Antonio Di Pietro: “Borsellino ucciso per quello che stava per fare”

Clamorose rivelazioni dell’ex magistrato, noto per l’inchiesta Mani Pulite

 

Secondo Di Pietro, la forza di Mani Pulite risiedeva nell’idea del “fascicolo virtuale,” che permetteva una connessione probatoria tra tutti i fatti investigati. Tuttavia, quando sono emersi conflitti di competenza territoriale nel 1994, l’inchiesta si è frammentata. Di Pietro ha dichiarato che “Mani pulite si ferma oggettivamente quando si rompe l’unicità dell’inchiesta.” Questo significa che, con la suddivisione delle indagini in diverse giurisdizioni come Roma, Napoli, Catania, Foggia, Bari, Venezia, e Genova, si è persa la visione d’insieme necessaria per comprendere l’intera portata dei reati. Di Pietro ha rivelato che l’inchiesta Mani Pulite è nata come estensione del maxi processo di Palermo, avviato da Giovanni Falcone negli anni ’80.
Questo processo ha portato alla luce la connessione tra il Gruppo Ferruzzi e la mafia. Falcone, sulla base delle rivelazioni del pentito Tommaso Buscetta, incaricò il ROS di approfondire l’inchiesta. Tuttavia, Falcone fu trasferito a Roma nel 1991 come direttore generale degli affari penali al Ministero di Grazia e Giustizia, e il rapporto rimase a Palermo, bloccato dal procuratore Pietro Giammanco.

Il legame con Paolo Borsellino

Durante i funerali di Giovanni Falcone, avvenuti dopo la strage di Capaci il 23 maggio 1992, Di Pietro ha avuto modo di parlare con Paolo Borsellino, che aveva ricevuto l’incarico di portare avanti l’inchiesta del ROS. Di Pietro ricorda le parole di Borsellino: “dobbiamo fare presto, dobbiamo fare presto.”
Purtroppo, Borsellino fu ucciso il 19 luglio 1992 nella strage di via D’Amelio, interrompendo ulteriormente l’inchiesta. Di Pietro ha sollevato questioni inquietanti riguardo al suicidio di Raul Gardini, avvenuto il 23 luglio 1993.
Secondo l’ex magistrato, Gardini si tolse la vita perché era a conoscenza della tangente Enimont da 150 miliardi di lire, una parte della quale era destinata a Salvo Lima, rappresentante di Giulio Andreotti e della mafia.
Di Pietro ha dichiarato che se Gardini avesse parlato, avrebbe avuto gli elementi necessari per chiedere l’arresto di Andreotti. Gardini avrebbe dovuto presentarsi da Di Pietro per fare delle rivelazioni cruciali, ma il suo suicidio interruppe questa possibilità.

Le sue dimissioni

Le dichiarazioni di Di Pietro sono culminate con la rivelazione che fu costretto a dimettersi a causa di una serie di esposti nei suoi confronti. “Se non mi fossi dimesso sarei stato arrestato,” ha spiegato, aggiungendo che le accuse lo avrebbero obbligato all’arresto per pericolo di inquinamento delle prove.
Questo ha interrotto ulteriormente le indagini, impedendo a Di Pietro di concludere l’inchiesta su Filippo Salamone, imprenditore collegato alla mafia e al sistema degli appalti.
Di Pietro ha anche rivelato che uno degli elementi chiave per cui fu costretto a dimettersi era il dossier Achille, un dossier che conteneva informazioni cruciali su Filippo Salamone.
Questo dossier, secondo Di Pietro, dimostrava la connessione tra il sistema mafioso e il sistema delle imprese del nord Italia. Tuttavia, la pressione delle accuse e degli esposti contro Di Pietro portarono alla sua uscita di scena.
Di Pietro ha concluso l’intervista con un appello a rivalutare la storia di Mani Pulite e il suo legame con le inchieste di Palermo. Ha sottolineato che le inchieste di Mani Pulite e Mafia Pulita sono in realtà una storia unica, spesso fraintesa o ignorata. “Tutti hanno visto la Sicilia come una realtà solo mafiosa e Milano come una realtà solo imprenditoriale,” ha detto, aggiungendo che c’era già un rapporto del ROS del 1991 che collegava le due realtà.Di Pietro ha inoltre evidenziato come Francesco Cossiga, ex Presidente della Repubblica, fosse uno dei suoi principali interlocutori durante le indagini. Cossiga, insieme a Indro Montanelli, sosteneva Di Pietro, offrendo supporto e consulenza durante i momenti critici dell’inchiesta. 

Decripto 2.8.2024