“L’inchiesta del 1992 su mafia e gruppo Ferruzzi fu insabbiata”. Ma per quei fatti ci furono condanne

 

Aperto un fascicolo dalla procura di Caltanissetta che ruota attorno ad appalti milionari e alla supposta connessione tra Calcestruzzi Sicilia e criminalità. Il manager Panzavolta scontò sei anni di carcere .

Ancora una volta il gruppo Ferruzzi, evaporato nel 1993, Raul Gardini, morto lo stesso anno, Lorenzo Panzavolta, scomparso otto anni fa, e altri manager dell’epoca, di inferiore livello, tornano al centro di una inchiesta della magistratura di Caltanissetta riferita al 1992 in un contesto che, oggettivamente, sembra dimenticare una grande fetta di realtà: l’ipotesi prospettata dalla procura nissena è quella di insabbiamento di una inchiesta (fra i principali indagato c’è l’ex procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone) su mafia e appalti.

Inchiesta che riguardava anche i rapporti fra la Calcestruzzi Sicilia e la mafia, ma la realtà è che proprio per l’accusa di concorso esterno all’associazione mafiosa allora retta da Totò Riina e per quegli stessi fatti al centro dell’indagine attuale, nel 1997 furono arrestati Lorenzo Panzavolta, presidente della Calcestruzzi, i fratelli palermitani Antonino e Salvatore Buscemi e altri e nel 2002 furono tutti condannati, Panzavolta a sei anni di reclusione, tanto che quando nel 2008 la condanna divenne definitiva, l’ex manager subì l’onta, a 86 anni, di varcare i cancelli del carcere. Un corto circuito fra due realtà che già è stato bene evidenziato qualche tempo fa dall’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli che ha confutato quel presunto insabbiamento intervenendo criticamente sull’assunto del libro ‘La verità sul dossier mafia-appalti’ scritto dagli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Guido De Donno e nel quale si sostiene come quel dossier, firmato da Mori e nel quale si riferiva anche dei rapporti fra gruppo Ferruzzi e mafia, fosse stato presto insabbiato. Peraltro sul libro e, quindi, sul presunto insabbiamento, è anche andata in onda recentemente una puntata di Spotlight su RaiNews 24.

Lorenzo Panzavolta fu arrestato su ordinanza di custodia cautelare (ai domiciliari) del gip di Palermo il 4 ottobre 1997: l’accusa si riferiva al fatto che il manager ravennate forzatamente doveva essere consapevole che il manager a capo della Calcestruzzi Sicilia (società costituita a suo tempo in relazione alle attività svolte sul territorio insulare), ovvero l’imprenditore siciliano Antonio Buscemi, era fratello del boss mafioso Salvatore, braccio destro di Totò Riina, con la conseguenza che la mancata esautorazione dal vertice della società significava – era l’assunto accusatorio – un aperto aiuto agli affari della mafia. Un’accusa respinta da Panzavolta che ha sempre sostenuto di aver saputo dei collegamenti fra Antonio e la mafia e del ruolo del fratello solo all’inizio del 1993 quando l’imprenditore fu arrestato proprio per associazione mafiosa, ovvero quando non fu più possibile intervenire perché era il periodo in cui il gruppo Ferruzzi venne travolto da Tangentopoli. All’epoca dell’arresto di Panzavolta, Raul Gardini era morto da quattro anni e la sua figura e il suo ruolo (era al vertice del Gruppo dagli anni Ottanta) era ritenuto, negli atti dell’inchiesta, come quello del dominus assoluto anche nei confronti di Panzavolta con la conseguenza per cui doveva essere stato lui a consigliare il presidente della Calcestruzzi ad avviare buoni rapporti con la mafia. E anche ora, nell’inchiesta della Procura di Caltanissetta Gardini, Panzavolta e altri sono indicati fra i principali beneficiari dell’insabbiamento. Posto che mai Gardini ha avuto modo di difendersi su questo punto (come mai ha avuto modo di difendersi dalle accuse relative a Tangentopoli), c’è un dato che confuta l’ipotesi giudiziaria, ovvero che unico dominus di Calcestruzzi è sempre stato Panzavolta, era lui l’unico a decidere, senza consultarsi con nessuno (non per nulla Gardini lo chiamava il ‘Panzer’). L’attuale inchiesta della Procura nissena riguarda Ravenna non solo per il gruppo Ferruzzi; fra gli indagati per favoreggiamento dei boss mafiosi c’è anche il generale della Guardia di Finanza Stefano Screpanti il quale nel 1992 era capitano a Palermo e collaborava nelle indagini coordinate dal procuratore Pietro Giammanco.

La condotta a lui attribuita è quella di aver eseguito l’indicazione del procuratore Giammanco e del sostituto Pignatone di non trascrivere numerose intercettazioni che attualmente vengono definite ‘particolarmente rilevanti’ ai fini dell’inchiesta su mafia e appalti e che per questo fu, si asserisce, presto archiviata. Stefano Screpanti è stato infatti comandante provinciale della Guardia di Finanza a Ravenna fra il 2005 e il 2008. Docente e autore di saggi giuridici, Screpanti è stato uno fra i più apprezzati comandanti delle Fiamme Gialle dell’epoca. Attualmente è generale col grado di corpo d’armata, è collaboratore del ministro Raffaele Fitto e, fino all’attuale inchiesta, era unanimemente indicato come prossimo comandante generale delle Fiamme Gialle.