“Se io dicevo – rivela Scarantino – che Riina è arrivato nella villa di Calascibetta con l’asino lo scrivevano”. Una ricostruzione fasulla, spacciata per verità. Ora ci sarà un colpo di scena su chi sono i reali mandanti del depistaggio “Le gravissime anomalie che hanno caratterizzato la condotta di magistrati e poliziotti sono state funzionali a uno dei più grandi depistaggi che la storia di questo paese abbia conosciuto”. Fiammetta Borsellino è chiara, inequivocabile e così definisce il depistaggio che ha condizionato il raggiungimento della verità e inquinato il processo Borsellino 1 e, in parte, bis che era stati istruiti dopo la strage di via D’Amelio che ha ucciso, quel 19 luglio 1992, il magistrato Paolo Borsellino e 5 agenti della sua scorta.
Il falso pentito e gli innocenti in carcere Quando ho incontrato Fiammetta Borsellino, terza figlia del magistrato, per realizzare l’inchiesta andata in onda su Rai2, nel programma Nemo, mi ha impressionato l’equilibrio e la sua fermezza. “La mia serenità è un lascito di mio padre così come la mia compostezza, il mio equilibrio” racconta. Da qualche mese ha rotto il silenzio e vuole la verità sul pupo vestito da pentito, su questa “storia – aggiunge – di orrori e menzogne”. Il depistaggio, tra i più gravi della storia del nostro paese, ruota attorno a un balordo con piccoli precedenti per droga, elevato al rango di pentito di primo piano da poliziotti e magistrati. Si chiama Vincenzo Scarantino. Scarantino viene arrestato, nel 1992, dai poliziotti del gruppo Falcone e Borsellino, guidati da Arnaldo La Barbera, scomparso nel 2012, e si autoaccusa davanti ai magistrati che hanno creduto a quella versione (il defunto Giovanni Tinebra, Annamaria Palma, Carmelo Petralia e Nino Di Matteo, quest’ultimo dal novembre 1994), di essere il committente del furto della 126 imbottita di esplosivo e colui che portò l’autobomba in via D’Amelio. “Io non sapevo neanche dove fosse via D’Amelio – spiega oggi Scarantino – io sono stato combinato mafioso dallo stato, non lo sono mai stato prima”. Viene portato a Pianosa e nel supercarcere Scarantino non regge e cede. E’ l’inizio del depistaggio. “A Pianosa – aggiunge il falso pentito – mi fanno tutte le schifezze che possano esistere nel mondo, quando sono arrivato mi hanno riempito di bastonate. 50 chili aveva perso, quando non si mangia, il cervello non funziona più, incapace di intendere e di volere. A me mi hanno arrestato per dire bugie non per un sospetto. Io sono stato fatto mafioso dallo stato”. Dopo l’arresto e il ‘trattamento’ Pianosa, Scarantino inizia a raccontare e chiama in causa persone che con la strage non c’entravano niente. Si celebra il Borsellino 1 e il bis, in Cassazione si arriva agli ergastoli, anche per persone completamente estranee. Una estraneità che emergerà solo quando a pentirsi sarà, nel 2008, il boss Gaspare Spatuzza. Spatuzza smonterà totalmente le falsità di Scarantino. Nel settembre scorso la Corte di Appello di Catania ha depositato le motivazioni della sentenza di revisione delle condanne inflitte dalla Cassazione. Ora bisogna ricalcolare le pene per i reati minori, un ricalcolo che aprirà poi le richieste di risarcimento che lo stato dovrà pagare per l’ingiusta detenzione, al 41 bis, di soggetti che con la strage nulla c’entravano. Come Gaetano Murana, 18 anni in carcere, accusato di aver partecipato alla carneficina. Murana, invece, era completamente estraneo. “Ora cerco un lavoro – racconta – ma mi chiudono tutti le porte in faccia”.
Le anomalie “Si tratta di una storia di errori e menzogne” denuncia Fiammetta Borsellino, ma soprattutto di anomalie. Durante il periodo di collaborazione in diversi momenti si poteva smascherare il falso pentito Scarantino. Quando, ad esempio, nel 1995 Vincenzo Scarantino viene messo a confronto con tre pentiti rodati Salvatore Cancemi, Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera, il falso collaboratore viene letteralmente demolito. “In quel momento – racconta l’avvocato Rosalba Di Gregorio che ha difeso alcuni imputati – i magistrati, loro e non noi visto che non abbiamo avuto depositati gli atti (saranno depositato solo successivamente, ndr), avrebbero dovuto sterilizzare la fonte e buttarla”. I collaboratori chiariscono che la ricostruzione di Scarantino non regge e soprattutto è assurda la presunta riunione nella quale sarebbe stata decisa la strage. Una riunione alla presenza di oltre dieci persone, cosa impensabile per la Cosa Nostra di Totò Riina, e durante la quale Scarantino sarebbe entrato per prendere da bere e proprio in quel momento avrebbe ascoltato Riina indicare in Borsellino l’obiettivo da colpire. “Se io dicevo – aggiunge Scarantino – che Riina è arrivato nella villa di Calascibetta con l’asino lo scrivevano”. Una ricostruzione fasulla, spacciata per verità. Un’altra anomalia è relativa al sopralluogo avvenuto presso il garage Orofino, quello che sarebbe stato il ricovero della Fiat poi usata per la strage. “La cosa anomala – ricorda Fiammetta Borsellino è che nessuno magistrato ha presenziato a quel sopralluogo”. Lo stesso Scarantino racconta: “Quando mi portano a fare il sopralluogo al garage io non lo riconosco, si scende e io non lo riconosco poi un poliziotto mi tocca il braccio e mi dice è là e io dico. E sì, sì”. Un’altra anomalia sono le ripetute e continue ritrattazioni di Scarantino che, in diversi momenti, accusa poliziotti di averlo indotto a quelle dichiarazioni e di non saperne nulla della strage. Ritrattazioni che non hanno rappresentato una spia di allarme, ma che anzi hanno rafforzato la tesi accusatoria.
I processi e la verità parziale Per una delle ritrattazioni, Scarantino è stato anche condannato per calunnia ai danni dei poliziotti e dei magistrati che ha accusato. Una condanna per la quale, spiega a Tiscali Vania Giamporcaro, avvocato di Scarantino, potrebbe essere richiesta la revisione alla luce del dispositivo della sentenza nel processo Borsellino Quater che evidenzia che il comportamento di Scarantino è attenuato dall’aver agito sotto impulso di terzi. Per Scarantino, infatti, è scattata la prescrizione, ma soprattutto è stata concessa la circostanza attenuante perché è stato “determinato a commettere il reato”. Al momento i poliziotti, i tre funzionari di vertice, sono stati già indagati e prosciolti. Ora le motivazioni del Borsellino Quater chiariranno i contorni delle responsabilità dei soggetti coinvolti, motivazioni che si preannunciano senza sconti e non senza conseguenze. Il Csm ha aperto un fascicolo sul caso, ma è in attesa proprio delle motivazioni per capire se e in che direzione orientare il proprio approfondimento. Un fatto è certo, il depistaggio c’è stato, ma ora bisogna comprendere chi lo ha voluto e perché. Al momento di certo c’è che i principali boss di Cosa Nostra sono stati condannati per quella strage, ma la verità è ancora lontana su chi ha voluto quella carneficina oltre le mafie. 10 dicembre 2017 – Nello Trocchia