Il 3 novembre del 1988 Giovanni Falcone pronunciò una frase molto impegnativa davanti alla Commissione parlamentare antimafia: «C’è bisogno di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese anche da tempi assai lontani». Il magistrato invitò a prender tempo nelle indagini e lanciò un vero e proprio segnale alla classe politica, ancorché del tutto ignorato. Andò così: verso la fine di una lunga e articolata esposizione sullo stato del potere mafioso davanti ai componenti dell’organismo di inchiesta, il suo collega Leonardo Guarnotta dice: «Stanno poi andando avanti le indagini che riguardano gli omicidi politici…». Il senatore Claudio Vitalone ne approfitta per chiedere se ci siano risultati concreti e Falcone non si fa scappare l’occasione. È importante ricordare tutta la parte di quel suo intervento: “Da quando questi processi [sugli omicidi politici] sono stati assegnati a noi, non hanno avuto un attimo di sosta. Il problema di maggiore complessità per quanto riguarda l’omicidio Mattarella deriva dalla esistenza di indizi a carico anche di esponenti della destra eversiva quale Valerio Fioravanti. Posso dirlo con estrema chiarezza perché risulta anche da dichiarazioni dibattimentali da parte di Cristiano Fioravanti, che ha accusato il fratello di avergli detto di essere stato lui stesso, insieme con Gilberto Cavallini, l’esecutore materiale dell’omicidio di Piersanti Mattarella. È quindi un’indagine estremamente complessa, perché si tratta di capire se e in quale misura la pista nera sia alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si completi con quella mafiosa. Il che potrebbe significare altre saldature e soprattutto la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese anche da tempi assai lontani…”. Ci sono stati grossi problemi di prudenza in relazione a procedimenti in corso presso altre giurisdizioni, come per esempio il processo per la strage di Bologna in cui la materia per parecchi punti è coincidente. Ci sono collegamenti e coincidenze anche con il processo per la strage del treno Napoli-Firenze-Bologna [strage del Rapido 904] che attualmente è al dibattimento, collegamenti che risalgono a certi passaggi del golpe Borghese in cui sicuramente era coinvolta la mafia siciliana […]. Ci sono inoltre collegamenti con la presenza di Sindona, e sono tutti fatti noti. Falcone aveva intuito con incredibile lucidità, soprattutto indagando sull’omicidio di Piersanti Mattarella, il sistema di potere oggi descritto con meticolosa e appassionata esposizione da Giuliano Turone in questo suo nuovo lavoro saggistico assolutamente fondamentale per l’obiettivo di rifare la storia. Dopo la strage di Piazza Fontana, che ha spostato su un terreno paramilitare lo scontro sociale, arrestando il poderoso ciclo di lotte di quel decennio, il nostro Paese ha vissuto altri snodi cruciali durante i quali un blocco politico e sociale ha operato per una svolta democratica che desse sostanzialmente piena attuazione ai principi costituzionali di eguaglianza e giustizia. Ebbene, puntualmente, ogni volta che la svolta sembrava possibile, un sistema criminale complesso ha sabotato quegli immani sforzi di riforme, ostacolando con ogni mezzo un mutamento democratico del quadro istituzionale e ingessando il Paese in una immobilità imposta anche grazie ai mezzi della guerra non convenzionale esportata dai think tank atlantici. La stabilità del blocco atlantico prima di tutto e soprattutto: nulla che potesse turbarla poteva essere consentito. La ricerca di una terza via europeista e socialdemocratica immaginata da Enrico Berlinguer era, perciò, il male assoluto, così l’idea di Aldo Moro di legittimare il Partito comunista come forza di governo. L’assassinio di Moro è stato uno dei passaggi più traumatici della storia della Repubblica nel quale abbiamo visto all’opera una «cupola» piduista insieme a un criminologo espressione dell’oltranzismo statunitense; successivamente l’esperimento riformista tentato nel marzo ’78 «rischiava» di avere successo in Sicilia, dove un uomo molto legato ad Aldo Moro, Piersanti Mattarella, e il segretario del Partito comunista dell’isola, Pio La Torre, avevano stretto una formidabile alleanza per impostare un nuovo governo della Regione: programmazione, decentramento, riforma degli appalti, nuova legge urbanistica. Ossigeno puro per alimentare una crescita di ceti sociali autonomi e spezzare le connivenze mafiose. Ebbene Giuliano Turone ci ha raccontato come è andata. L’analisi delle dinamiche investigative e giudiziarie del delitto Mattarella e della successiva strage di Bologna proposte dall’autore sono oggi assolutamente centrali per raccontare quella alleanza criminale che legava potere e ideologia anticomunista del piduismo alla matrice violenta e anticostituzionale della manovalanza dei gruppi neofascisti: nuove acquisizioni giudiziarie consentono, infatti, di raccontare in che modo è stata ferita la nostra democrazia. Anche se Giovanni Falcone, tra il 1982 e il 1983, aveva già intuito l’esistenza di un sistema criminale che andava oltre la mafia, avendolo visto all’opera anche attraverso le dichiarazioni di collaboratori di giustizia provenienti dalla destra che indicavano i terroristi neri Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini come i killer di Mattarella. Non venne ascoltato. Giuliano Turone, da magistrato protagonista nel marzo del 1981 della scoperta delle liste della Loggia P2 a Castiglion Fibocchi, oggi si fa storico e va oltre quel momento apparentemente definitivo per Gelli: l’ex magistrato ci prende per mano e ci conduce dentro le trame della riorganizzazione della rete piduista, che coincide con il consolidamento del potere dei corleonesi dentro Cosa nostra, passando per la sistemazione giudiziaria del latitante Gelli, ben protetto per tutta la sua vita, fino a godere di un suo gruppo di influenza dentro il massimo organo giurisdizionale, la Corte di cassazione, e l’affermazione in un ruolo chiave del cassiere di Totò Riina, Pippo Calò, con il suo esercito privato, la Banda della Magliana: una micidiale alleanza fascio-piduista che porta sulle spalle diverse stragi e la decapitazione di un’intera classe dirigente progressista, nell’isola siciliana, che si è posta tra la fine degli anni Settanta e gli inizi del decennio successivo come la punta più avanzata di un possibile rinnovamento. Dal 1978 al 1984, oltre a Piersanti Mattarella e Pio La Torre, vengono uccisi in Sicilia Michele Reina, segretario regionale della Dc, i giudici Gaetano Costa, Cesare Terranova e Rocco Chinnici, il prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa, il commissario Boris Giuliano e il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, i giornalisti Peppino Impastato, Mario Francese e Giuseppe Fava. La permanenza nell’isola del finanziere e bancarottiere Michele Sindona, nel settembre del 1979, era servita allo stesso Gelli per riorganizzare le sue forze. L’alleanza criminale ha dispiegato il suo potenziale destabilizzante fino agli anni della nascita della cosiddetta Seconda Repubblica, quando il sistema di potere berlusconiano si è imposto con sorprendente rapidità ai vertici del Paese, caratterizzandosi fin dal suo primo governo del 10 maggio 1994 con una marcata impronta che Turone definisce «neo-anticomunista» e che nella sostanza si proponeva di impedire che un’area politica riformista potesse riorganizzarsi liberando il Paese dalla soffocante presenza di segmenti criminali di poteri illegali che aveva orientato quelli legittimi. Il segnale della bomba collocata a fianco di Palazzo Chigi fu chiarissimo per Carlo Azeglio Ciampi: se i poteri criminali non avessero vinto sarebbero intervenuti militarmente, e stavano creando le condizioni per farlo mettendo in scena falsi golpe (Saxa Rubra e Monticone-Michittu-Di Rosa). Gruppi stragisti erano già entrati in azione nel 1992 e in un brevissimo arco di tempo, fino al febbraio del 1994, agirono compiendo sette stragi. Uno scenario da golpe. Anche durante quello snodo politico e istituzionale Licio Gelli e i suoi alleati ebbero un ruolo importante attraverso la costituzione delle Leghe secessioniste, contenitori politici costruiti in tutta Italia con l’attiva partecipazione di Stefano Delle Chiaje per scalzare il potere logorato della Democrazia cristiana e raccogliere la sua ricca eredità di voti. Alla fine non servirono, bastò la discesa in campo di Berlusconi – 26 gennaio 1994 – e la sua potenza di fuoco tra televisione, soubrette, retorica populista. Insieme al terrore delle stragi mafiose, su cui ancora si indaga perché quello che sappiamo e quello che raccontano schiere di pentiti non basta a spiegare tutto quello che è avvenuto. Basta solo a sapere che quelle operazioni terroriste non possono essere rubricate solo come espressione della follia omicida di Totò Riina. Occorre raccontare quei fatti attraverso l’intero sistema di potere che li ha generati. Occorre cioè rifare la storia. MICROMEGA 19.112024