- Andrea Purgatori (P): “Cosa ne pensa Antonino Caponnetto della decisione degli otto sostituti procuratori che si sono dimessi dalla Direzione antimafia?” Antonino Caponnetto
- (C): “Un passo avanti rispetto a quello che pensavo. La sera prima ero andato a cena con una collega: le avevo esposto la situazione in termini ancora piu’ preoccupanti. Lo stesso De Francisci, uno di loro, si era confidato parecchie volte piangendo con me. Era distrutto, combattuto, preoccupato. Non sapeva che decisione prendere. E invece stamattina gli ho visto negli occhi che s’era come liberato d’un peso. Proprio non speravo che si coagulasse questo primo gruppo, questo primo nucleo con la voglia di cambiare qualcosa”.
- P: “La prossima settimana andranno tutti e otto a Roma, per essere ascoltati dal Comitato antimafia del Csm.”
- C: Io so che alcuni hanno cose molto delicate da riferire. Lo dicevo stamane anche al presidente Scalfaro. Perche’ non ci dimentichiamo che e’ anche il presidente del Consiglio superiore della magistratura e questo mi da’ un senso di fiducia. Certo, le esperienze passate non inducono all’ottimismo, ma credo che anche all’interno del Consiglio voglia cambiare qualcosa. Spero proprio che il Csm non perda quest’altra occasione storica. Ne ha gia’ perse tante…”.
- P: “Quali per esempio?”
- C: “Basta risalire al 20 gennaio 1988. Quella notte in cui per succedermi alla guida dell’Ufficio istruzione fu scelto Meli anziche’ Falcone. Quella e’ una vera colpa storica”.
- P: “E poi?”
- C: “Quando esaminarono il contrasto tra Meli e Falcone e diedero, come si dice, un colpo al cerchio e uno alla botte. Eludendo le aspettative di Falcone, che era un candido e pensava di vedere il Csm schierato al suo fianco”.
- P: “Cosa accadde?”
- C: “Che dopo quella serie di delusioni, Falcone fini’ di lottare. Li’ si apri’ una pagina all’interno della Procura, che Falcone non ha mai voluto amplificare. Mi disse: “Nino, ci sono stati troppi scandali e questo Palazzo di Giustizia non ne potrebbe sopportare un altro”. E fu sempre questo senso di fedelta’ alle istituzioni che lo indusse a firmare quella requisitoria diciamo riduttiva nel processo sui delitti eccellenti”.
- P: “In che senso riduttiva?”
- C: “In particolare, lui era contrario a chiudere l’inchiesta sul delitto di Pio La Torre: avrebbe voluto dar piu’ spazio alle parti civili ma gli fu negato. Ne prese atto con amarezza. Quando arrivo’ la requisitoria sul suo tavolo, senti’ che se avesse rifiutato di firmarla il Palazzo di Giustizia non avrebbe mai resistito allo scandalo: dopo la talpa, dopo il corvo… Allora, contro i suoi convincimenti, firmo’ una requisitoria che non condivideva. Un atto che a un profano potrebbe sembrare almeno strano e che invece rappresento’ il punto piu’ alto e sublime della sua fedelta’ allo Stato. Ma immediatamente dopo lascio’ la Procura”.
- P: “Come era cominciata l’avventura del pool, il suo arrivo a Palermo nel 1983?”
- C: “Con una telefonata che Giovanni mi fece a Firenze, all’ inizio di novembre. Ero stato nominato a capo dell’Ufficio istruzione ma non m’ero trasferito. Mi disse: “Nino, vieni subito. C’e’ bisogno di te”. C’ era il processo contro i 162 che languiva, i fascicoli marcivano. Dunque, arrivai: non conoscevo nessuno. Giovanni mi disse: “Senti, non voglio influenzarti nelle scelte. Ti chiedo solo di ripescare Paolo Borsellino”. Di Paolo non sapevo assolutamente nulla. Solo che dopo l’indagine sull’omicidio di Boris Giuliano era stato messo da parte. Lo presi. Presi anche Di Lello, di cui avevo letto molti interventi, e Guarnotta”.
- P: “In che modo decise di lavorare?”
- C: “Senza concentrare i rischi su una sola persona e cercando di avere una visione globale del fenomeno mafioso. Questa fu la decisione vincente. E per qualche anno riuscimmo a lavorare tutti in uno stato di grazia difficilmente ripetibile nella Procura attuale. E comunque non in queste condizioni”.
- P: “Dov’ e’ piu’ fragile la mafia, dove sta la sua debolezza, dove va colpita?”
- C: “Nella sua consistenza finanziaria. Finche’ non saranno capaci di farlo, la mafia continuera’ ad esistere”.
- P: “C’ e’ anche questa connivenza con la politica. Ci sono politici della mafia che siedono in Parlamento?”
- C: “Non credo abbia dei suoi uomini in Parlamento. Con la politica ha sempre preferito un rapporto collaterale”.
- P: “Che cos’ ha toccato che non doveva toccare Borsellino in questi cinquanta giorni tra la morte di Falcone e la sua?”
- C: “Non lo so, non ne accennava mai. Mi ripeteva sempre: “Nino, di queste cose al telefono non parlo”. Solo una decina di giorni fa, tornando dalla Germania, mi disse: “Sono proprio soddisfatto. Su ho fatto un grosso lavoro, che poi ho completato a Roma”. Ecco, me lo disse con la stessa gioia d’ un ragazzino”.
- P: “Eppure qualcosa ha fatto precipitare tutto, ha accelerato la sua esecuzione”.
- C: “Per forza. Ma non so cosa”.
- P: “Tuttavia c’ e’ chi sa “cosa””.
- C: “Certo che c’ e’ chi sa”.
- P: “Allora c’ e’ da sperare che il lavoro fatto da Borsellino sia al sicuro.”
- C: “Lo spero. Per ora l’Agnese lamenta la sparizione dalla borsa della agenda di Paolo, che a lei e’ particolarmente cara. Un’agenda sopra cui c’era tutto l’indirizzario telefonico, anche quello di famiglia. Paolo non se ne distaccava mai, se la teneva con se’ in modo quasi ossessivo, al punto che il maresciallo Canale scherzando diceva che ci andava perfino al gabinetto”.
- P: “L’agenda era in una borsa che non e’ andata distrutta nell’ esplosione?”
- C: “La borsa c’ e’ e manca solo l’ agenda. E fino a ieri sera ancora non l’avevano ritrovata”.[158]
Sempre il Corriere della Sera scrive che gli investigatori avrebbero individuato tre possibili “postazioni” da dove sarebbe partito, via radio, l’impulso alla carica di esplosivo utilizzata per la strage di via D´Amelio. La prima potrebbe essere il giardino che chiude via D’Amelio, in prossimita’ del numero civico 19 dove abitano la sorella e la madre del magistrato; la seconda e’ stata localizzata sul tetto di un edificio in costruzione, ad alcune centinaia di metri di distanza; infine si ipotizza come base d’osservazione il monte Pellegrino, nei pressi del castello Utveggio. La visione dall’alto consente di controllare il teatro della strage. La distanza tra l’innesco e il radiocomando, circa un chilometro, sarebbe stata superata grazie a un amplificatore di frequenza, trovato subito dopo la strage.
Il Corriere riporta poi di una misteriosa “segnalazione” giunta a Borsellino qualche giorno prima della strage. Una donna gli comunico’ un “messaggio” da parte di un amico “sensitivo”: “Agguato, procuratore e sue sentinelle, Agrigento, spari”. La signora, madre di uno degli studenti travolti da un’auto di scorta a Borsellino nel 1985, invito’ il giudice a stare attento. Il magistrato informo’ Giammanco e la procura di Agrigento.[159]
Vito Plantone, ex-questore di Palermo rimosso dalla carica a causa dei moti in chiesa il giorno dei funerali della scorta di Paolo Borsellino e “promosso” a vicecapo della Criminalpol nazionale, rilascia un´intervista al Corriere della Sera in cui afferma di aver fatto tutto il possibile per la protezione di Paolo Borsellino e degli agenti della scorta.