“Dobbiamo cercare di capire perché a un certo punto quell’uomo definì il Tribunale di Palermo un nido di vipere, affermazione che proviene da testi qualificati”. E’ con queste parole che l’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, ha iniziato ieri la sua audizione nell’aula di Palazzo San Macuto davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali.
“Borsellino ha vissuto l’inferno nel suo ufficio, un palazzo di giustizia che era diventato un luogo in cui non si trovava più a suo agio, un luogo in cui venne umiliato”, ha precisato Trizzino nella sua lunga deposizione durata circa tre ore.
Per Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, la pista investigativa più meritevole di attenzione, in quanto plausibile causa di accelerazione nell’esecuzione della strage di via D’Amelio, ruota intorno al dossier mafia appalti, un’informativa di 900 pagine che fu redatta in seguito ad un’indagine dei carabinieri del Sos comandati dall’allora generale Mario Mori.
Il fascicolo venne aperto nel 1989 relativamente alla illecita manipolazione dei pubblici appalti in Sicilia. Depositato in Procura a Palermo a Giovanni Falcone il 20 febbraio del 1991, dopo alcune più brevi informative, il dossier conteneva una serie di intercettazioni telefoniche che partivano dalle dichiarazioni sul tema della illecita gestione dei pubblici appalti dell’ex sindaco di Baucina.
Borsellino ne ebbe conoscenza già nel 1991 quando era procuratore di Marsala e lo fece leggere ai suoi giovani magistrati, utilizzandolo come riferimento per le indagini su alcuni appalti a Pantelleria.
Nella sentenza nissena del Borsellino Quater del 20 aprile 2017 si legge che “Borsellino aveva mostrato particolare attenzione alle inchieste riguardanti il coinvolgimento di Cosa Nostra nel settore degli appalti pubblici, avendo intuito l’interesse strategico che tale settore rivestiva per l’organizzazione criminale.” A ciò si aggiungono le dichiarazioni del pentito Giuffrè sull’accelerazione dell’uccisione del magistrato da ricondursi “al timore di Cosa Nostra che quest’ultimo potesse divenire il nuovo capo della Direzione nazionale antimafia nonché al timore delle indagini che il magistrato avrebbe potuto compiere in materia di appalti”, con specifico riferimento al rapporto presentato dal Ros. Un rapporto triangolare formato sulla condivisione di illecite cointeressenze economiche che coinvolgeva mettendo a un medesimo tavolo il mondo imprenditoriale, politico e mafioso.
“Quando venne sentita la moglie di Borsellino – ha aggiunto Trizzino – ricordò le parole che le disse il marito: “Non sarà la mafia ad uccidermi ma i miei colleghi che glielo permetteranno”. “Se incrociamo la confidenza Borsellino con la dichiarazione sul “nido di vipere” – ha proseguito Trizzino – dobbiamo andare a cercare nella Procura di Palermo e lì andare a vedere se già nel ‘92 vi fossero elementi che potevano giustificare quella affermazione”. Il legale dei figli del giudice ha poi parlato di quel “dolore immenso” che hanno sopportato quando hanno scoperto che già nel ‘92 vi fossero a disposizione delle indagini dei verbali di dichiarazioni rese da magistrati di allora, definisce “sinceri e privi di freni inibitori nel racconto delle dinamiche che resero impossibile la vita di Borsellino”. “C’è l’esigenza dei familiari di Borsellino di fornire una ricostruzione basata su dati certi, come quella dovrebbe fare uno storico ma con i canoni epistemologici del processo penale, visto che a livello processuale non è ancora stato possibile raggiungerla”, ha sottolineato Trizzino.
“Noi abbiamo la felicità – ha proseguito – di aver perso tutto, non solo il congiunto ma anche la Verità, ma è giunto il momento che attorno a Paolo Borsellino non ci siano divisioni e quello che più ci ha offeso e devastato è pensare che la sua famiglia nucleare non abbia implorato la verità”.
Prima di Trizzino aveva preso la parola Lucia Borsellino, che con la sua audizione ha fin da subito ricordato di essere stata assieme a Fiammetta e Manfredi testimone diretta delle scelte del padre, inclusi i rischi che queste scelte avrebbero comportato. “Rischi che si sono verificati anche post mortem, con tentativi di delegittimazione”, ha detto Lucia, lamentato di essere stata chiamata a parlare coi magistrati solo nel 2015: prima di allora solo la madre era infatti stata sentita.
La figlia del magistrato ha quindi rivendicato il suo ruolo di familiare, che ha vissuto in prima persona l’esperienza di vita del padre e che come tale non è più disposta ad accettare i tentativi di delegittimazione da qualsiasi parte provengano, rivendicando di non aver potuto offrire un contributo alla conoscenza, né come figlia né come cittadina, pur essendo stata testimone diretta della vita di suo padre.
Ascoltando l’audizione di Lucia Borsellino, che ha richiamato spesso la madre Agnese Piraino, non si può fare a meno di rammentare che la moglie del magistrato non risparmiò parole dure nelle sue testimonianze. Dopo la giornata di ieri, l’audizione proseguirà nella prossima settimana