiani che resistono: Rossella Casini
- Una strada a Palmi dedicata a Rossella
- Gli in toccabili: alla ricerca di Rossella
- La storia di Rossella
- Commemorazione
Rossella Casini (Firenze, 29 maggio 1956 – Palmi, 22 febbraio 1981) studentessa vittima della ‘ndrangheta. Scompare in Calabria durante la sanguinosa faida tra la ‘ndrina Gallico e le ‘ndrine Parrello–Condello, nota anche come la “faida di Palmi“[1]. Fiorentina, figlia unica di Loredano, ex dipendente della Fiat in pensione, e Clara, casalinga, viveva a Borgo la Croce con i genitori, strada che collega piazza Sant’Ambrogio a piazza Beccaria, all’estremità orientale del centro storico fiorentino.[3][4] Capelli biondi, occhi azzurri,[5] estranea alla cultura mafiosa,[6] Rossella aveva 21 anni e studiava alla Facoltà di Magistero,[7] corso di laurea in Pedagogia, dell’Università di Firenze quando nel novembre del 1977 conobbe Francesco Frisina. Francesco era uno studente fuorisede calabrese alla facoltà di economia all’università di Siena, e da poco si era trasferito, con altri studenti meridionali, nella stessa palazzina ottocentesca dove viveva la famiglia Casini, in Borgo la Croce a Firenze. Rossella iniziò una relazione con Francesco, ignara che lo studente calabrese avesse legami con la ‘Ndrangheta e che la sua famiglia fosse affiliata alla ‘ndrina Gallico di Palmi.[3][8][9]
La relazione tra Rossella e Francesco proseguì nella più apparente normalità quando nell’estate del 1979 andarono insieme in vacanza nella città natale di lui, Palmi. Durante la permanenza calabrese il 4 luglio 1979 Domenico Frisina, imprenditore agricolo e padre di Francesco, fu assassinato in contrada Pirara di Palmi da due killer della ‘ndrangheta appartenenti a un clan rivale.[10] Da quel momento tutto cambiò per Rossella: l’episodio di sangue era legato alla faida in corso tra la ‘ndrina Gallico, di cui i Frisina erano parte, e le ‘ndrine Parrello–Condello, e Rossella aveva iniziato a rendersi conto di essere finita in mezzo a una guerra di mafia. Ma la studentessa fiorentina, sempre più innamorata di Francesco, rimase a Palmi anche nei mesi successivi per offrire sostegno morale al fidanzato.
Alcuni mesi più tardi, il 9 dicembre 1979, anche Francesco fu ferito alla testa, riportando lesioni cerebrali durante una spedizione punitiva contro Francesco Condello, membro della ‘ndrina rivale. Francesco fu subito ricoverato, per la gravità delle lesioni, al reparto neurochirurgico degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria. Rossella, che era in viaggio verso Firenze quel giorno, tornò precipitosamente a Palmi e riuscì a far trasferire il fidanzato al reparto neurochirurgico dell’ospedale Careggi di Firenze.[11]
Durante la permanenza all’ospedale fiorentino, Rossella, con l’aiuto di un giovane brigadiere di Polizia, riuscì a convincere Francesco a collaborare con la giustizia e raccontare dettagli sulla faida in corso a Palmi allo stesso poliziotto e a un sostituto procuratore di Firenze.[11] Rossella stessa il 14 febbraio 1980 rilasciò dichiarazioni su quanto aveva visto durante i suoi soggiorni a Palmi in Calabria al procuratore fiorentino Francesco Fleury, il quale trasmise gli atti alla procura di Palmi.[10]
La reazione della famiglia Frisina non si fece attendere. Intervenne Pino Mazzullo, cognato di Francesco e marito di sua sorella Concetta. Francesco venne convinto dalla famiglia ad andare a Torino, e a ritrattare tutto con i magistrati. La colpa del pentimento di Francesco ricadde così su Rossella, la quale, comunque, non abbandonò la sua volontà di tirare fuori Francesco dal mondo malavitoso. Rossella continuò a frequentare Francesco e fare avanti e indietro tra Firenze e la Calabria.
Rossella scomparve il 22 febbraio del 1981 a Palmi. Quel giorno fece un’ultima telefonata al padre Loredano nella quale gli aveva annunciato che stava per tornare a Firenze. Il corpo di Rossella non è mai stato ritrovato.[9]
“Fate a pezzi la straniera” Dopo la scomparsa di Rossella, avvenuta nel 1981, sulla vicenda cala un silenzio assordante. La madre Clara muore due anni più tardi distrutta dal dolore, mentre il padre Loredano rimane da solo nella strenua ricerca della figlia. Si parlò del caso solo 13 anni più tardi, nel 1994, quando il quotidiano fiorentino La Nazione riportò che il pentito palermitano Vincenzo Lo Vecchio, latitante tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 a Palmi e affiliato al clan Gallico-Frisina, aveva raccontato agli inquirenti che Rossella Casini venne uccisa per aver convinto Francesco Frisina, il fidanzato, a collaborare con la giustizia. Secondo quanto riferì agli inquirenti lo stesso Lo Vecchio, Francesco dette il suo assenso all’eliminazione della fidanzata.[12] “Fate a pezzi la straniera” fu l’ordine perentorio della ‘Ndrangheta.[13] Rossella, considerata una straniera, perché estranea all’ambiente calabrese e alle dinamiche culturali mafiose, venne rapita, stuprata, fatta a pezzi e i resti del corpo furono gettati a mare, nei pressi della tonnara di Palmi.[14]
Il processo di primo grado per il sequestro e l’omicidio della studentessa fiorentina iniziò il 25 marzo 1997, sedici anni dopo la sua scomparsa. Quattro le persone rinviate a giudizio per la sua atroce morte accusati dei reati di sequestro di persona e omicidio in pregiudizio: Domenico Gallico, il capo della ‘ndrina, Pietro Managò, giudicato poi in un procedimento separato con giudizio abbreviato, il fidanzato Francesco Frisina e la sorella Concetta Frisina, insegnante di scuola media a Palmi e considerata la personalità più forte della famiglia Frisina dopo la morte del padre, descritta nella sentenza come intrisa di cultura mafiosa.[15] Il processo subì numerosi rinvii per questioni procedurali. L’appello si concluse nove anni dopo con una sentenza della Corte di Assise di Palmi di assoluzione degli imputati per insufficienza di prove.[4] wikimafia
Lei è Rossella Casini Studentessa fiorentina che ha affrontato da sola la mafia. Rossella nasce nel 1956 da una famiglia piccolo borghese di Firenze. Sono gli anni ’70, periodo di studi universitari, quando conosce Francesco Frisina, giovane studente di Economia a Siena ma originario di Palmi, in provincia di Reggio Calabria. I due si innamorano, lei lo presenta ai genitori ai quali il ragazzo lascia una buona impressione. La relazione diventa seria, tanto che l’estate seguente Francesco invita Rossella e la famiglia Casini a passare le vacanze nel Reggino. Tutto sembra procedere al meglio, il paesaggio è selvaggio e suggestivo, la gente accogliente, quando un giorno, mentre passavano in macchina lungo le vie del paese, lei e i genitori vedono un uomo a terra, senza vita. Si tratta di Domenico Cutrì, conosciuto qualche giorno prima. I tre, nonostante il trauma, non si interrogano troppo sull’accaduto. Ma la stessa sera si presenta la stessa scena. Stavolta a farne le spese è Alfonso Gallico, altra conoscenza della famiglia Frisina. Tornata a Firenze, Rossella decide di smettere di frequentare Francesco. E’ impressionata da quanto visto e percepisce una sinistra sensazione attorno alla famiglia Frisina. Smaltita la paura, però, l’amore per Francesco è troppo forte e decide di riprovarci. E’ l’estate del 1979 e Rossella decide di tornare a Palmi per trascorrere le vacanze, stavolta solo con la madre. Passano i primi giorni e tutto sembra tranquillo. Forse quanto accaduto l’anno prima è solo frutto di tragiche coincidenze. Forse la sua sensazione è solo paranoia. Forse. Purtroppo questi interrogativi vengono strozzati da una macabra risposta. La villeggiatura viene drammaticamente segnata dalla morte di Domenico Frisina, padre di Francesco. Rossella e la madre iniziano ad indagare e la verità viene presto a galla. I Frisina di Palmi sono affiliati a una cosca, nello specifico ai Gallico, ‘ndrina che da vent’anni inonda di sangue le strade del Reggino. La madre di Rossella tenta il tutto per tutto per riportare la figlia in Toscana, ma lei non vuole abbandonare il fidanzato in un momento del genere. Rimane a Palmi per cinque mesi. Mesi di omicidi, mesi in cui Rossella quasi si abitua alle dinamiche mafiose che coinvolgono la famiglia Frisini, tanto da essere “accettata”, con i doveri da svolgere del caso. Su pressione dei genitori, a dicembre Rossella torna a Firenze. Passa qualche giorno e da Palmi giunge l’ennesima tragica notizia. La peggiore. Francesco, il suo Francesco, è rimasto coinvolto in un attentato a firma di un boss di una cosca nemica. Colpito alla tempia da un arma da fuoco, viene ricoverato in gravissime condizioni. Rossella prende il primo treno e si precipita in Calabria, al capezzale del suo amore. Convince la famiglia Frisini a farlo trasferire a Firenze, per stargli vicino e per tenerlo lontano per un po’.
Rossella ha un piano. Una volta in Toscana, Francesco inizia a riprendersi. Un giorno, in ospedale, Rossella gli fa visita con un uomo che presenta come suo cugino. In realtà si tratta di un agente in borghese. L’obiettivo è convincere il fidanzato a collaborare con la giustizia. Francesco accetta e inizia a parlare. Si dichiara partecipe di una serie di delitti e inizia a fare nomi pesanti della cosca, molti appartenenti alla sua stessa famiglia. Lei stessa si fa interrogare, rivela tutto quello che sa e che è riuscita a estorcere al fidanzato. Si presta a un interrogatorio fiume da cui scaturisce qualche arresto. Francesco però è fragile, così come la sua collaborazione. Passa poco tempo e, una volta dimesso, viene convinto dalla famiglia a ritrattare la deposizione. Una mossa che gli costa comunque il carcere.
E’ la condanna a morte per Rossella. Il suo squarcio nell’omertà è una macchia da rimuovere. Una mina vagante da disinnescare.
Rossella è sola e impaurita, ma nonostante tutto ama ancora Francesco, gli fa visita costantemente in carcere e gli rimane accanto. La famiglia Frisini decide di convocarla a Palmi, per farle firmare una dichiarazione redatta dalla famiglia e dai legali nella quale nega parte di quello che ha riferito ai magistrati. E’ per il bene di Francesco. Lei si fida, accetta.
E’ il 22 febbraio del 1981. L’incubo sembra finito, Rossella chiama i genitori per avvertirli che sta per salire sul treno di ritorno verso Firenze.
E’ l’ultima traccia che Rossella lascia di sé. Da allora non se ne saprà più nulla.
Gli anni di assordante silenzio passano. La madre muore per il troppo dolore. Il padre resta l’unico a cercare una risposta. E’ il 1994 e, sulla base di alcune deposizioni di tre collaboratori di giustizia, emerge la verità. E’ agghiacciante. Rossella è stata rapita, torturata, uccisa, fatta a pezzi e gettata in mare. L’ordine è partito dalla sorella di Francesco, Concetta, per lavare col sangue il tradimento. Un ordine perentorio: “fate a pezzi la straniera”.
Cosa successe a Rossella Casini Studentessa fiorentina in psicologia si innamorò di un ragazzo calabrese e finì uccisa dalla ‘ndrangheta Se non le avessero rubato il futuro, se 35 anni fa – il 22 febbraio 1981 – non l’avessero rapita, violentata, fatta a pezzi e gettata nella tonnara di Palmi, Rossella Casini compirebbe 60 anni il 29 maggio prossimo. Impossibile immaginarlo guardando la sua unica foto, recuperata da Libera nel libretto universitario di 40 anni fa. Un viso fresco, bellissimo e triste da Madonna rinascimentale. Oggi Rossella non sarebbe più così graziosa ma forse avrebbe dei figli e dei nipoti e farebbe la psicologa a Firenze.
Avrebbe vissuto una vita fatta di gioie e dolori “normali”, se non avesse avuto la sventura di innamorarsi di uno studente universitario di Palmi, Francesco Frisina, e di finire stritolata in una feroce faida di ‘ndrangheta, fra le due cosche contrapposte dei Gallico – Frisina e dei Condello – Porpiglia. Il suo omicidio – ha scritto la corte di assise di Palmi – è forse l’episodio più turpe di quella guerra di mafia. Una guerra nella quale il bene non ha trionfato. Rossella è scomparsa per sempre.
Il suo fidanzato è divenuto, secondo le accuse, un riciclatore di beni mafiosi. La cognata Concetta, descritta dai giudici come intrisa della cultura mafiosa della dissimulazione e dell’omertà, accusata di aver ordinato la morte di Rossella e assolta con la formula del dubbio, insegna Italiano, Storia, Educazione civica e Costituzione nell’istituto comprensivo statale De Zerbi – Milone di Palmi. Suo marito Giuseppe è stato più volte processato, suo figlio Alessandro è accusato con lo zio Francesco di investimenti mafiosi a Roma.
Il corpo di Rossella non è mai stato ritrovato. Non c’è una tomba per piangerla. I suoi anziani genitori sono morti di dolore, senza avere giustizia. Nonostante l’impegno di alcuni magistrati e di qualche investigatore, lo Stato si è rivelato lontano e impotente. La storia di Rossella dimostra che la mafia riguarda tutti, non è cosa soltanto del Sud, e che già alla fine degli anni Settanta, quando Firenze e la Toscana erano considerate da tutti isole felici e immuni dalla piaga mafiosa, il contagio si stava diffondendo. Francesco Frisina studiava economia a Siena e abitava con altri studenti nella stessa palazzina in cui viveva Rossella con i genitori, in Borgo la Croce 2 a Firenze, ma – come raccontò in seguito egli stesso – ospitava compaesani della ‘ndrina saliti in Toscana per compiere rapine.
Rossella si era innamorata di lui e certo all’inizio ignorava di amare un mafioso. Ma il 4 luglio ’79, quando era appena arrivata a Palmi da Firenze con il fidanzato, il padre di Francesco, Domenico Frisina, imprenditore agricolo molto benestante e secondo gli inquirenti molto mafioso, fu ucciso in un agguato. Il 9 dicembre successivo Francesco rimase gravemente ferito durante una spedizione contro i rivali. Rossella lo fece trasferire alla neurochirurgia di Careggi e qui un giovane poliziotto riuscì a farsi confidare i segreti della faida. Rossella sperava così di strappare il fidanzato a un destino di sangue ma appena la famiglia scoprì che Francesco aveva parlato lo convinse a ritrattare. Rossella continuò a prodigarsi per lui. Forse ingenuamente tentò anche di trovare una via per far cessare la faida, tanto è vero che incontrò il capo dei Condello, la famiglia rivale. Il 22 febbraio 1981 chiamò il padre da Palmi per avvisarlo: “Sto rientrando”. Da allora è scomparsa. Le indagini iniziali furono del tutto inadeguate. Nel ’94 un pentito palermitano che aveva trascorso la latitanza a Palmi, Vincenzo Lo Vecchio, riferì agli inquirenti di aver saputo che Rossella era stata rapita, violentata, uccisa e fatta a pezzi perché ormai la famiglia mafiosa del fidanzato la riteneva una infame e una mina vagante. Le indagini ripresero ma il processo per omicidio contro il capocosca Domenico Gallico e contro Francesco e Concetta Frisina, cominciato nel ’97, si impaludò in cavilli e rinvii e si concluse il 25 maggio 2006 con una sentenza di assoluzione con la formula del dubbio.
E tuttavia quella sentenza, divenuta definitiva, rivela in quale groviglio di vipere fosse finita Rossella Casini. In aula, il 30 marzo 2006, la signora Frisina descrisse sé stessa e la sua famiglia come esempio di ogni virtù. “Avevo un papà meraviglioso che aveva fatto grossi sacrifici, aveva saputo investire i suoi soldi, frutto della sua fatica… L’animo suo era pulito, non aveva nemici, non aveva nemici… Io so di avere avuto un papà corretto, un papà generoso, un papà bravo, non un papà mafioso”. Perché fosse stato ucciso non seppe dire. Ma non solo il papà. Anche la mamma era dolcissima e i figli superlativi. “Io vorrei avere una cornamusa, signor Presidente, per gridare al mondo intero chi sono, quali sono i miei principi morali, l’aver saputo educare una bimbetta di sette anni, che oggi è una dottoressa meravigliosa,… un medico specialista, ho un altro ragazzo che è pure studente universitario…”. Anche Rossella era “meravigliosa”, certo. Però la signora Frisina, pur vivendo nel migliore dei mondi possibili, ogni tanto estraeva il pungiglione. E allora Rossella “era un po’ libertina”. Viaggiava. “La chiamavamo la ragazza con la valigia”. E qua e là la signora Frisina spargeva sottili insinuazioni su possibili altre amicizie maschili.
Scrive la corte di assise di Palmi: “Il movente che Concetta Frisina aveva per fare uccidere la futura cognata è imponente, mastodontico, innegabile. Rossella Casini, in una paradossale lettura dei fatti in cui i valori sociali si ribaltano, era colei che aveva gettato il disonore sulla “onorata” famiglia Frisina… Una famiglia non solo “in odore di mafia”, ma la cui appartenenza associativa è già stata acclarata da accertamenti giudiziari che hanno l’autorità di giudicato... Una famiglia di cui la professoressa Frisina ha recepito senza sbavature e senza défaillances ogni insegnamento, primo fra tutti quello dell’omertà”. Quanto di questa cultura venga ogni giorno trasmesso ai suoi allievi è questione che il Ministero della pubblica istruzione dovrebbe porsi. di FRANCA SELVATICI 21 FEBBRAIO 2016 LA REPUBBLICA
ROSSELLA CASINI UCCISA PER AMORE PER AVER INFRANTO LA REGOLA DEL SILENZIO DEI CRIMINALI Da sempre considero Firenze la mia città di adozione e anche se oramai da diversi anni mi sono trasferito a Roma, periodicamente sento il bisogno di tornarci. Mi piace passeggiare per le sue strade, soprattutto di sera, e scoprire nuovi luoghi. Qualche tempo fa mi stavo recando per una ricerca all’Archivio di Stato, in viale della Giovane Italia, e per raggiungere la mia meta ho attraversato Borgo la Croce.
In quella strada, uno dei pochi luoghi di passeggio non toccati dal turismo di massa, mi sono imbattuto in una targa commemorativa: “Qui visse Rossella Casini vittima della ‘ndragheta scomparsa dal 22 febbraio 1981 perché per amore infranse la regola criminale del silenzio”. Non conoscendo, chi fosse la donna, rimasi colpito dalla targa e, soprattutto, dalla circostanza che fosse indicata solo la data di inizio della scomparsa; inoltre, non comprendevo l’attinenza della ragazza fiorentina con il fenomeno mafioso della ’ndragheta.
Ho deciso così di approfondire la sua storia e di contribuire, nel mio piccolo, ad onorare la sua memoria. Rossella Casini era nata a Firenze il 29 maggio del 1956, figlia unica di Loredano, ex dipendente della FIAT in pensione, e Clara, casalinga. Viveva nella casa ottocentesca dei genitori in Borgo la Croce n. 2. Rossella, conseguita la maturità all’Istituto Magistrale Capponi di Firenze, aveva deciso di continuare gli studi iscrivendosi alla Facoltà di Magistero, corso di laurea in Pedagogia, dell’Università di Firenze. Nel novembre del 1977 conobbe Francesco Frisina, studente calabrese fuori sede alla facoltà di Economia dell’Università di Siena, che abitava, con altri studenti, nella stessa palazzina dove viveva Rossella.
Tra i due iniziò una relazione sentimentale non osteggiata dalla famiglia Casini in quanto il Frisina inizialmente si era proposto come ragazzo educato e civile. All’inizio del mese di luglio del 1979, Rossella venne invitata dal ragazzo a trascorrere le vacanze presso la sua famiglia a Palmi, in Calabria, per conoscere i suoi genitori. Dopo pochi giorni dal suo arrivo, il 4 luglio, il padre del fidanzato, Domenico Frisina, imprenditore agricolo benestante, viene ucciso in un agguato, in Contrada Pirara di Palmi da due killer appartenenti ad un clan rivale.
L’episodio di sangue era legato alla faida in corso tra la ’ndrina Gallico, di cui facevano parte i Frisina, e le ’ndrine Parrello-Condello. Nonostante il grave fatto di sangue la ragazza, sempre più innamorata di Francesco, decide di rimanere a Palmi e rimanda a casa la madre che l’aveva accompagnata nel viaggio presso i consuoceri in Calabria.
Con molta probabilità aveva capito di essere finita in mezzo a una guerra di mafia, ma l’amore che provava per Francesco era troppo grande per abbandonarlo in un momento così delicato della sua vita. Dopo circa tre mesi dal tragico evento, e soprattutto grazie alle pressioni dei genitori, la ragazza decide di tornare a casa a Firenze anche per riprendere gli studi universitari.
Giunta a Roma, riceve la telefonata del ferimento del suo fidanzato nel corso di uno scontro a fuoco. Francesco Frisina aveva partecipato, insieme ad altri del suo clan, ad un’imboscata ai danni di Condello Francesco, capo della consorteria rivale.Nel corso dello scontro il ragazzo aveva riportato la peggio e, colpito alla testa, viene ricoverato presso il reparto neuro-chirurgico degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria. La ragazza, in preda allo sconforto, invece di continuare il suo viaggio per Firenze, decide di tornare in Calabria dal suo fidanzato.
Per diversi mesi resta accanto al fidanzato, che aveva un proiettile conficcato in testa.
Con il passare del tempo il ragazzo inizia a riprendersi e per un miglior esito terapeutico, si convince, nel febbraio del 1980, a trasferirsi a Firenze dove avrebbe potuto fruire di una assistenza ospedaliera migliore presso il reparto di neurochirurgia dell’ospedale di Careggi. In realtà Rossella era consapevole che se voleva salvare Francesco e il suo amore, doveva portarlo via dalla sua terra e dai suoi legami di sangue.
Solo portandolo nel suo contesto sociale, estraneo alle logiche e alle dinamiche della sua famiglia di origine, avrebbe potuto comprendere meglio quanto il ragazzo fosse realmente radicato con le regole e i codici di quella cultura mafiosa e invitarlo a rompere per sempre ogni legame con essa.
Lontana dagli affetti familiari, la Casini convince il suo giovane amante a rilasciare dichiarazioni ad un poliziotto (A. Cariola), amico della ragazza, sulla guerra di mafia in corso a Palmi.
Le dichiarazioni, che successivamente venivano confermate anche al PM della Procura di Firenze, riguardavano in particolare alcuni episodi criminosi perpetrati nell’ambito della faida di Palmi, in cui erano coinvolti diversi esponenti dell’organizzazione criminosa e tra questi molti stretti congiunti. Inoltre forniva particolari anche di una rapina verificatasi in Castello, nei pressi di Firenze, di cui non erano mai stati scovati gli autori. Le delazioni di Francesco Frisina portarono all’arresto a Torino dei cognati di questi, Giuseppe e Vincenzo Manzullo, in esecuzione del provvedimento di custodia cautelare emesso dall’autorità giudiziaria di Palmi riguardo i fatti della faida.
La colpa del pentimento di Francesco ricadde così su Rossella, la quale, nonostante l’avversità della famiglia Frisina, non abbandonò la sua volontà di tirare fuori Francesco dal mondo malavitoso.
Il Frisina dimesso dall’ospedale viene ristretto in carcere e dopo poco tempo dagli arresti dei cognati, nel corso di un interrogatorio, ritratta le dichiarazione rese al poliziotto Carioli e al PM di Firenze, sostenendo di non ricordare nulla e lasciando intendere di non star bene con la testa.
Posta a conoscenza della ritrattazione del compagno, Rossella inizia ad avere paura e ritratta anche lei le dichiarazioni che aveva reso il 14 febbraio del 1980 al Pubblico Ministero di Firenze, Francesco Fleury, in merito a quanto aveva appreso nel corso del colloquio del fidanzato con il poliziotto Carioli. Oltretutto raccontò agli inquirenti di un presunto rapimento di cui era stata vittima a Palmi ad opera di un fantomatico gruppo che già in precedenza, mediante scritti anonimi, l’aveva minacciata allo scopo di convincere il ragazzo Francesco a confermare le accuse contro la ’ndrina dei Gallico, di cui faceva parte la famiglia Frisina.
Nel mese di febbraio del 1981 Rossella Casini decide di recarsi nuovamente in Calabria riferendo ai genitori di essere stata convocata dall’Autorità Giudiziaria di Palmi.
In realtà non era stata convocata dai giudici, ma si era presentata di sua iniziativa (almeno così appariva dall’esterno) depositando una memoria scritta.
Il successivo 22 febbraio 1981 la ragazza telefona, per l’ultima volta, a suo padre informandolo che sarebbe tornata a Firenze quanto prima e che si trovava in una casa ubicata nei pressi della “Tonnara” di Palmi presso amici che non disponevano di telefono e che i rapporti con i Frisina non erano più buoni.
Da quel momento si perdono le tracce della ragazza, sino a quando nel 1994, un collaboratore di giustizia, Lo Vecchio Vincenzo, detto “Enzo il palermitano”, nel corso di alcune deposizioni davanti ai PM della DDA di Reggio Calabria, dichiara di aver attivamente partecipato alla faida di Palmi, nel periodo in cui, latitante per altre cause, aveva trovato appoggi e sostegni in quel territorio. Per la precisione, egli aveva affiancato i Gallico-Frisina, facendo parte di quel gruppo di fuoco che si era mosso per intercettare Condello Francesco e che aveva fallito nei suoi intenti riportando, nel cruento scontro a fuoco seguito al contatto con il gruppo avverso, il ferimento di un proprio componente, appunto Frisina Francesco.
Il collaboratore, in merito alla scomparsa di Rossella Casina, riferisce di aver appreso in carcere da Pino Gallico, che la ragazza era stata fatta a pezzi e buttata in mare ad opera di Domenico Gallico, Piero Managò ed altri di cui non ricordava il nome. La causa andava ricercata nel comportamento della donna che aveva fatto incontrare un poliziotto al quale Frisina Francesco, all’epoca degente presso un ospedale di Firenze, aveva fatto confidenze su tutti delitti perpetrati nel corso della guerra di mafia di Palmi.
Dichiarava di aver conosciuto personalmente la Casini nello stabile dei Frisina Mazzullo; inoltre di aver appreso da Giuseppe Gallico, da Piero Managò e da Delfino che la Casini era stata violentata ed interrogata da Gallico Domenico e Piero Managò, quindi era stata uccisa.
Riteneva che il corpo di lei fosse stato seppellito, dal momento che i Gallico non si sarebbero esposti a rischi inutili per trasportare il cadavere a mare, come invece gli era stato riferito.
Aggiungeva che per l’omicidio vi era stato l’avallo di Francesco Frisina, in quel periodo ricoverato presso il centro clinico di Messina, e che poco prima della sua eliminazione Rossella Casini era stata mandata, a bordo di una Fiat 128 dei Frisina, presso i Condello, per far ricadere su costoro la responsabilità della sua scomparsa.
Anche a seguito delle dichiarazioni del pentito le indagini sulla scomparsa di Rossella Casini ripresero e portarono a processo nel marzo del 1997, sedici anni dopo la sparizione, per omicidio in pregiudizio e sequestro di persone: Domenico Gallico, il capocosca, Pietro Managò, giudicato successivamente in un procedimento separato con giudizio abbreviato, il fidanzato Francesco Frisina e la sorella Concetta Frisina, insegnante di scuola media a Palmi e considerata la personalità più forte della famiglia Frisina dopo la morte del padre.
Il processo di primo grado, nel 2000, tra rinvii ed eccezioni procedurali, si concluse con un’assoluzione degli imputati per insufficienza di prove. Sentenza confermata dalla Corte d’Assise di Appello di Palmi il 25 maggio del 2006.
Scrive la Corte di Assise di Palmi: “Il movente che Concetta Frisina (sorella di Francesco) aveva per fare uccidere la futura cognata è imponente, mastodontico, innegabile. Rossella Casini, in una paradossale lettura dei fatti in cui i valori sociali si ribaltano, era colei che aveva gettato il disonore sulla “onorata” famiglia Frisina… Una famiglia non solo “in odore di mafia”, ma la cui appartenenza associativa è già stata acclarata da accertamenti giudiziari che hanno l’autorità di giudicato… Una famiglia di cui la professoressa Frisina ha recepito senza sbavature e senza défaillances ogni insegnamento, primo fra tutti quello dell’omertà”.
Quanto di questa cultura venga ogni giorno trasmesso ai suoi allievi è questione che il Ministero della Pubblica Istruzione dovrebbe porsi. (1)
È morta per amore, Rossella. In anni in cui la parola mafia nessuno osava nemmeno mormorarla, lei aveva convinto il suo fidanzato a pentirsi. Tentarono di mascherare tutto col tradimento, provando ad incolpare di quella sparizione la cosca avversaria. Un depistaggio vero e proprio.
Era quella la trama che avevano costruito attorno alla ragazza. Lei sparì in un giorno di febbraio del 1981 senza essere più ritrovata e senza una tomba su cui i genitori potessero portare dei fiori.
Si spensero, Loredano e Clara, prima ancora del processo, certi che la loro figlia fosse morta. Il comune di Firenze, ha voluto ricordarla con una lapide in Borgo la Croce sulla facciata della sua casa natale a febbraio del 2016. Il Comune di Scandicci ha intitolato un Istituto comprensivo alla giovane Rossella Casini con classi dell’infanzia, di primaria di primo e secondo grado e di secondaria di primo grado.
Il 2 giugno 2019 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha insignita Rossella Casini della medaglia d’oro al valore civile con la seguente motivazione: “Studentessa universitaria fiorentina, legatasi sentimentalmente a un uomo rivelatosi successivamente esponente della malavita calabrese, pur consapevole dei gravi rischi, lottò tenacemente per convincere il fidanzato a troncare ogni legame con il mondo criminale, rivelando all’Autorità giudiziaria quanto appreso dallo stesso sulla cosca di appartenenza”. La ricostruzione dei fatti è stata ripresa dalla sentenza n. 3 del 20.07.2000 della Corte d’Assise di Palmi Sezione I. POLIZIA PENITENZIARIA
La storia di Rossella Casini: la fiorentina che sfidò la ‘Ndrangheta Rossella Casini, nasce a Firenze il 1956. La sua potrebbe essere una storia come tante altre. Studia Pedagogia all’Università di Firenze. E in un giorno nel novembre 1977, all’età di 21 anni, conosce Francesco Frisina, suo vicino di casa e studente fuori sede. Frisina viene dalla Calabria e studia economia a Siena. Con altri compagni meridionali si trasferisce a Borgo la Croce nella stessa palazzina della famiglia Casini: il padre, Loredano Casini, ex dipendente Fiat in pensione e la madre, Clara Casini, casalinga.
Rossella Casini e Francesco Frisina iniziano una relazione che li porterà, nell’estate del ’79, a visitare la città natale di lui, Palmi. Fino a qua la storia di due giovani studenti che si conoscono, si fidanzano, e decidono di passare assieme le vacanze estive. Ma quella di Rossella Casini non è una storia d’amore come le altre. Proprio quella storia d’amore, la cocciutaggine di Rossella e la sua volontà a non piegarsi, le faranno trovare la morte.
A Palmi Rossella vive la sua storia d’amore con Francesco Frisina ignara dei suoi rapporti con ‘Ndrangheta. E’ solo a Palmi che Rossella conosce la vera natura della famiglia di Francesco quando, il 4 luglio 1979 Domenico Frisina, imprenditore agricolo e padre di Francesco, viene ucciso in contrada Pirara di Palmi da due killer della ‘Ndrangheta appartenenti ad un clan rivale. Quell’avvenimento cambierà per sempre la vita della giovane Rossella Casini che si troverà nel vortice della malavita senza alcuna colpa.
La morte del padre di Francesco, Domenico Frisina, era legata alla faida in corso fra la ‘ndrina Gallico, di cui i Frisina facevano parte, e le ‘ndrine Parrello-Condello. Questo non ferma Rossella Casini e il suo amore per Francesco. Così i mesi successivi decide di restare al fianco del fidanzato, in Calabria. Fino a quando la stessa sorte non tocca anche Francesco: sarà infatti ferito alla testa, il 9 dicembre 1979, durante una spedizione punitiva contro Francesco Condello, membro appunto della ‘ndrina rivale. Francesco, che riporterà lesioni cerebrali, viene ricoverato nel reparto neurochirurgico degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria. Rossella, che era in viaggio verso Firenze, torna precipitosamente a Palmi e trasferisce il fidanzato nell’ospedale Careggi di Firenze.
Il pentimento Ed è durante la permanenza del fidanzato nell’ospedale fiorentino che Rossella mostra tutta la sua tenacia. Con l’aiuto di un brigadiere di Polizia convince il fidanzato a collaborare con la giustizia e a raccontare i dettagli sulla faida in corso. Anche Rossella Casini sarà testimone, e il 14 febbraio 1980 rilascia dichiarazione al procuratore fiorentino Francesco Fleury, su quanto aveva visto nei mesi in cui aveva soggiornato a Palmi.
L’aver parlato, il più grande atto di disonore per la famiglia di Francesco. Così Pino Mazzullo, cognato di Francesco e marito di sua sorella Concetta, lo convince ad andare a Torino a ritrattare con i magistrati ciò che aveva raccontato. Rossella viene incolpata dalla famiglia Frisina del pentimento di Francesco, ma anche questo non la ferma e continuerà i suoi viaggi fra Firenze e la Calabria. Fino a quel 22 febbraio del 1981, quando Rossella scompare. Quella mattina aveva telefonato al padre annunciandogli il suo ritorno a Firenze. Ma non fece mai più ritorno nella sua città natale. Infatti, il corpo di Rossella non è mai stato ritrovato.
Solo durante il processo, grazie alle ricostruzioni del pentito Vincenzo Lo Vecchio, si scoprirà che Rossella venne uccisa per aver convinto il fidanzato a collaborare con la giustizia. Ma secondo le testimonianze di Lo Vecchio, lo stesso Francesco dette il suo assenso all’eliminazione della fidanzata. “Fate a pezzi la straniera” fu l’ordine dell’ Ndrangheta. Rossella venne rapita, stuprata, fatta a pezzi e gettata nel mare.
Il processo, che ha subito numerosi rinvii, si è concluso dopo 9 anni con l’assoluzione degli imputati per insufficienza di prove.
Medaglia d’oro al merito civile In occasione della Festa della Repubblica, il 2 giugno scorso, la città di Firenze ha deciso di ricordare la vita e il coraggio della giovane che sfidò l’Ndrangheta conferendogli la medaglia d’oro al merito civile. Con la seguente motivazione: “Studentessa universitaria fiorentina, legatasi sentimentalmente a un uomo rivelatosi successivamente esponente della malavita calabrese, pur consapevole dei gravi rischi, lottò tenacemente per convincere il fidanzato a troncare ogni legame con il mondo criminale, rivelando all’Autorità giudiziaria quanto appreso dallo stesso sulla cosca di appartenenza”. A lei e alla sua storia è dedicata anche una scuola, l’istituto comprensivo Rossella Casini di Scandicci. 5 GIUGNO 2019 ULTIMA VOCE
2014 ’Ndrangheta, colpita a Roma la cosca Gallico. Sequestrato anche il Bar Chigi Dopo l’operazione “Mondo di mezzo” della Procura di Roma ecco l’operazione “Caput mundi” dei finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria e del Servizio centrale investigazione sulla criminalità organizzata di Roma. Al centro tanto dell’una quanto dell’altra operazione la profonda penetrazione delle mafie nella capitale.
Con l’operazione odierna la Gdf, su disposizione del Tribunale di Reggio Calabria-sezione Misure di prevenzione, ha eseguito la confisca di un ingente patrimonio costituito da società, beni immobili e disponibilità finanziarie, per un valore di oltre 3,5 milioni, direttamente e indirettamente riconducibili a due affiliati di rilievo di una delle più temibili articolazioni della ‘ndrangheta, egemone nella Piana di Gioia Tauro e con ramificazioni nella Capitale, la cosca Gallico di Palmi (Rc).
Destinatari del provvedimento giudiziario sono i pregiudicati Francesco Frisina, figlio di Domenico cl.’29, già affiliato alla cosca Gallico, ucciso il 4 luglio 1979 nell’ambito della guerra di ‘ndrangheta che sino al 1990, aveva visto coinvolte le cosche “Condello” e “Gallico” e che ha mietuto più di 50 vittime, e il nipote Alessandro Mazzullo del 1983, figlio del pregiudicato Giuseppe, classe ‘45, ritenuto dagli investigatori e dagli inquirenti uno dei “rampolli” emergenti della cosca Gallico, al quale è stato attribuito il ruolo di intestatario fittizio dell’associazione criminale a i Roma.
La confisca, propedeutica all’acquisizione dei beni nel patrimonio dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata e, quindi, dello Stato, è il coronamento delle articolate indagini economico-patrimoniali, che hanno consentito di avvalorare la continua e inarrestabile infiltrazione, da parte di soggetti appartenenti a cosche della ‘ndrangheta calabrese, nel tessuto economico e imprenditoriale capitolino.
Le indagini hanno evidenziato come la cosca, proprio grazie ai due sodali e ai legami da quest’ultimi instaurati con altri soggetti di elevata caratura criminale – a vario titolo collegati alla storica cosca Alvario nelle sue ramificazioni di Sinopoli e Cosoleto rispettivamente denominate “Carni i cani” e “Testazza o cudalonga”, già da tempo impiantati a Roma – avesse delocalizzato il proprio centro di interessi dalla Calabria alla Capitale.
Le indagini hanno svelato che Frisina e il nipote Mazzullo, in un breve lasso temporale susseguente al loro trasferimento nella capitale, sono riusciti a dar vita a una serie di operazioni finanziarie, finalizzate all’acquisizione, diretta e/o indiretta, di diversi immobili, nonché alla gestione di varie attività commerciali – in primis nel settore della ristorazione – manipolando le regole di libero mercato attraverso l’alterazione dei dettami commerciali e finanziari del contesto socio-economico romano.
Entrambi, a fronte di un’accertata esigua lecita capacità reddituale, hanno, di fatto, investito nelle citate acquisizioni immobiliari e societarie, ingiustificati e ingenti capitali, tali da far ritenere che i medesimi siano gli affidatari dei plurimi “interessi economici” su Roma della cosche calabresi di riferimento, alle quali hanno garantito il reimpiego degli indebiti proventi derivanti dalle varie attività illecite e/o “paralecite” dalle stesse poste in essere.
In particolare, sono stati sottoposti a confisca i seguenti beni intestati e/o riconducibili ai due proposti:
– quote sociali e intero patrimonio aziendale della “Macc 4 srl” di Roma, che come oggetto sociale ha acquisto, vendita e gestione di bar, ristoranti, pizzerie, rosticcerie, proprietaria del bar “Antiche mura”;
– quota pari al 30% del capitale sociale e corrispondente parte del patrimonio aziendale comprensivo dei conti correnti della “Colonna Antonina 2004 srl” esercente l’attività di “esercizio di bar – ristorante” , con sede legale a Roma, titolare – fino a novembre 2009 – del noto “Bar Chigi” in via della Colonna Antonina 33 a due passi dal Parlamento e a quattro dal Senato;
– 2 unità immobiliari – di cui un villino di pregio – in via Boccea;
– vasti appezzamenti di terreno agricolo, coltivati ad uliveto, per un’estensione di oltre 12 mila metri quadrati;
– plurimi rapporti finanziari bancari, postali ed assicurativi.
Il valore del patrimonio confiscato ammonta a oltre tre milioni e mezzo.
Per Frisina e Mazzullo è stata disposta la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per 3 anni e 6 mesi, con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza o di dimora abituale e il versamento di una cauzione di 5mila euro a testa. di Roberto Galullo 4 dicembre 2014 sole 24 ORE
Note
- ^ Sentenza N° 3/06, 25/05/2006, Corte di Assise di Palmi
- ^ Fototessera del libretto universitario di Rossella Casini. Facoltà di Magistero, corso di laurea in Pedagogia, anno accademico 1978-1979. Archivi dell’Università di Firenze
- ^ Salta a:a b Franca Selvatici, Ha un volto la ragazza che fu uccisa dalla mafia, in la Repubblica, Firenze, GEDI Gruppo Editoriale, 27 giugno 2013. URL consultato il 20 agosto 2018.
«Rossella era nata il 29 maggio 1956. Era figlia unica e abitava con i genitori Loredano e Clara in Borgo la Croce 2.». - ^ Salta a:a b Salvatore La Lota, Firenze ritrova il volto di Rossella Casini: la foto nell’Archivio dell’Università, in La Nazione, Firenze, Poligrafici Editoriale, 26 giugno 2013. URL consultato il 20 agosto 2018.
«Ma nel caso di Rossella, figlia unica, non ce ne sono. Clara e Loredano, i genitori, sono morti prima dell’emissione “dell’ingiusta sentenza definitiva” che ha assolto gli imputati e mandanti per mancanza di prove.». - ^ Sandra Bonsanti, Il martirio di Rossella, in la Repubblica, GEDI Gruppo Editoriale, 24 luglio 1994. URL consultato il 20 agosto 2018.
«Era una ragazza normale, una studentessa di magistero, bellissima, bionda con gli occhi azzurri e quando nella casa dietro Santa Croce arrivò lo studente Francesco Frisina se ne innamorò.». - ^ «ragazza fiorentina estranea alla cultura mafiosa» dalla sentenza N° 3/06, 25/05/2006, Corte di Assise di Palmi.
- ^ Diplomata all’istituto magistrale Capponi di Firenze
- ^ Franca Selvatici, Il clan non perdona l’amore di Rossella, in la Repubblica, GEDI Gruppo Editoriale, 22 luglio 2014. URL consultato il 20 agosto 2018.
«Nel ’77 Francesco, che studiava economia all’università, era andato a vivere nella palazzina ottocentesca dove abitava la famiglia Casini.». - ^ Salta a:a b Franca Selvatici, Cosa successe a Rossella Casini che oggi avrebbe sessant’anni, in la Repubblica, Firenze, GEDI Gruppo Editoriale, 21 febbraio 2016. URL consultato il 20 agosto 2018.
«Il corpo di Rossella non è mai stato ritrovato. Non c’è una tomba per piangerla. I suoi anziani genitori sono morti di dolore, senza avere giustizia. Nonostante l’impegno di alcuni magistrati e di qualche investigatore, lo Stato si è rivelato lontano e impotente. La storia di Rossella dimostra che la mafia riguarda tutti, non è cosa soltanto del Sud, e che già alla fine degli anni Settanta, quando Firenze e la Toscana erano considerate da tutti isole felici e immuni dalla piaga mafiosa, il contagio si stava diffondendo. Francesco Frisina studiava economia a Siena e abitava con altri studenti nella stessa palazzina in cui viveva Rossella con i genitori, in Borgo la Croce 2 a Firenze, ma – come raccontò in seguito egli stesso – ospitava compaesani della ‘ndrina saliti in Toscana per compiere rapine.». - ^ Salta a:a b Franca Selvatici, Rossella, la studentessa fiorentina morta di mafia e tradita dal cuore, in la Repubblica, GEDI Gruppo Editoriale, 15 marzo 2013. URL consultato il 20 agosto 2018.
- ^ Salta a:a b Franca Selvatici, Cosa successe a Rossella Casini che oggi avrebbe sessant’anni, in la Repubblica, Firenze, GEDI Gruppo Editoriale, 21 febbraio 2016. URL consultato il 20 agosto 2018.
«Il 9 dicembre successivo Francesco rimase gravemente ferito durante una spedizione contro i rivali. Rossella lo fece trasferire alla neurochirurgia di Careggi e qui un giovane poliziotto riuscì a farsi confidare i segreti della faida. Rossella sperava così di strappare il fidanzato a un destino di sangue ma appena la famiglia scoprì che Francesco aveva parlato lo convinse a ritrattare. Rossella continuò a prodigarsi per lui. Forse ingenuamente tentò anche di trovare una via per far cessare la faida, tanto è vero che incontrò il capo dei Condello, la famiglia rivale.».
20 luglio 2000 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d’assise di Palmi sezione I SENTENZA NEL PROCEDIMENTO PENALE CONTRO: MANAGO’ PIERO, nato a Palmi il detenuto per altro. IMPUTATO Del delitto di cui agli artt. 575, 577, 61 n. 1 c.p.. per avere, in concorso tra loro dopo averla privata della libertà personale cagionato la morte di Casini Rossella per motivi abietti di vendetta mafiosa con premeditazione, occultandone poi il cadavere. In Palmi, epoca prossima al 22 febbraio 1981.
Conclusioni del Pubblico Ministero. Il P.M. deposita memoria scritta e chiede la condanna ad anni 30 di reclusione previa la concessione della diminuente del rito abbreviato. Conclusioni della Difesa: L’Avvocato Domenico Minasi conclude con richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto. L’Avvocato Nico D’Ascola conclude con la richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto.
Sintetica esposizione dei fatti e dello svolgimento del processo L’omicidio di Rossella Casini costituisce un episodio della lunga e remota guerra di mafia denominata “faida di Palmi”. Forse il più turpe, per le motivazioni e le modalità esecutive del fatto, quale è stato possibile ricostruire sulla scorta delle testimonianze in atti. Inoltre, il tempo trascorso ha reso complesso addensare attorno ad un filo conduttore coerente le risultanze investigative concernenti il delitto; ed altrettanto farraginoso è apparso fin dall’inizio l’aspetto procedurale, propostosi dinanzi a questa Corte in una serie di appendici, a loro volta filiazioni di vicende processuali più ampie e la più parte definite da vecchia data: veri e propri scampoli di iniziative giudiziarie per fatti criminosi residuali ed ormai lontani nel tempo. Un quadro di evidente ed obiettiva difficoltà sistematica, ulteriormente appesantito dall’entrata in vigore della legge nr. 144 del 7 giugno 2000 la quale, nel dettare una disciplina transitoria, consentiva agli imputati di reati per i quali fosse prevista la pena dell’ergastolo di accedere al rito abbreviato, nei giudizi di primo grado e a condizione che non fosse stata ancora chiusa l’istruttoria dibattimentale. Nel caso di specie, il GUP distrettuale di Reggio Calabria aveva originariamente rinviato a giudizio dinanzi a questa Corte d’assise Gallico Domenico, Frisina Francesco, Frisina Concetta e Managò Piero perché rispondessero dei delitti di sequestro di persona ed omicidio in pregiudizio di Casini Rossella, stralciando j. la loro posizione da un più ampio procedimento nel quale altri i nove coimputati rispondevano del reato associativo mafioso (Parrello Candelore, Parrello Vincenzo, Gagliostro Vincenzo, Gagliostro Antonio, Gagliostro Pasquale, Melara Salvatore, 4 Cucinotta Letterio), di traffico di stupefacenti (Gioffrè Giuseppe, Ilacqua Pietro, Gagliostro Antonio) e di tentato omicidio in pregiudizio di Gagliostro Pasquale (Parrello Candeloro). Per ~ queste ultime imputazioni il medesimo GUP aveva scelto la diversa strada del rinvio a giudizio dinanzi al Tribunale ordinario di Palmi. L’organo giudiziario adito si dichiarava tuttavia incompetente, restituendo gli atti alla Procura distrettuale di Reggio Calabria. Rivisitato pertanto il profilo della competenza, il GUP distrettuale rinviava dinanzi a questa Corte sia il processo a carico di Parrello Candeloro + 7, sia quello a carico di Cucinotta Letterio, quest’ultimo dotato di una propria autonomia a seguito di uno stralcio avvenuto nella prima udienza preliminare. La Corte, sussistendo evidenti ragioni di connessione t (enunciate nelle ordinanze in atti), all’udienza dibattimentale del disponeva prima la riunione del processo a carico di Cucinotta Letterio all’altro nei confronti di Parrello Candeloro + 7, quindi quella di entrambi al processo contro Gallico Domenico + 3. All’udienza del_26 giugno 2000, la prima utile successiva all’entrata in vigore della legge nr. 144/2000, l’imputato Managò Piero chiedeva procedersi nei suoi confronti a giudizio abbreviato. La richiesta era legittima, atteso che non era stata ancora chiusa l’istruzione dibattimentale, per cui la Corte stralciava tutte le altre posizioni che rinviava all’udienza dibattimentale del 29 ottobre 2000, dinanzi ad un Giudice 6r tà diversamente composto. Si procedeva pertanto a giudicare il solo \ Managò Piero imputato, come già evidenziato, della soppressione di Casini Rossella. 5 In punto di fatto, le indagini sull’omicidio di cui trattasi prendevano le mosse a seguito della scomparsa della giovane e delle diffuse dichiarazioni rese in proposito dal padre di lei. Prima di sintetizzarle, appare tuttavia opportuno delineare il * *- contesto di vicende personali che avevano avvicinato la Casini ft t (ragazza fiorentina estranea alla cultura mafiosa) all’ambiente palmese, determinando in certo qual modo un suo inserimento nella sanguinosa ed annosa contrapposizione armata tra le avverse consorterie dei Gallico e dei Condello-Parrello. Rossella Casini aveva infatti conosciuto in Firenze Frisina Francesco, il quale all’epoca frequentava un corso di studi universitari presso l’ateneo della vicina Siena. Fra i due giovani era nata una relazione sentimentale non osteggiata dalla famiglia di lei, dal momento che il Frisina si era inizialmente proposto quale ragazzo educato e civile. Portatasi in Palmi per un periodo di vacanze a casa del fidanzato, la Casini veniva qui sorpresa dalla perpetrazione di un grave fatto di sangue, destinato ad imprimere una svolta determinante alle sue scelte di vita: l’omicidio di Frisina Domenico, padre di Francesco, assassinato in contrada Pirara di Palmi il Da quel momento, infatti, il soggiorno della ragazza in Palmi si tinteggia di una dimensione psicologica diversa, diventa sostegno morale al fidanzato e sfocia, secondo la testimonianza del collaboratore Lo Vecchio Vincenzo, in una vera e propria opera di fiancheggiamento della parte mafiosa Gallico – Frisina. Comportamenti, in quel particolare frangente, forse necessitati e forse anche voluti; ma con la precisa riserva, come emergerà dalla successiva analisi, di riportare se stessa e il fidanzato sui binari della retta via, coerentemente con la dimensione culturale della donna, estranea alle logiche e alle dinamiche in cui invece la famiglia Frisina si trovava profondamente inserita. La Casini decideva pertanto di trattenersi in Palmi e rimandava a casa la madre che l’aveva accompagnata nel viaggio presso i. consuoceri in Calabria. Il , a distanza di circa tre mesi dal suo arrivo, ripartiva a sua volta per Firenze, essendo suo intendimento riprendere gli studi universitari. Appena giunta a Roma, tuttavia, riceveva la notizia del ferimento del fidanzato Francesco, il quale, nelpoccorso, aveva riportato lesioni a livello cerebrale. L’episodio si era verificato in territorio di Palmi, allorquando un gruppo di fuoco, del quale il Frisina faceva parte, aveva intercettato Condello Francesco, riconosciuto capo della consorteria rivale, affiancato da altri accoliti: nel conseguente scontro, aveva riportato la peggio proprio il Frisina il quale, per la gravita delle ferite alla testa, era stato subito ricoverato presso il reparto neuro-chirurgico degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria. Rossella Casini rientrava immediatamente in Calabria, portandosi al capezzale del fidanzato. Quando questi, per un miglior esito terapeutico, veniva trasferito verso appositi centri ospedalieri di Firenze, la ragazza, sentendosi probabilmente più al sicuro per la distanza geografica, induceva Francesco Frisina a rilasciare dichiarazioni compromettenti sulla guerra di mafia in corso a Palmi. In particolare, il ferito chiamava in causa molti degli accoliti della propria organizzazione, e tra questi taluni suoi stretti congiunti, con riferimento ad alcuni degli episodi criminosi perpetrati nell’ambito della faida di Palmi; andando oltre, forniva notizie inedite in ordine ad una rapina verifìcatasi in Castello, nei pressi di Firenze, sugli autori della quale era a suo tempo calato il sipario dell’anonimato. Le riferite dichiarazioni venivano in un primo tempo ricevute dal poliziotto Cariola (che, in epoca successiva, la Casini giustificherà di aver presentato maliziosamente all’ignaro fidanzato sotto le mentite spoglie di un proprio cugino) e, in seconda battuta, dallo stesso PM di Firenze. ** *- «Anche la Casini, in data , rilasciava al medesimo Pm $ > dettagliate dichiarazioni, contribuendo a ricostruire taluni fatti delittuosi dei quali aveva preso cognizione diretta durante i suoi soggiorni a casa dei Frisina. Tanto afflato collaborativo era inevitabilmente destinato a trapelare, nel comprensibile clima di diffidenza che animava tutti i protagonisti della guerra di mafia ed, in particolare, i congiunti del Frisina, ben consapevoli delle menomate condizioni di questi e della sua contiguità con persona sostanzialmente estranea alle loro regole culturali. Ne costituiscono riprova le conversazioni intercorse fra Giuseppe Mazzullo (cognato di Francesco Frisina) e Rossella Casini, intercettate sull’utenza del primo in data La donna confermava al suo interlocutore la strada di collaborazione intrapresa dal proprio fidanzato ed il Mazzullo, nel commentare i particolari delle dichiarazioni rese da Francesco Frisina, riferiva che costui aveva “inguaiato tutti”, dimostrandosi altresì sorpreso non tanto per il contenuto delle rivelazioni accusatorie, quanto per la circostanza che il cognato avesse tirato fuori se stesso dalla partecipazione ad alcuni dei delitti dei quali aveva parlato agli inquirenti fiorentini. Subito dopo la conversazione telefonica cui si è fatto cenno, Giuseppe Mazzullo partiva per Torino dove, a casa del proprio fratello Vincenzo, raggiungeva il cognato Frisina Francesco; questi, infatti, si era allontanato a sua volta dall’ospedale di Careggi andando ad alloggiare proprio nell’abitazione torinese di Vincenzo Mazzullo. Il successivo entrambi i cognati venivano arrestati in Torino in esecuzione di provvedimento custodiate emesso dall’ag di Palmi per i fatti concernenti la faida. Altro provvedimento restrittivo veniva emesso dal PM di Palmi il , in esito alle dichiarazioni accusatone rese in febbraio da Frisina Francesco e Casini Rossella. Il Frisina, non appena interrogato in carcere, ritrattava le dichiarazioni rese al Cariola e al PM di Firenze, sostenendo di non ricordare nulla e lasciando intendere di non star bene dal punto di vista psichico. Anche Rossella Casini, interrogata come testimone dal PM e dal GI di Palmi , ridimensionava il tenore delle proprie dichiarazioni e il ruolo assunto dal fidanzato nelle vicende relative alla guerra di mafia; per quanto concerneva le dichiarazioni rese a Firenze da Francesco Frisina, si limitava a confermare la circostanza che questi, nell’occasione, aveva parlato dei fatti concernenti la faida di Palmi. Al Gì dichiarava inoltre di trovarsi in quel periodo ( ) ospite della famiglia Frisina ed ammetteva di avere avuto un colloquio in carcere con Giuseppe Mazzullo. Le successive peripezie di Rossella Casini, fino alla data della sua eliminazione, risalente alla fine di febbraio del 1981, sono ricostruibili soltanto in modo approssimativo e frammentario. Dalle dichiarazioni del padre Loredano emerge che il fidanzamento di Rossella con Francesco Frisina proseguì fino alla data di scomparsa della ragazza, da individuare nel Il clima era tuttavia diventato molto teso, sia perché il Casini si era reso conto della pania in cui era rimasta invischiata la figlia e delle effettive caratteristiche personali del Frisina, il quale evidentemente non era quel bravo ragazzo apparso all’inizio, sia perché erano arrivati fino alla Toscana alcuni segnali preoccupanti, come una lettera anonima che Rossella aveva trovato sulla propria autovettura. Più particolareggiata è invece, da parte del Casini, la descrizione degli episodi verificatasi nei giorni immediatamente precedenti *. alla scomparsa della figlia. Rossella, infatti, in quest’ultimo periodo telefonò costantemente al padre, informandolo che sarebbe rientrata al più presto, che si trovava in una casa ubicata nei pressi della “Tonnara” di Palmi presso amici che non disponevano di telefono, che i rapporti con i Frisina non erano più buoni. Durante le citate conversazioni telefoniche, il Casini notiziava inoltre la figlia che, giorno 17 febbraio, era stata restituita una lettera da lei inviata all’avvocato Gaetano Minasi, difensore dei Frisina-Mazzullo, e che recava in allegato un biglietto dal tenore francamente sibillino: “Gent.mo avvocato per la buona riuscita della lettera la pregherei di mettere al corrente Francesco e Pino del contenuto della stessa; se dovesse avere qualcosa in contrario la prego di comunicarmelo o a casa mia o a Concetta alla quale io telefonerò per tenermi informata”. La ragazza aveva risposto al padre che si aspettava che la missiva venisse restituita. Aggiungeva infine il Casini che il motivo a lui noto per il quale Rossella era scesa in Calabria nei giorni precedenti alla sua scomparsa andava ricercato in una convocazione da parte dell’autorità Giudiziaria di Palmi, circostanza riferitagli proprio dalla figlia. In realtà la Casini non era stata convocata dal Giudice, ma si era presentata di sua iniziativa (cosi almeno appariva all’esterno) al Gì di Palmi in data , depositando una memoria scritta di contenuto identico a quella che si trovava nella lettera inviata all’avvocato Minasi e da questi prontamente rispedita al mittente. Nella medesima circostanza, la Casini aveva verbalmente specificato al magistrato di non avere avuto rapporti recenti né con Francesco Frisina, né con la sua famiglia e che nessuno l’aveva indotta a scrivere la memoria da lei redatta. Nel *. documento, vi è la descrizione di un presunto rapimento di cui la donna sarebbe stata vittima a Palmi ad opera di un fantomatico gruppo che già in precedenza, mediante scritti anonimi, l’avrebbe minacciata; lo scopo sarebbe stato sempre il medesimo, ossia l’opera di convincimento che la ragazza avrebbe dovuto esercitare sul fidanzato Francesco Frisina perché confermasse le accuse già formulate contro i Gallico. L’ultima telefonata di Rossella Casini al padre risale al pomeriggio di domenica 22 febbraio 1981; nel corso di essa Rossella notiziava il genitore che era in procinto di partire per Firenze. Da quel momento si perdono definitivamente le tracce di lei. Qualche giorno dopo, in comprensibile stato di ansia, il Casini telefonava a Concetta Frisina la quale, tuttavia, rispondeva di non vedere Rossella da circa un mese e di non sapere nulla dell’ultimo soggiorno palmese della giovane: affermazioni entrambe false, come emergerà fra breve. A circa due anni di distanza, infatti, sentita nuovamente dai carabinieri di Palmi, Concetta Frisina correggerà il tenore delle sue dichiarazioni, riferendo di aver visto Rossella Casini nel febbraio del 1981 e che la ragazza, dopo un colloquio avuto con il fidanzato, ripartì per Firenze; aggiungeva di non ricordare se Rossella avesse alloggiato presso di loro, ma escludeva che essa fosse solita alloggiare altrove. In epoca successiva (il ) Cozzupoli Concetta, madre dei Frisina, ammetteva invece, dinanzi al PM di Palmi, che la Casini era stata in Palmi nel febbraio del 1981 ed aveva alloggiato presso di lei. Aggiungeva che un giorno, rientrando a casa, non l’aveva più trovata e sua figlia Concetta le aveva riferito che era partita per Firenze; che Rossella aveva portato con se la valigia e *- gli altri effetti personali, ma che ella ignorava chi l’avesse accompagnata alla stazione; che, in quel periodo, viveva in casa da sola con la figlia Concerta, dal momento che il figlio Francesco e il genero Mazzullo Giuseppe erano detenuti; infine, che alla Casini erano state contestate le dichiarazioni che Francesco Frisina aveva reso a Firenze, al che la ragazza aveva scaricato tutta la responsabilità sul Cariola. Il medesimo giorno veniva nuovamente sentita, dagli stessi CC, Concetta Frisina, la quale integrava e modificava le dichiarazioni rese nel 1983; confermava che Rossella Casini, in occasione del suo ultimo soggiorno in Calabria, era stata effettivamente ospite presso di loro e precisava di averla lei personalmente accompagnata alla stazione per la partenza, assicurandosi che prendesse posto nello scompartimento e poi trattenendosi sul posto finché non aveva visto muovere il treno. Asseriva di aver comunicato telefonicamente a Casini Loredano che la figlia era partita e concludeva sostenendo di ignorare che in quei giorni la Casini dovesse andare dal giudice: solo dopo il febbraio 1981 tutta la famiglia Frisina apprese il ruolo avuto dalla Casini nelle dichiarazioni “fatte firmare” a Francesco Frisina. Completa il panorama conoscitivo il tenore delle dichiarazioni del poliziotto Cariola il quale, nella deposizione resa il alla Polizia Giudiziaria di Firenze, precisava: “E’ stata mia impressione che tra la Casini e la cognata Concetta i rapporti non fossero idilliaci probabilmente per una certa riluttanza di Pro. quest’ultima a vedere inserire nella famiglia un elemento estraneo per mentalità e provenienza geografica: d’altra parte la Concetta Frisina, a quanto appariva alla Casini, dopo l’uccisione del vecchio Frisina era la personalità più forte della famiglia. La *- Casini sembrava poi temere in particolare i due fratèlli Gallico… i quali apparivano i più determinati ed anche i più compromessi nella vicenda processuale”. Le risultanze processuali sinteticamente riassunte venivano rivitalizzate a seguito dell’avvio della collaborazione di Lo Vecchio Vincenzo, inteso “Enzo il palermitano”. Questi aveva attivamente partecipato alla faida di Palmi, nel periodo in cui, latitante per altre cause, aveva trovato appoggi e sostegni in quel territorio. Per la precisione, egli aveva affiancato i Gallico- Frisina, facendo altresì parte di quel gruppo di fuoco che si era mosso per intercettare Condello Francesco e che aveva fallito nei suoi intenti riportando, nel cruento scontro a fuoco seguito al contatto con il gruppo avverso, il ferimento di un proprio componente, appunto quel Frisina Francesco che appare magna pars dell’intera vicenda oggetto di cognizione da parte di questa Corte. La posizione del Lo Vecchio per i fatti di Palmi veniva definita con giudizio di condanna nell’ambito del processo Frisina Francesco + altri, la cui sentenza definitiva, prodotta dal PM ed acquisita agli atti, si intende integralmente richiamata senza che sia necessario ulteriormente soffermarsi nella disamina delle sottostanti vicende. L’unica precisazione che si impone è che il dato di fatto, rappresentato dalla contiguità del prevenuto con gli episodi ed i protagonisti della faida, deve ritenersi sicuramente dimostrato. Giova invece puntualizzare che la collaborazione ebbe inizio il , con dichiarazioni che si I riferivano anche alla scomparsa di Casini Rossella; e proseguì, sul medesimo tema, nei verbali assunti dal PM DDA di Reggio Calabria in data e Nella prima circostanza il Lo Vecchio affermava, per averlo appreso in carcere da Pino»- Gallico, che la Casini era stata fatta a pezzi e buttata in mare ad opera di Domenico Gallico, Piero Managò ed altri di cui non ricordava il nome. La causale andava ricercata nel comportamento della donna che aveva fatto infiltrare un poliziotto al quale Frisina Francesco, all’epoca degente presso un ospedale di Firenze, aveva fatto confidenze su tutti delitti perpetrati nel corso della guerra di mafia di Palmi. Nella seconda, dichiarava di aver conosciuto personalmente la Casini nello stabile dei Frisina Mazzullo; inoltre di aver appreso da Giuseppe Gallico, da Piero Managò e da Delfino che la Casini era stata violentata ed interrogata da Gallico Domenico e Piero Managò, quindi era stata uccisa. Riteneva che il corpo di lei fosse stato seppellito, dal momento che i Gallico non si sarebbero esposti a rischi inutili per trasportare il cadavere a mare, come invece gli era stato riferito. Aggiungeva che per l’omicidio vi era stato l’avallo di Francesco Frisina, in quel periodo ricoverato presso il centro clinico di Messina, e che poco prima della sua eliminazione la Rossella Casini era stata mandata, a bordo di una Fiat 128 dei Frisina, presso i Condello, per far ricadere su costoro la responsabilità della sua scomparsa. Concludeva affermando che, nel gruppo Gallico, si parlava liberamente della. soppressione della Casini, alla quale erano state fatte scrivere delle lettere da utilizzare dopo la sua morte. Nella terza, confermava quanto già dichiarato e aggiungeva che, durante il dibattimento nel quale egli era imputato unitamente ai i Concetta Frisina fece capire chiaramente di essere a conoscenza della fine toccata a Rossella Casini, affermando che la ragazza “non poteva dare loro più fastidio e che era irrintracciabile”. Più o meno allo stesso periodo di quella del Lo Vecchio risale f- l’inizio della collaborazione di Managò Concetta. Costei, tuttavia, non ha mai riferito notizie di particolare significazione con riferimento all’eliminazione della Casini, limitandosi a dichiarare di averla conosciuta di vista nell’occasione in cui la ragazza era venuta a trovare suo marito Condello Francesco a bordo di una Fiat 128 bianca. Non ricordava cosa i due si fossero detti, ma aveva memorizzato che al termine dell’incontro la Casini si era messa a piangere. In esito alle nuove acquisizioni (scaturenti dalle dichiarazioni di Managò Concetta, Lo Vecchio Vincenzo e Gioffrè Pietro, quest’ultimo tuttavia ininfluente per la ricostruzione del delitto Casini), il GIP distrettuale di Reggio Calabria emetteva l’ordinanza di custodia cautelare n. 33/94 del , nei confronti di Parrello Candeloro +18, con la quale contestava una serie di ipotesi delittuose, connesse a vicende e protagonisti della guerra di mafia di Palmi, non assorbite nelle precedenti esperienze processuali e, tra queste, l’omicidio in pregiudizio di Casini Rossella, ascritto a Gallico Domenico, Managò Piero e Frisina Concetta. Frisina Francesco veniva invece indagato a piede libero per il medesimo fatto criminoso. Con successivo decreto del , il GUP distrettuale,.j, disponeva il rinvio a giudizio di Gallico Domenico, Frisina Francesco, Frisina Concetta e Managò Piero dinanzi a questa Corte d’assise per rispondere dell’omicidio in pregiudizio della Casini. Ed infatti, il procedimento riguardante tale delitto aveva 15 formato oggetto di stralcio dal troncone principale, per le ragioni illustrate in premessa, laddove si è anche evidenziato come la * Corte, investita della problematica, abbia poi proceduto a riunire gli altri tronconi pervenuti separatamente. Il processo subiva una serie di preliminari rinvii per questioni procedurali. Comunque, tutti gli imputati erano stati nel frattempo scarcerati e rispondevano a piede libero con riferimento alle imputazioni ai medesimi contestate nell’ambito della presente vicenda. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale venivano esaminati, con riferimento alla sola ipotesi delittuosa che in questa sede, a seguito della separazione dei giudizi conseguente alla scelta del rito da parte di Managò Piero, è oggetto di cognizione, i collaboratori Managò Concetta e Lo Vecchio Vincenzo, nonché altri testi indotti dal PM. All’udienza & del , in esito alla discussione e previa l’acquisizione parziale, sull’accordo delle parti, del fascicolo del Pm, la Corte pronunciava il dispositivo in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE Come traspare dall’esposizione del fatto, la vicenda è complessa ed ha radici lontanissime nel tempo. E’ pertanto necessario preliminarmente fissare alcuni punti fermi, in fatto ed in diritto, che sussidino l’iter ricostruttivo e diano esauriente contezza del percorso logico che ha ispirato le determinazioni della Corte. Rossella Casini è certamente stata assassinata, il o in data immediatamente successiva. La riferita circostanza di fatto deve ritenersi assolutamente pacifica, alla luce delle sintetiche considerazioni che seguono. Innanzitutto, la ragazza non aveva esternato alcun proposito suicida; anzi, intimorita dalla piega presa dagli eventi, non vedeva l’ora di rientrare in Firenze e, negli ultimi giorni che precedettero la sua scomparsa, mantenne continui contatti telefonici con il padre, con il quale si sentì fino al momento della partenza per preannunciargli il suo prossimo arrivo. In secondo luogo, esiste ampia prova in atti di una sinistra strategia, posta in essere dall’organizzazione malavitosa dei Gallico, per precostituire tempestivamente un sistema organico di prove che facesse ricadere la responsabilità per la programmata scomparsa della Casini sull’avversa consorteria dei Condello. In proposito assumono valenza univoca la “presentazione spontanea” della giovane al G.L di Palmi in data , per» * il deposito di un memoriale dai contenuti quasi deliranti (per la cui analisi critica si rimanda ai commenti correttamente formulati dal GIP distrettuale nell’ordinanza di custodia cautelare in atti); t la sua accertata ed immotivata visita a casa di Condello Francesco, dove essa proruppe in lacrime, evidentemente consapevole del macabro rituale del quale era diventata vittima e protagonista; la lettera da lei medesima spedita all’avvocato Gaetano Minasi, difensore dei Gallico-Frisina, con la quale ella anticipava i contenuti del “memoriale”, cercando di assicurarsi preventivamente l’assenso dei beneficiari, in un disperato tentativo di acquisirsi ai loro occhi meriti e cosi ricucire gli strappi determinati dal principio di collaborazione con la L.Giustizia, attuato durante la degenza di Francesco Frisina in un ospedale di Firenze; la circostanza, inoltre, che sia Managò Concetta, sia, soprattutto, Lo Vecchio Vincenzo, la cui militanza con i Gallico non è revocabile in dubbio, essendo stata accertata con sentenza passata in giudicato, hanno dato come pacifica l’eliminazione fisica della Casini, facendo appunto riferimento al pericolo che essa rappresentava, ed aveva concretamente rappresentato, per la stessa esistenza in vita dell’organizzazione Gallico-Frisina; la decisiva considerazione, infine, che * un’associazione mafìosa ha regole proprie, ormai acquisite al notorio giudiziario, fra le quali il rigido meccanismo sanzionatone nei confronti di chi le infranga: nel caso di specie, in particolare, l’infrazione era di gravita tale da giustificare, naturalmente da quella prospettiva culturale, l’adozione dell’epiteto “infame” utilizzato dagli altri affiliati con riferimento alla Casini. A ciò si aggiunga l’ulteriore riflessione che, mentre Francesco Frisina era ritornato sui propri passi, ritrattando le originarie dichiarazioni accusatone, ed era stato recuperato, anche culturalmente, nella famiglia di origine, che aveva pagato (con la morte di Frisina Domenico e lo stesso ferimento di i Francesco) e continuava a pagare (con la militanza di Concetta Frisina, dei Mazzullo e di altri) un tributo elevatissimo alla guerra di mafia, nessuna valutazione analoga appariva estensibile a Rossella Casini. Questa, infatti, aveva fin dall’inizio suscitato diffidenza nella famiglia dei Frisina perché estranea all’ambiente calabrese ed alle dinamiche culturali malavitose (si vedano in proposito le dichiarazioni del poliziotto Cariola, riportate in premessa); si era per di più attivata per indurre il fidanzato ad abbandonare il contesto di appartenenza, anche a prezzo di tradire i suoi più stretti congiunti; sussisteva infine il timore che potesse persistere nel proprio atteggiamento collaborativo verso la Giustizia, dal momento che la paura in essa momentaneamente suscitata, e che l’aveva indotta a recedere e a ricucire con i Frisina, era pur sempre ancorata alla labile condizione che la giovane non cambiasse idea da un momento all’altro, magari per l’effetto di circostanze imprevedibili. E poiché sapeva troppo in virtù del prolungato fidanzamento con Francesco Frisina, sul quale esercitava notevole ascendente, era giocoforza eliminarla, come effettivamente è avvenuto. Il tentativo di depistaggio delle responsabilità a danno del contrapposto gruppo mafioso facente capo a Francesco Condello non merita neppure l’impegno di una confutazione particolareggiata, essendo apparso fin dall’inizio goffo e grottesco. Basti riflettere brevemente sul “memoriale” del , che la Casini si preoccupò di trasmettere preventivamente ai Frisina, per il tramite del loro difensore, allo scopo evidente di convincerli sulla bontà dei propri intenti e di accertarsi della loro adesione (evidentemente già concordata) al suo contenuto; o alla visita, priva di scopi, a casa dei Condello, la cui unica ragione va in realtà ricercata, con il senno di poi, nel disegno perverso di fare apparire la ragazza contigua a questi ultimi, dal momento che, in una situazione di aperta belligeranza fra i due gruppi, ella si consentiva di frequentare impunemente anche gli awersari dei Gallico-Frisina. Nuli’altro, in atti, conduce a ritenere che la Casini potesse avere, in Palmi o altrove, nemici diversi da quelli dai quali ella aveva a suo tempo cercato di sganciarsi, violandone le regole di omertà. Le considerazioni che precedono portano il processo su un terreno tecnicamente corretto, di coerente e dimostrato raccordo tra la certa verificazione di un fatto delittuoso (l’omicidio di Rossella Casini), e la relativa contestazione (l’imputazione di cui all’art. 575 c.p.), cosi elidendo ogni dubbio sulla concretezza della premessa maggiore del sillogismo giudiziario. Contestualmente, facendo chiarezza in ordine alle effettive ragioni della scomparsa della vittima, consentono all’indagine motiva di risalire i gradini ulteriori che conducono alla necessaria definizione delle responsabilità individuali, secondo la previsione contenuta in rubrica. ^ Su un consequenziale registro di riflessioni, devesi infatti ritenere circostanza di fatto parimenti certa ed acquisita anche l’inserimento organico ed operativo dei quattro originari imputati dell’omicidio nella medesima organizzazione criminale. Gallico Domenico, attualmente condannato all’ergastolo per fatti criminosi riconducibili proprio alla faida di Palmi, risulta, dalle sentenze acquisite e più volte citate, il capo indiscusso dell’organizzazione omonima. La sua personalità ed il ruolo da lui ricoperto nel corso della guerra di mafia sono stati analiticamente tratteggiati dai precedenti giudici e, nella presente sede, appare più che sufficiente assumere come scontata la risultante conclusiva, coperta dalla confortante dimensione giuridica della cosa giudicata. Di Prisma Francesco si è già detto quanto basta, in sede di esposizione del fatto. Va aggiunto che, oltre all’episodio nel corso del quale rimase ferito, il Frisina venne anche imputato di altri omicidi, commessi nel medesimo contesto criminoso, e condannato all’ergastolo dalla Corte d’assise di Palmi in data ; condanna successivamente rientrata a seguito di varie peripezie processuali. Per Managò Piero assumono eloquente significato le condanne definitive da lui riportate per il tentato omicidio Pirrottina e l’omicidio Fiorino, episodi certamente riconducibili alla faida di Palmi. Il Managò, unitamente a Gallico Domenico, ha presenziato alle udienze del presente processo in stato di CORTE d’assise DI PALMI detersione per quei fatti di sangue. Da notare che il prevenuto è stato reo confesso in entrambe le vicende processuali passate in giudicato, ammettendo sostanzialmente di svolgere il ruolo di sicario su mandato dei Gallico. *- Per Concetta Frisina, infine, benché sfuggita a conseguenze processuali negli anni della faida, depongono sinistramente le dichiarazioni del teste Cariola, quelle del collaboratore Lo Vecchio e le altre, troppo frettolosamente trascurate, di Casini Loredano in ordine ai contatti da questi avuti con la Frisina nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa della figlia Rossella. Ed invero, il Casini riferì una serie di circostanze, sul contenuto delle conversazioni telefoniche intercorse con Concetta Frisina, che inizialmente vennero falsamente smentite dalla donna, per essere invece successivamente ammesse a distanza di anni, quando appariva ormai palese, alla luce dei fatti emersi nell’ambito delle varie vicende processuali, che sarebbe stato del tutto inutile il mendacio su episodi la cui verificazione appariva dimostrata aliunde; non solo, ma che era d’altra parte necessario tratteggiare un quadro oleografico, benché fittizio, di buoni rapporti con la Rossella, mantenuti fino al momento della sua scomparsa, per confutare le diverse risultanze acquisite dagli inquirenti attraverso la testimonianza di Loredano Casini. Il riferito atteggiamento, già di per se sintomatico della iniziale volontà di tacere notizie compromettenti sugli ultimi spostamenti di Rossella Casini (conclusione che si concilia soltanto con la consapevolezza della fine patita dalla ragazza), assume coloritura ancora più esplicita alla luce di una lettura complessiva delle risultanze processuali. La Frisina era infatti direttamente coinvolta nella faida per ragioni familiari, come già lumeggiato, e, oltre ad aver perduto il padre e parzialmente il fratello Francesco (all’epoca della scomparsa della Casini ricoverato presso il centro Clinico di Messina per i postumi della ferita alla testa), viveva praticamente da sola con la niadre, in quanto anche il marito Giuseppe Mazzullo era in quel periodo detenuto. E5 naturale, pertanto, che a sua volta abbia assunto delle responsabilità con riferimento alla guerra di mafia in atto, di tipo omologo a quelle che, nel medesimo frangente, Concetta Managò svolgeva per conto dell’opposta consorteria dei Condello Parrello. Affermazione che ha le sue radici nella logica, nelle specifiche esperienze giudiziarie di quella faida, alle quali si fa ancora una volta rimando, e nelle puntuali affermazioni di Cariola e Lo Vecchio. Secondo il primo, che riferì la diretta testimonianza della povera Rossella Casini, La Frisina, dopo la morte del padre Domenico, era la personalità più forte della famiglia, colei che contava a livello decisionale; e la riferita affermazione corrisponde perfettamente al ruolo che il Lo Vecchio ha attribuito alla medesima donna: amministratrice delle risorse economiche familiari e indiscusso polo decisionale sulle strategie da perseguire nell’interesse del gruppo; inoltre, informatissima sulla piega degli eventi, se è vero che fu proprio lei a tranquillizzare tutti, fornendo in anteprima la notizia che la Casini sarebbe stata “Irrintracciabile” e non avrebbe dato più fastidio. Che dire poi dei contatti, inizialmente taciuti, intercorsi con la ragazza fino al giorno della sua sparizione; laddove proprio l’anziana madre dei Frisina ha viceversa ammesso che alla Rossella venne chiesto conto, proprio in quei giorni, delle dichiarazioni rese a Firenze da Francesco, ricevendone risposta i che la responsabilità era stata integralmente del Cariola. Si colgono a piene mani, dalle circostanze appena visualizzate, i chiari segnali di un addebito di grave responsabilità, e dalle prevedibili conseguenze, che la famiglia Frisina aveva mosso alla *. Rossella Casini per le note vicende di Firenze; inóltre, i segnali ugualmente evidenti di una frattura insanabile, di un’incompatibilità assoluta che ormai pregiudicava in nuce il rapporto fra la ragazza fiorentina e la famiglia del fidanzato. Tanto è vero che Rossella comunicò al padre, pur senza entrare in dettagli, che i rapporti con i Frisina non erano più buoni; inoltre, nel disperato tentativo di salvarsi (negli ultimi giorni era preoccupata e bisognosa di contatti telefonici ravvicinati con il genitore), si prestò a presentarsi “spontaneamente” al G.I. di Palmi e a recitare (peraltro in maniera penosa) la pantomima di occhiuto strumento dei Condello contro i Gallico: se non l’avesse smascherata non solo l’intrinseca goffaggine del gesto (sulla quale si è già detto), ma anche la preventiva comunicazione di esso proprio ai Gallico-Frisina (vedasi la lettera scritta giorni prima al difensore), cioè a coloro che avrebbe dovuto danneggiare mediante il deposito del memoriale. Non va infine trascurata la straordinaria e rivelatrice coincidenza tra le dichiarazioni di Lo Vecchio Vincenzo e quelle di Managò Concetta in ordine alla inesplicabile visita che la Casini fece a casa dei Condello: entrambi hanno fatto riferimento all’utilizzo, da parte della ragazza, di una Fiat 128, che il Lo Vecchio ha dichiarato essere nella disponibilità dei Frisina, mentre la Managò ha specificato essere di colore bianco. Quest’ultimo argomento ricostruttivo ha introdotto nel vivo della tematica sul contributo apportato al processo dai collaboratori di i giustizia, per i quali si impongono, per giurisprudenza consolidata, le ormai canoniche riflessioni di attendibilità intrinseca ed estrinseca. Tra l’altro, il tema si salda con la * connessa problematica interpretativa dell’art. 192 c.p.p., applicabile alla fattispecie. E’ pertanto giunto il momento di rappresentare, su entrambe le questioni, i criteri discretivi utilizzati dalla Corte, con il limite del thema decidendum, essendosi ristretta la cognizione di questo Giudice al solo delitto Casini. Lo Vecchio Vincenzo e Managò Concetta sono apparsi, in esito all’esame dibattimentale da essi sostenuto, ampiamente credibili, per più ordini di considerazioni che si rassegneranno sinteticamente di seguito. In primo luogo, va rilevato che entrambi hanno sostanzialmente confermato le dichiarazioni a 9 suo tempo rese in sede di indagini preliminari. Il lungo tempo trascorso, sia dalla verificazione del delitto, sia dagli stessi interrogatori ai vari PM nella fase iniziale della collaborazione, non ha certo giovato alla puntualità della ricostruzione dei fatti, ma tale circostanza è largamente comprensibile e quindi giustificabile. Ad esempio, la Managò che, originariamente, aveva fatto riferimento ad un’unica visita effettuata da Rossella Casini a casa sua, ha invece ricordato, nel corso del dibattimento, che la ragazza si recò una prima volta a casa sua, chiedendo di Francesco Condello il quale non era presente (e si trattò dell’occasione in cui la collaboratrice la conobbe di vista), ed.» ebbe poi un successivo incontro con il Condello, i cui contenuti ‘. furono poi riferiti alla Managò proprio dal marito. Fu in questa seconda circostanza che la Casini scoppiò in lacrime e l’episodio rimase impresso nella memoria della Managò, benché appreso de CORTE quel periodo, fra il Lo Vecchio e Gallico Domenico: al primo che chiedeva perché fosse stata eliminata solo la Casini, e non anche Francesco Frisina, reo della medesima infrazione alle regole, il secondo rispondeva che la Casini era stata “infame”, ma glissava sulla seconda parte della legittima domanda. In proposito la risposta ritiene di averla formulata la Corte nelle pagine che precedono, evidenziando la diversa caratura dei due protagonisti ed il livello, nei numeri e nella qualità, del coinvolgimento delle famiglie Frisina-Mazzullo: condizione obiettiva che metteva al riparo Frisina Francesco dalla medesima ritorsione toccata alla inerme ed isolata Rossella Casini; – la già citata vicenda Cavallo, sulla quale non appare necessario indugiare più a lungo; – la conferma reciproca, da parte di entrambi i collaboratori, della circostanza secondo cui Rossella Casini si recò a casa di Francesco Condello a bordo di un’autovettura Fiat 128, che il Lo Vecchio indica come in uso ai Frisina (circostanza mai contestata) e della quale la Managò ha puntualizzato essere di colore bianco (particolare parimenti mai confutato dalle difese); – la dimostrata presenza, come già evidenziato, di Rossella Casini a casa dei Frisina nel periodo in cui il Lo Vecchio era latitante a Palmi e prendeva parte attiva alla guerra di mafia; – le dichiarazioni del teste Cariola, sia in merito ai cattivi rapporti tra la vittima e Concetta Frisina, sia con riferimento al ruolo decisionale ricoperto da quest’ultima nell’ambito familiare; – le dichiarazioni di Casini Loredano, padre di Rossella, sui negativi rapporti che, nel periodo antecedente alla scomparsa della figlia, si erano instaurati tra quest’ultima e la famiglia Frisina; tanto è vero che la Rossella avvertì l’esigenza di notiziare il padre della nuova piega delle situazioni. Alla luce delle esposte considerazioni, cui vanno sovrapposte le». altre, di ordine più generale, analizzate durante il percorso^ motivo, la Corte non dubita né sull’affidabilità e sulla genuinità delle due collaborazioni esaminate, né sulla fondamentale circostanza che Rossella Casini sia stata eliminata proprio dal gruppo Gallico-Frisina, titolare di una causale a dir poco imponente. I maggiori problemi sono piuttosto indotti dall’inquadramento, sotto il profilo della piena prova di responsabilità, della posizione dell’unico imputato del quale è necessario occuparsi nella presente sede: quel Piero Managò che il collaboratore Lo Vecchio ha costantemente indicato quale coesecutore materiale del delitto; circostanza appresa in carcere dai Fratelli Gallico e confermatagli dallo stesso interessato. Orbene, non essendo il Managò depositario di causale propria per il delitto, e non comparendo ad altro titolo nelle vicende prodromiche all’omicidio Casini, le accuse rivoltegli dal collaboratore (e da questi peraltro acquisite de relato) debbono essere valutate, alla stregua della previsione contenuta nell’art. 192 e.p.p., punto 3, “unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità”. Nel caso di specie, a carico di Piero Managò sussiste un unico elemento ulteriore, per di più di carattere logico-generale: la circostanza, confermata dallo stesso imputato nell’ambito delle altre vicende processuali che lo hanno riguardato, che questi facesse abitualmente il sicario per conto dell’organizzazione dei Gallico. Sebbene trattasi di quel medesimo ruolo che, con riferimento all’omicidio Casini, gli viene attribuito dal collaboratore Lo Vecchio, esso non è tuttavia sufficiente, nella convinzione della Corte, per integrare un giudizio di responsabilità nei confronti del prevenuto; si andrebbe infatti sia contro la previsione legislativa di “pluralità”, contenuta nel citato art. 192 c.p.p., sia contro il correlato *- principio della necessaria natura individualizzante del riscontro in relazione al fatto specifico addebitato. L’imputato Piero Managò va pertanto assolto dall’omicidio di Rossella Casini per non averlo commesso. Con la precisazione che trattasi di una di quelle ipotesi in cui il profilo tecnico-giuridico prevale sugli stessi convincimenti in fatto della Corte.
P.T.M.
Visti gli arti 530, 442 c.p.p. e 4 ter L. 144/2000 assolve Managò Piero dal reato al medesimo ascritto (omicidio in pregiudizio di Casini Rossella) per non aver commesso il fatto.
a cura di Claudio Ramaccini Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco