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CARMELO CANALE
30.1.2024 BORSELLINO NON SI FIDAVA DI ALCUNI MAGISTRATI E INDAGAVA SU “MAFIA-APPALTI” – il Dubbio
«Per Borsellino la morte di Falcone era legata al dossier mafia-appalti»
L’ex braccio destro del giudice in Antimafia: «Ne parlava spesso con me»
Paolo Borsellino, della morte di Giovanni Falcone e della sua volontà di mettere in piedi uno staff che si occupasse del dossier su mafia e appalti, «ne parlava spesso con me, diverse volte. Non si tratta di una deduzione. È un ricordo certo di quello che diceva Paolo Borsellino». A parlare è Carmelo Canale, tenente colonnello in congedo, in audizione alla commissione parlamentare Antimafia nell’ambito del filone d’inchiesta sulla strage di via D’Amelio. Canale è considerato l’ex braccio destro del giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia nel 1992.
«Nessuno si è mai interessato dell’agenda rossa di Borsellino, nessuno ha mai dato una risposta su quell’agenda. Detengo io la sua borsa. Volevo consegnarla ai carabinieri ma qualcuno mi disse di no perché era una reliquia particolare, ma non voglio fare polemiche con i miei superiori», ha aggiunto Canale. CORRIERE CALABRI 29.1.2025
Borsellino, l’ex braccio destro: “Mai nessuna risposta sull’agenda”
“Nessuno si è mai interessato dell’agenda rossa di Borsellino, nessuno ha mai dato una risposta su quell’agenda. Detengo io la sua borsa”.
Sono le parole di Carmelo Canale, tenente colonnello in congedo, nell’ambito del filone d’inchiesta sulla strage di via D’Amelio. Borsellino, le parole dell’ex braccio destro“Volevo consegnarla ai carabinieri – aggiunge – ma qualcuno mi disse di no perché era una reliquia particolare, ma non voglio fare polemiche con i miei superiori”.
Borsellino, del fatto che tra le cause della morte di Falcone ci fosse la sua volontà di mettere in piedi uno staff che si occupasse del dossier su mafia e appalti, “ne parlava spesso con me, diverse volte. Non si tratta di una deduzione. È un ricordo certo di quello che diceva Paolo Borsellino”. Canale è considerato l’ex braccio destro del giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia nel 1992. LIVE SICILIA 29.1.2025
Antimafia: Canale, Nessuno ha mai cercato l’agenda rossa
“Questa agenda rossa non l’ha mai cercata nessuno. Ad Agnese dissero che l’agenda è andata distrutta. Dopo arrivò questa famosa borsa, che io tengo a casa mia. Conteneva la batteria del cellulare di Borsellino perfettamente funzionante. Come mai l’agenda si è persa?” E’ quanto ha affermato Carmelo Canale, tenente colonnello in congedo ed ex braccio destro del giudice Paolo Borsellino, audito dalla Commissione nazionale antimafia, nell’ambito del filone d’inchiesta sulla strage di via D’Amelio. “Su mafia e appalti volevamo andare fino in fondo. Borsellino spesso parlava con me del fatto che Falcone voleva mettere in piedi uno staff che si occupasse del rapporto su mafia e appalti”.
Canale ha poi concluso la sua audizione, dicendo che non ha “mai tradito Borsellino, sono stati altri a tradirlo. Disonesti e mascalzoni”. (AGI 30.1.2025)
Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere
RESOCONTO STENOGRAFICO. Seduta n. 72 di Mercoledì 29 gennaio 2025
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CHIARA COLOSIMO
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione di Carmelo Canale, tenente colonnello in congedo, nell’ambito del filone di inchiesta sulla strage di via d’Amelio. Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell’audizione libera ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione e che i lavori potranno proseguire in forma segreta a richiesta dell’audito o dei colleghi. In tal caso non sarà più consentita la partecipazione da remoto e verrà interrotta la trasmissione via streaming sulla web-tv.
Voglio innanzitutto ringraziare il tenente colonnello Canale per la sua disponibilità. Sapete che è già stato sentito in un’altra legislatura e il motivo per cui abbiamo deciso di convocarlo è che è certamente una delle persone che sulla strage di via d’Amelio, e nello specifico su Paolo Borsellino, può dare un contributo a questa Commissione. Non darò la parola al tenente colonnello per una relazione ma farò alcune domande io, dopodiché lascerò la parola ai colleghi che intendano iscriversi.
Vorrei partire dal focus che, dall’inizio di questo filone di indagine, la Commissione sta cercando di approfondire e quindi sul famoso «nido di vipere». A proposito dei rapporti del giudice Borsellino con il dottor Falcone, lei ha detto in una deposizione a Caltanissetta del 2013 – era il Borsellino quater – che si sentivano quasi tutti i giorni e che lo scambio di telefonate era continuo, per citare proprio le sue parole, sia durante la permanenza di Borsellino a Marsala sia dopo il ritorno a Palermo, e che Falcone si confidava con Borsellino sugli ostacoli che incontrava all’interno della Procura di Palermo. In qualche modo il giudice Borsellino le rappresentò il rischio che, tornando a Palermo, avrebbe incontrato le stesse difficoltà di Falcone in quella Procura e, se sì, le disse anche come pensava di superarle? Come aveva reagito alla scelta del procuratore Giammanco di non affidargli il coordinamento delle indagini che riguardavano Cosa nostra palermitana? Soprattutto, poi, il dottor Giammanco cambiò idea e, se lo sa, gli affidò in seguito queste indagini e, in caso positivo, ci può dire quando l’ha saputo?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Intanto buongiorno a tutti. La sua domanda è molto articolata. Siccome l’età non è più quella di una volta, cerco di realizzare piano piano.
PRESIDENTE. Se vuole gliela posso ripetere.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. No, non è necessario. Quando il dottor Borsellino decise di andare a Palermo è convinto di quello che vi andrà a trovare, perché il dottor Falcone, nel lasciare Palermo, gli aveva riferito tutto quello che vi succedeva. Occorrerebbe però andare un po’ indietro, al periodo in cui Falcone si preparava a diventare consigliere istruttore – gli fecero la guerra per la sua domanda per diventare giudice istruttore: era naturale che dopo Chinnici lo diventasse il dottor Falcone, e invece scelsero Meli. Quando venne il dottor Borsellino, ho un ricordo quasi lucido di questa storia, cioè che Giammanco fece presentare una domanda a un magistrato di cui non ricordo il nome – sono passati un bel po’ di anni e comincio non proprio a dimenticare, ma a perdere un po’ di memoria di tutte queste storie – magistrato che poi alla fine la ritirò e Borsellino fu preferito per arrivare a Palermo. Era scientemente convinto che a Palermo avrebbe trovato grosse difficoltà con Giammanco, perché Giammanco non faceva mistero che la linea di Falcone era, non dico da distruggere, ma da non considerare perché lui aveva altre idee su come gestire la Procura. Il dottor Borsellino, purtuttavia, fece la domanda nel convincimento che di lì a breve si sarebbe potuta sbloccare la situazione di Falcone, che in quel momento era già andato al ministero. Sto naturalmente percorrendo le date molto velocemente, ma tutto questo è vero. Borsellino sperava che, con Falcone al ministero, questi potesse diventare Procuratore nazionale e lui aspirare a diventare Procuratore della Repubblica di Palermo. Era questo il sogno dei due: lui Procuratore nazionale antimafia, con la polizia giudiziaria che chiedeva fosse alle dirette dipendenze, e il dottor Borsellino Procuratore della Repubblica di Palermo. Credo di aver risposto alla sua domanda.
PRESIDENTE. Su Giammanco soltanto una precisazione.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Giammanco odiava Borsellino, questo era fuori discussione, lo sapevano tutti, lo sapevamo pure le pietre del tribunale che Giammanco odiava Borsellino, proprio lo odiava. Quando venne a Palermo, la linea di Giammanco fu che Borsellino si sarebbe occupato soltanto di Agrigento e di Trapani, Trapani era logico che gliela desse.
PRESIDENTE. Borsellino non la prese bene.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Assolutamente no, perché essendo il naturale successore di Falcone – ancora Falcone era in vita – essendone il successore naturale, lui sperava che Palermo la potesse eventualmente dirigere lui, anche se c’erano due magistrati preziosissimi, Aliquò e Spallitta, gli aggiunti. Allora gli fu detto, per addivenire a un piccolo accordo – fu un accordo veramente piccolo, come lo definiva Borsellino – gli fu detto che avrebbe eventualmente fatto da esperto sulle cose di Cosa nostra su Palermo. Questa è la verità assoluta di questa storia.
PRESIDENTE. Lei ricordava la possibilità che Falcone andasse alla Procura nazionale antimafia, quindi siamo nei primi mesi del 1991. Di fatto, Giovanni Falcone è costretto ad abbandonare la Procura di Palermo e ad accettare l’incarico al ministero.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. L’ultimo atto di Giovanni Falcone è quando riceve dalle mani di Mori e De Donno il famoso Rapporto mafia-appalti. Il dottor Falcone porta questo rapporto, questo malloppo che non so di quante pagine fosse composto, a Giammanco. Giammanco fa andare via Falcone e si tiene il rapporto lui nella cassaforte. Tant’è che Falcone ritorna da De Donno e dice che il rapporto se lo era tenuto Giammanco. Da quel momento in poi credo siamo ormai arrivati a una conclusione. Falcone lascia e se ne va da Palermo. Non abbandonò la Procura di Palermo perché intimidito, Falcone se ne va perché capisce che là non poteva più lavorare. Perché c’è un gruppo di magistrati tra l’altro che rema contro Falcone, attenzione, non è solo Giammanco, era spalleggiato da qualcuno là dentro.
PRESIDENTE. Stavo arrivando a questo punto. Nell’autunno successivo Falcone è costretto a difendersi davanti al CSM proprio dall’accusa di nascondere le carte nei cassetti. Lei si ricorda se il dottor Borsellino commentò con lei queste circostanze ed espresse dei giudizi sul fatto che Falcone si dovesse addirittura difendere da accuse di questo genere?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Inizialmente ci fu una discussione tra Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Borsellino non era d’accordo con Giovanni Falcone che lui lasciasse e addirittura non si era espresso in termini molto positivi sul fatto che Giovanni Falcone andasse al ministero, non riteneva giusto che lui lasciasse il campo, ma poi, dopo lunghe discussioni che ha avuto con Giovanni Falcone, ha dovuto ammettere che lui necessariamente doveva andare via da Palermo, non poteva più lavorare, non c’era più spazio per lui. Era un aggiunto – scusate se sono volgare – «di cartone», ma erano i suoi colleghi che lavoravano, tecnicamente non gli veniva fatto fare niente, questa è la lamentela di Giovanni Falcone, e Borsellino si è dovuto arrendere all’idea di dire che avesse ragione Giovanni. Questo è quello che ricordo io.
PRESIDENTE. Sempre rispetto a questo clima che lei sta descrivendo, nella sua deposizione del 2011 al tribunale di Palermo, riferendosi proprio alle parole che Borsellino disse nei confronti di Giammanco, virgoletto: «Lui disse che lo doveva arrestare. Borsellino sosteneva che il dottor Giammanco doveva rendere conto dell’omicidio Lima».
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Certo.
PRESIDENTE. Può approfondire questo passaggio? In concreto a cosa si riferiva il dottor Borsellino?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Questo accenno che io do non ricordo quando lo dissi.
PRESIDENTE. Nel 2011.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Credo di averlo detto in un’udienza addirittura, quindi non già negli interrogatori che mi aveva fatto la Procura di Caltanissetta, anche se, debbo dire la verità, su quegli interrogatori io sono molto arrabbiato. Qualcuno qua è magistrato, vedo il dottor Scarpinato che è magistrato e il già Procuratore nazionale antimafia, se non vado errato, di cui non ricordo il nome. A me hanno insegnato, in qualità di ufficiale di polizia giudiziaria, che allorquando succede un omicidio o una rapina grave con sequestro, quando arriva la polizia giudiziaria l’obbligo è di prendere tutti e portarli in caserma per interrogarli e vedere dove si arriva per capire da dove nasce l’omicidio.
Quando muore Paolo Borsellino, io per primo vengo interrogato nel novembre del 1992, lascio a lei immaginare. Dal 19 luglio, vengo interrogato a novembre del 1992. Le mie dichiarazioni secondo il mio principio sono tardive e molte cose credo siano andati male perché sono tardive. Nel mio verbale ricordo – anche se io non ho più il verbale perché a me non è più dato consenso di accedere e, a parte qualche avvocato che talora mi fa la cortesia di darmi qualche verbale delle mie deposizioni, purtroppo non ho più la libertà di accedere agli atti – ricordo di aver parlato dell’incontro di Contrada, ricordo dell’incontro con il dottor Finocchiaro, quando siamo andati all’Alto Commissariato, tutte queste cose, ma soprattutto di Contrada, quando Falcone ha lo sfogo nell’ufficio, davanti a Paolo Borsellino e davanti a me, e disse che riteneva Contrada responsabile dell’attentato dinamitardo che aveva subito a Palermo, ora il nome del luogo mi sfugge. Tutto questo, secondo me, ha subito un ritardo, perché cominciammo a essere interrogati a novembre. È chiaro che non la presi bene perché speravo che di poter incominciare a riferire subito. Già venivamo da un periodo in cui Borsellino non veniva mai chiamato e lui non faceva mistero che voleva essere sentito. Lasciamo stare quello che lui disse a Casa Professa, dove secondo me aveva alzato i toni, che voleva essere chiamato e che avrebbe riferito tutto ai magistrati. Allora, soltanto il Procuratore Celesti, credo che il procuratore allora fosse lui, mandò il dottor Vaccara.
Su Vaccara, che era stato a Messina, e che lo seguiva come un angioletto, gli andava sempre dietro e cercava di spiegarmi che cos’erano Cosa nostra e la mafia, la buonanima di Paolo Borsellino diceva che era un bravissimo magistrato che si sarebbe potuto occupare di furti e cose simili, ma di Cosa nostra assolutamente no. Mandarono Vaccara, e a Palermo gli diedero pure un ufficio. Sebbene Vaccara andasse pure a mangiare a casa del dottor Borsellino, che spesso se lo portava a casa, non è che il dottore Vaccara disse mai: «Paolo ti debbo interrogare, siediti, comincia a parlare». Nessuno l’ha fatto. Nessuno. Queste sono le lamentele che stanno sempre più dietro al mio cervello e mi fanno impazzire. Se l’avesse detto, il dottor Borsellino, sicuramente non starei qua a riferire a voi.
PRESIDENTE. A proposito di quello che ha giustamente nella sua testa e che la fa impazzire, si è mai ha chiesto che cosa intendesse il dottor Borsellino con quella frase: «Lo dovevano arrestare»?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Abbiate pazienza, c’era la questione dell’omicidio Lima. C’è uno spaccato nell’omicidio Lima che io ho cercato qualche volta di dire, credo di averlo detto, credo di avere portato pure il documento. Appena ammazzano Lima, Falcone chiama Borsellino e lo informa che la mafia aveva alzato il tiro. Il dottor Giammanco invece riteneva che l’omicidio Lima fosse un omicidio fatto per una piccola rapina, una piccola passeggiata. Avevano ammazzato Lima! Non solo c’era dietro il maxi processo, di cui si pensava che Lima potesse avere qualche responsabilità, ma Borsellino apprende da Falcone che a Palermo era stata indetta in Prefettura una riunione del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica. Partecipò a questo evento il Ministro Scotti – me lo ricordo ancora oggi perché credo avesse una gamba ingessata o qualcosa del genere. Io andai perché mi ci mandò il dottor Borsellino a seguire questo evento per capire cosa si diceva. Andai con il mio capitano, comandante alla Sezione anticrimine di Palermo, e incontrai Giovanni Falcone. Rimasi colpito nel vedere il dottor Falcone e non il Ministro Martelli. Falcone venne a parlare al posto di Martelli, poi c’era Scotti, il Comandante generale della Guardia di finanza, il Comandante generale dell’Arma dei carabinieri. Entrambi se ne uscirono dicendo che era giusto fare perquisizioni e compagnia bella, tutta una serie di circostanze che facevano solo ridere. Quando prese la parola Falcone, attaccò Giammanco che fece un discorso veramente limitatissimo. Falcone attaccò Giammanco. Riferii naturalmente tutto al dottor Borsellino, il quale si sentì con Giovanni Falcone, il quale era rimasto veramente colpito da quella riunione che non era servita a niente. Ricordo che il comandante di gruppo dei Carabinieri di Palermo fece una informativa che vi lascio.
PRESIDENTE. Chiedo nel frattempo ai colleghi di segnalarmi se intendono intervenire.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Il comandante del gruppo Carabinieri di Palermo Emilio Borghini – quando ci fu la strage Borsellino lo ritroverete sul luogo assieme ad altro ufficiale – relaziona sul contenuto della riunione. Vorrei che la leggeste. Sono tre paginette dove si parla di quello che disse il dottor Falcone.
PRESIDENTE. La metterò certamente agli atti. Si tratta di un documento libero, immagino?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Sì, io l’ho avuto ai tempi, stiamo parlando di 30 anni fa e più, quindi credo che di segreti non ce ne siano più.
PRESIDENTE. È il rapporto informativo speciale sull’omicidio dell’onorevole Salvo Lima.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Credo fosse tenente colonnello, comandante del gruppo di Palermo, poi diventato generale di corpo d’armata. Lo fa il 12 marzo 1992 e ha a oggetto: «Palermo-omicidio dell’onorevole Salvo Lima, riunione del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica». Fa un rapporto informativo che va al Comando generale dell’Arma dei carabinieri e alla Sezione anticrimine di Palermo, dove io facevo servizio, quindi la copia allora l’ho avuta così e la portai al dottor Borsellino per fargliela leggere.
PRESIDENTE. Ho molte altre domande ma mi alterno con i colleghi perché lo trovo corretto. Inizio dal senatore Rastrelli.
SERGIO RASTRELLI. Colonnello buongiorno, la ringrazio per la presenza e per la chiarezza delle sue esposizioni, nonostante il tempo trascorso. Credo che peraltro il suo rapporto di fiducia, di convivenza e di familiarità con Paolo Borsellino per noi sia particolarmente prezioso perché ci consente di osservare e di comprendere alcune dinamiche attraverso un angolo visuale privilegiato, senza barriere, perché il vostro rapporto era talmente diretto da essere privo di quelle sovrastrutture che spesso accompagnano i rapporti istituzionali. Personalmente ho avuto modo di ascoltare direttamente, attraverso le registrazioni di Radio Radicale, una sua deposizione nel processo Mori-Obinu, in un’udienza del 2011, e mi ha molto colpito un suo passaggio descrittivo in cui lei, parlando di un incontro con il dottor Borsellino, disse di averlo visto particolarmente – uso le sue parole – duro, teso, molto arrabbiato con il dottor Giammanco e riferisce la circostanza specifica che Borsellino aveva appreso da un suo collega che, dopo l’omicidio dell’onorevole Lima, si stava preparando per andare al funerale. Addirittura lei in quella deposizione chiarisce la posizione dicendo: «Lui era impazzito perché la questione Lima la collegava direttamente all’omicidio Falcone». Poi ha riportato in quella deposizione ciò che ha riferito anche adesso circa la riunione in Prefettura.
Mi interessava comprendere se lei, in virtù di questo rapporto diretto con il dottor Borsellino, avesse avuto modo di approfondire questa specifica affermazione e in modo particolare quale fosse il legame che Borsellino tracciava tra la morte dell’onorevole Lima e il discorso di Giammanco. Ricorda, in particolare, se Borsellino ebbe a partecipare alle indagini per l’omicidio dell’onorevole Lima? Riesce a riferire, se naturalmente lo ricorda e le consta, se il dottor Borsellino sarebbe dovuto andare personalmente a interrogare Buscetta, e nel caso ciò sia avvenuto che cosa accadde? Infine, e con questo chiudo, le chiedo se nei rapporti diretti tra il dottor Borsellino e il dottor Falcone ci sia stato un momento di confronto sulla impostazione che la Procura di Palermo aveva dato alle indagini relative all’omicidio Lima. Le chiedo se le consta direttamente e che tipo di valutazione eventualmente all’epoca ebbero a esprimere l’uno o entrambi.
PRESIDENTE. Risponda con calma, tutto quello che vuole dire, perché sono diverse domande.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Mi dispiace se voi sentite che io alzo i toni, il mio è un problema di sordità.
PRESIDENTE. Calma intendevo nel tempo, non di voce, perché sono diverse domande.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. C’è un detto a Palermo che dice l’acqua mi bagna e il vento mi asciuga. Sono tranquillissimo e chiedo ancora scusa se per caso il mio timbro di voce sia troppo alto. Per quanto riguarda l’omicidio Lima, come ho già ricordato, il dottor Borsellino è chiaro che parlò dell’omicidio Lima con Giovanni Falcone con cui era in contatto diretto, perché l’omicidio Lima veniva fuori da una sentenza di Cassazione che c’era già stata e che vedeva i signori della cupola tutti condannati per il maxiprocesso – c’è chi è competente, vedo il dottor Scarpinato, che ricorderà questa storia – tutti condannati con numerosi ergastoli. Si parlavano, tant’è che il dottor Falcone informa Borsellino che sarebbe sceso lui e non il Ministro. Non mi è sembrata allora una cosa normale che il Ministro delegasse il direttore degli affari penali a presentarsi – non so cosa dica normativa, non l’ho mai letta – ma non era normale che il direttore degli affari penali si presentasse a Palermo a rappresentare il Ministro della giustizia e a parlare dell’omicidio Lima, non è che stavamo parlando di altre cose, ha parlato dell’omicidio Lima – vedi il documento che ho prodotto. Borsellino non era, come ho detto poc’anzi, delegato, poteva eventualmente interferire sulle indagini semplicemente quale esperto della materia, non già perché potesse svolgere indagini sull’omicidio Lima, fu Borsellino che si propose al Giammanco per andare a sentire Buscetta, su suggerimento di Giovanni Falcone, non che fu una cosa che se la tirò dalla manica il dottor Borsellino. Fu Giovanni Falcone che suggerì a Borsellino: «Sarebbe opportuno che ti alzassi dalla tua sediolina e te ne vai a sentire Buscetta» perché Buscetta allora non aveva mai voluto parlare dei politici. Questo è un mio ricordo di allora. Borsellino propose la questione a Giammanco, il quale Giammanco non è che si è opposto, di più! Tant’è che io mi stavo preparando convinto che dovevo partire con Borsellino. Siccome sembrerebbe che nel nostro ambito dell’Arma dei carabinieri per andare all’estero per seguire il magistrato ci voglia un ufficiale, io proposi il maggior Obinu, che allora comandava la Sezione anticrimine di Roma del ROS, quindi proposi lui. Ci stavamo preparando ma Giammanco: «Quale Buscetta? Stop!». Poi non so chi ci andò, ma dopo che morì Borsellino andarono a parlare con Buscetta, che io ricordi. Comunque noi non siamo andati, fummo bloccati. Borsellino viene informato da un sostituto – io non ho ricordi certi sulla persona e quindi non avanzo nomi, perché ho solo un sospetto, ma non ho il nome vero – che Giammanco si stava preparando per andare ai funerali di Lima. Borsellino è diventato pazzo, ha fatto come un fuoco dentro quell’ufficio per evitare che lui ci andasse. Poi se ci sia andato o meno non l’ho più saputo, perché alla fine l’omicidio Lima non che non mi interessasse, ma mi pare fosse competente la Polizia di Stato e noi come Carabinieri non c’entravamo nulla. A questo mi fermo io, questo so, non so se ho risposto a tutto.
PRESIDENTE. Grazie. La parola all’onorevole Antoniozzi.
ALFREDO ANTONIOZZI. Grazie presidente e grazie colonnello per la sua presenza, per la chiarezza e anche per la simpatia. Ritorniamo al Borsellino quater. In quel processo lei fece alcune dichiarazioni a Caltanissetta con riferimento ad alcuni aspetti che potrebbero apparire marginali, ma che marginali non sono, in relazione alle tre agende del dottor Borsellino. Riferì che il dottor Borsellino, quando era procuratore a Marsala, lasciava le sue agende sul suo tavolo da lavoro, cosa che invece a Palermo non faceva, aveva scelto di non fare. Le mie domande sono queste. Intanto, può ricostruire o spiegare come venivano utilizzate le tre agende? Ognuna delle agende aveva un lavoro specifico, un appunto specifico, cioè per ognuna di queste c’era un titolo diverso, c’erano annotazioni diverse e quindi le annotazioni erano diverse secondo quale fosse l’agenda?
La seconda è un po’ più personale: lei ha mai chiesto al dottor Borsellino perché la famosa agenda rossa non la lasciava mai sul tavolo dell’ufficio di Palermo? Grazie.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Il dottor Borsellino utilizzava tre agende, così chiariamo una volta per tutte cosa sono le agende del dottor Borsellino. Lui aveva un’agenda dove aveva tutti i numeri telefonici. Lui era un maniaco, era un grafomane, perché scriveva sempre, aveva la mania di scrivere tutto e aveva l’agenda dove c’erano tutti i numeri telefonici: parenti, amici, tutti là dentro li aveva. Infatti nelle altre agende non troverà mai un numero di telefono.
PRESIDENTE. È quella che la dottoressa Borsellino ha consegnato alla Commissione.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. La seconda agenda, che io chiamo grigia, di colore grigio, era l’agenda dove annotava i vari spostamenti che faceva o annotava qualche appuntamento importante. Infatti questa agenda del 1992, se avete la possibilità di averla – io la consegnai ai magistrati di Caltanissetta in fotocopia – trovate tutta una serie di appuntamenti e di viaggi che lui faceva. Disegnava quando saliva in elicottero, disegnava quando saliva sull’aereo che lui chiamava avion e quindi disegnava l’aereo, disegnava l’elicottero, con l’elica che gira sopra, e poi segnava gli appuntamenti. Partiva da casa, andava alla Procura, andava in centro e faceva un cerchio. Questa è la famosa agenda del dottor Borsellino della sera quando rientrava o della mattina presto – amava sempre dire che lui si alzava un’ora prima a Palermo per fottere i palermitani nel senso che si svegliava prima dei palermitani e vedeva Palermo serena, mentre gli altri si alzavano quando c’era il traffico, quindi lui usava questa espressione colorita, ma la usava. Segnava quando andava dalla mamma, quanto spendeva di sigarette, quello che dava alla famiglia, alla signora Agnese, quello che dava a Lucia, quello che dava a Fiammetta. Lo troverete. Se avete l’agenda, la potrete consultare. Questa è la famosa agenda che io chiamo grigia e che ritrovai a casa del dottor Borsellino allorquando, credo il dottor Vaccara, mi chiese la cortesia assieme a Manfredi di fare una visita per vedere se c’erano documenti in casa. All’infuori di questa agenda, noi non trovammo nulla, né io né Manfredi. Questa agenda l’ho fotocopiata e l’ho consegnata, se non vado errato, nel mio primo o secondo interrogatorio a Roma, con Bardella o Boccassini, non ricordo bene. Se voi consentite, la prendo, perché così vi do la data esatta di quando si ferma l’agenda, perché vorrei andare per ordine sulle cose, così non ci sbagliamo. Il dottor Borsellino scrive il 16, dopodiché non scrive più su questa agenda. Il 17, il 18 e il 19 non c’è nessuna traccia di scrittura. Se volete, vi lascio la copia, io l’ho portata per voi, se vi serve, ve la lascio. Ho solo il mese di luglio.
ALFREDO ANTONIOZZI. Se ho capito bene l’agenda grigia era più di vita personale che non di lavoro.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. No, quella di lavoro era un’altra. Parliamo del 1992, attenzione, io mi limito al 1992. Mantenevo la «sorella» di quest’agenda perché fu regalata dal capitano Raffaele del Sole, comandante della Compagnia carabinieri di Mazara del Vallo, che quell’anno ne portò tre. Una era per il dottor Ingroia, il dottor Borsellino non gliela ha data e l’ha data a me: «A Ingroia non serve, se ne fotte» questo mi ha detto e questo vi racconto. Un’altra l’ha data al maresciallo Alberto Furia, e quindi erano tre agende. La sua era quella che teneva sempre sul tavolo a Marsala. Se andate a rivedere alcune interviste rilasciate dalla buonanima del dottor Borsellino, troverete l’agenda rossa sul tavolo. La vedete perché la teneva sempre là sopra, non l’ha mai toccata, se non qualche volta, sporadicamente, se la portava nei fine settimana. A Palermo quell’agenda non è mai stata messa sul tavolo dell’ufficio della procura. Posso fare delle congetture, penso che non si fidasse di nessuno, questo è. Quella è l’agenda rossa che purtroppo ancora oggi vorrei sapere dove è andata a finire perché ho fatto delle dichiarazioni sull’agenda rossa che ritengo importanti, ma evidentemente non hanno avuto risposta, io lo vorrei sapere da coloro i quali hanno indagato sull’agenda rossa.
PRESIDENTE. Può farle anche qui, ovviamente.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Che cosa?
PRESIDENTE. Le dichiarazioni sull’agenda rossa.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Passiamo alle domande e poi ci arrivo all’agenda rossa. Vogliamo parlare dell’agenda rossa?
PRESIDENTE. Mi collego io all’agenda rossa, visto che ci sono molti altri iscritti a parlare, visto che abbiamo preso il tema.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Questa la voleva?
PRESIDENTE. Credo che qualcosa abbiamo, però non so se è tutto, quindi è meglio se la lascia. Sempre in riferimento proprio all’agenda rossa, visto che ci siamo arrivati, lei racconta di due episodi avvenuti la settimana prima della strage. Questi due episodi avvengono uno mentre eravate a un battesimo a Salerno, in cui vede il dottor Borsellino scrivere su questa agenda rossa e le sembra molto teso da quello che dice, e l’altro è quello in cui lui si accorge di non avere con sé quest’agenda e vuole tornare in albergo a controllare se fosse lì o se l’avesse persa.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Questo lo dice per la verità il dottor Cavaliero, inizialmente l’avevo dimenticato, lo riferisce Diego Cavaliero, poi la circostanza la ricordo perfettamente. Sa, spesso e volentieri l’uomo qualche cosa la dimentica, ma io ricordo che siamo dovuti ritornare indietro perché era impazzito perché non trovava l’agenda.
PRESIDENTE. Lei ipotizzò che lui in quell’occasione si fosse segnato delle cose riguardanti la strage di via Capaci.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Credo che ci fosse molto di più.
PRESIDENTE. Mi può dire che opinione ha? Perché in quella settimana questi due episodi sono così importanti secondo lei?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Glielo dico subito. Partiamo dall’inizio. Debbo naturalmente aprire l’agenda di Borsellino per potere rispondere alla sua domanda. Partiamo da lunedì 6 luglio. C’era la dottoressa Teresa Principato, una fedelissima del Procuratore Borsellino perché a Palermo erano in pochi a essere fedeli del dottor Borsellino, questo lo debbo dire perché mi risulta personalmente. Il dottor Borsellino allora viaggiava con due macchine, lui in una macchina e poi due macchine di scorta, una davanti e a una dietro. Qualcuno ricorderà che l’aeroporto di Palermo allora non prevedeva la sala vip come oggi: c’era una saletta dietro, nella parte vecchia dell’aeroporto di Palermo, chi conosce Palermo lo saprà. Non viaggiavo con il dottor Borsellino, non è che non volevo viaggiare, non era nel dispositivo e non potevo salire a meno che non che mi autorizzasse lui, ma erano rare volte. Arrivato all’aeroporto con la mia macchina, dovevamo partire, e trovai il dottor Borsellino che aveva un’animata discussione con il dottore Celesti, l’allora procuratore della Repubblica di Caltanissetta, avevano un’animatissima discussione. Fui colpito da questo fatto, che Borsellino gridava: anche se aveva un temperamento piuttosto forte, non era facile che lui gridasse, non era facile che perdesse la pazienza. C’era stata qualche discussione, io non capivo, e quando sono entrato me ne sono riuscito. Dopodiché Borsellino è uscito e siamo partiti, ma aveva in corso una discussione animatissima con il dottor Celesti. Non ne conosco i contenuti, ma vi spiego perché. Quando siamo saliti sull’aereo il dottor Borsellino non era solito viaggiare assieme agli altri perché aveva la paura dell’aereo e quindi cercava di sedersi da solo per evitare di fare la famosa «mala figura» come la chiamava lui, e quindi si sedeva per conto suo e io per conto mio e quindi la discussione con lui non la intrapresi più, rimasi fermo a questa discussione animatissima con Celesti. Non so quale fosse l’argomento, non lo so, ma credo di avere detto queste cose a qualche magistrato, non ricordo bene. Dopodiché siamo saliti sull’aereo e siamo atterrati a Francoforte in Germania per andare a una sede della BKA. Per mia natura odio il tedesco, mentre lui invece lo parlava. La prima sera ci siamo riuniti presso la BKA dove abbiamo concordato quello che dovevamo fare in Germania. Il nostro scopo era di andare a sentire Schembri, e qualche altro di cui non ricordo bene il nome. Schembri doveva parlare dell’omicidio Guazzelli. L’omicidio Guazzelli secondo la nostra idea, era legato strettamente all’omicidio Livatino, come pure c’era di mezzo anche l’omicidio del giudice Saetta buonanima con il figlio. Poi se volete vi racconto un episodio del giudice Livatino, per quanto riguarda la figura di Paolo Borsellino. Abbiamo fatto la riunione e abbiamo concordato quello che dovevamo fare. Dopodiché siamo andati al Novotel a Mannheim, così c’è scritto. Poi siamo andati a cena e siamo ritornati al BKA. Abbiamo interrogato questo signor Schembri, il quale per la prima volta si cominciò ad aprire, raccontò alcune cose, poi siamo andati invece in elicottero. La Commissione deve sapere come siamo stati trattati noi italiani quando siamo arrivati in Germania. Eravamo gestiti da un ispettore o un maresciallo, ma aveva un potere enorme. Egli fece salire il procuratore Borsellino – ed era un ordine, non si transigeva, con la polizia tedesca non si scherzava – in una macchina blindata, da solo. La dottoressa Principato e io prendemmo posto su un’altra macchina blindata che andava dietro a Borsellino. Davanti c’era la macchina della polizia tedesca – che bloccava tutta la via che percorrevamo – dopodiché quando si arrivava dove noi dovevamo andare, la macchina della polizia chiudeva il traffico, fermava tutto, quando arrivava, Borsellino scendeva e non passava più nessuno in pratica. Davanti e dietro avevamo la polizia tedesca, questo era il dispositivo di sicurezza. Laddove invece si prevedesse uno spostamento più lungo a livello di strade per evitare i vari paesi – siamo andati in carcere a interrogare il famoso delinquente di Palma di Montechiaro, Puzzangaro, non c’è scritto qua, ma lo ricordo a memoria – ci trasportavano in elicottero. È un mio ricordo privato, dato che la polizia mi diede allora il filmato – loro filmavano tutto quello che noi facevamo. Saliti sull’elicottero, la dottoressa Principato, il dottor Borsellino e io siamo stati trasportati fino al carcere di Bruchsal. Il dottor Borsellino segnava il carcere. In quella famosa agenda che chiamo grigia, si vede il carcere come pure l’elicottero che ci trasporta. Vedete come rappresentava l’elicottero? Non so se queste cose le avevate, comunque ve le lascio e quindi sono vostre. Quando siamo andati a fare l’interrogatorio Borsellino subisce una minaccia da questo signor Puzzangaro: era un mafioso, ci fu una grossa discussione, io allora ero giovane e stavo scavalcando il banco per calmarlo e credo che me lo sarei mangiato. Siamo poi tornati a Roma a dormire all’hotel Visconti. Il giorno 9 lasciamo la Germania e dall’aeroporto di Mannheim andiamo a Francoforte dove prendiamo l’aereo che ci porta a Fiumicino. A Fiumicino comincia la cosa antipatica: ci venne a prendere una sola macchina della Polizia di Stato, nella quale ci siamo messi l’autista, il dottore Borsellino davanti, la dottoressa Principato dietro e io accanto. In tre con una macchina. Andammo allo SCO dove il dottore Borsellino con la dottoressa Principato dovevano interrogare il collaboratore di giustizia Leonardo Messina. Debbo fare un piccolo inciso: quando andammo a interrogare Leonardo Messina io fui in serie difficoltà perché mi trovai in una struttura della Polizia di Stato. Sono un carabiniere e non è che stessi bene là dentro. Non c’è traccia nel verbale perché io non vi sono citato, ma potete chiamare la dottoressa Principato e farvelo confermare. Ero là che assistevo. Avvengono i primi interrogatori di Messina Leonardo il quale faceva dichiarazioni a più non posso. Dopodiché siamo al giorno 10. Il giorno 10 continua l’interrogatorio di Messina Leonardo, e, come lei vede, io non ci sono, perché non è che lui poteva mettere Carmelo Canale perché se no tutte le pagine occupavano me, non voglio essere presuntuoso ma tutti i giorni eravamo insieme.
PRESIDENTE. È agli atti, lo dice anche la signora Agnese che lei era uno dei più stretti collaboratori.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Indipendentemente da chi lo dice, eravamo allo SCO. C’è un punto che forse ho dimenticato, negli anni non l’ho mai detto, non ho ricordi se l’ho detto, perché sono tanti gli interrogatori avvenuti e può darsi pure che qualche cosa mi sia sfuggito, ma questo non me lo dimentico, perché il procuratore venne chiamato dal dottore Pansa che era là. Poi fu accompagnato dal dottor Manganelli presso il Capo della polizia che voleva parlare con lui. Il dottor Borsellino non mancò dieci minuti ma mancò per oltre un’ora, un’ora e mezzo. Tant’è che al mio ritorno ero imbarazzatissimo perché eravamo davanti a uno che parlava alla polizia, io ero carabiniere, non ci stavo bene, non sapevo cosa fare, onestamente ci stavo malissimo. Poi le racconto cosa successe. Con il procuratore, finito l’interrogatorio, siamo andati in albergo, verso l’una, l’una e mezzo siamo andati a pranzo io e lui. La dottoressa Principato credo sia rientrata a Palermo, perché l’indomani, giorno 11, la dottoressa non c’era più, se ne era andata. Questo incontro di cui parlo io, potrei confondere che sia avvenuto o il giorno 10 o il giorno 11, ma sono convinto che sia il 10 quando c’era la dottoressa Principato, perché il giorno 11 ricordo perfettamente che c’era solo il dottor Borsellino. Alla fine dell’interrogatorio – e qui potete chiamare Messina Leonardo e farvelo confermare – il Messina Leonardo tirò fuori una cartolina che diede al dottor Borsellino perché i figli volevano l’autografo di Paolo Borsellino. Lui scrisse una frase del genere: «Dato il lungo tempo trascorso con vostro padre… Paolo Borsellino», non me la ricordo bene, comunque il significato era questo. Dunque il dottor Borsellino andò dal Capo della polizia. Quando poi ci siamo seduti a pranzo, lamentai questa storia perché c’ero rimasto male perché mi sentivo un povero disgraziato messo là che aspettava che qualcuno mi facesse la grazia di andare via e quindi stavo male anche per sentire Messina Leonardo, e non avrei voluto conoscere cose che diceva un collaboratore di giustizia che non mi apparteneva. Lui era arrabbiatissimo con il Capo della polizia e questa credo di non averlo mai detto, credo che sia la prima volta, perché in base ad alcune cose che ho trovato mi ricordo questo particolare. In pratica tutto era dovuto al fatto che il Capo della polizia sponsorizzava molto Giammanco, lo teneva molto in considerazione. Con Giammanco c’era già stata una grossa discussione con Paolo Borsellino, enorme, e qui siamo al giugno, poi ve la racconto, ma finiamo la questione presente se no mi perdo. Non ci rimase bene perché il Capo della polizia Parisi era molto vicino alle posizioni di Giammanco, non se l’aspettava da lui una cosa del genere, ci rimase malissimo, molto male. Non è entrato nei particolari, però ho capito qual era l’argomento. Siamo poi andati nuovamente in albergo e poi siamo andati all’Alto Commissariato, è scritto qua. Il dottor Borsellino, per chi non lo ha conosciuto, non era il tipo che entrava, si sedeva davanti a lei e stava un’ora a parlare. Dopo cinque minuti era infastidito, se ne doveva andare, anche perché doveva fumare, doveva andare via, più di dieci minuti non perdeva. È andato dall’Alto Commissariato perché c’era uno scopo ben preciso di andarci, perché l’allora Alto Commissario o coloro i quali gestivano i collaboratori, li trattavano malissimo. Quindi tutti i collaboratori di giustizia che avevamo – adesso non ricordo ma credo che ne avevamo già 4-5 – si lamentavano con il dottor Borsellino, perché aveva forse la brutta abitudine di parlarci lui ogni tanto con i collaboratori, non lasciava parlare solo i PM, ma parlava pure lui e quindi si lamentavano di essere trattati male, un po’ perché non pagavano la luce, un po’ per i figli che dovevano andare a scuola, c’erano tutti questi problemi. Andò a parlare con l’Alto Commissario. Con l’Alto Commissario avvengono discussioni su Contrada, ma credo non sia il caso di riportarle perché a noi interessa Borsellino, se non vado errato, giusto? Dopodiché, la sera del giorno 10 andiamo al ROS. Dalle 17, al ROS siamo andati alle 18.30, quindi, come vede, è stato molto dall’Alto Commissario. Hanno parlato pure di Contrada. Le ho già fatte queste dichiarazioni, soprattutto di Contrada. Seppi poi che il prefetto Finocchiaro ha negato tutto come se io fossi un bugiardo o mi inventassi cose per parlare male dell’Alto Commissario: io manco lo conoscevo, io maresciallo dei Carabinieri che ci azzeccavo con lui? Nulla. Raccontai e riferii quello che mi disse il dottor Borsellino: che si parlava di un esposto anonimo che Contrada aveva rivisitato eccetera, ma lasciamo stare questo.
Andammo al ROS, poi ci siamo spostati a cena al Comando generale perché Paolo Borsellino venne invitato nella circostanza dal Comandante generale che non fu presente – era il generale Viesti – ma delegò a rappresentarlo il Capo di Stato Maggiore di allora di cui mi sfugge il nome, purtroppo ogni tanto qualche nome lo dimentico. C’era il generale Subranni – non ricordo bene se ci fosse il colonnello Mori, non lo ricordo – ma c’era Obinu, c’era Arcangioli, che era quel famoso ufficiale fidatissimo di Giovanni Falcone che era là seduto con noi. Abbiamo mangiato, dopodiché siamo andati a dormire verso le 11 di sera, quando abbiamo terminato. Passiamo al giorno 11, ci alziamo il giorno 11 e sebbene qua non ci sia scritto – ricordo perfettamente che fu l’11, ci siamo seduti al Visconti, questi sono miei ricordi personali – quando siamo scesi a fare colazione nella hall il dottor Borsellino si fermò a chiacchierare nello stesso tavolo con la dottoressa Contri, credo che si chiami, era socialista se non vado errato, una dottoressa altissima, ricordo Contri o qualcosa del genere, e parlarono di Falcone, ma io per la verità non diedi ascolto, avevo fame e non considerai la discussione. Dopodiché siamo andati allo SCO a continuare l’interrogatorio di Leonardo Messina, Questa volta eravamo io e lui da soli. Lui là firmerà la cartolina per i figli di Leonardo Messina – glielo potete chiedere. Poi siamo andati al ROS, quindi assieme al generale Subranni siamo andati a Urbe, dove c’è il nostro centro elicotteri. Vede come segna Borsellino l’elicottero, non io. Ce ne andiamo a Salerno, lui era felicissimo di questo viaggio, perché diceva sempre che non aveva mai potuto godersi appieno la vista della Costiera Amalfitana, non è parso vero a quell’uomo sedersi a chiacchierare un poco con il generale Subranni. Il comandante dell’elicottero, che se non sbaglio era un tenente colonnello, regalò a Borsellino il cappellino che Borsellino poi fece omaggio a me perché facevo la collezione. Siamo poi andati da Diego Cavaliero, sostituto procuratore della Repubblica che aveva lavorato con Paolo Borsellino a Marsala.
PRESIDENTE. È qui in questo momento che lui appunto ha qualcosa sulla Agenda rossa.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Ci sto arrivando, se mi date il tempo, lo voglio spiegare così credo che non mi dovrete più chiamare. Diego Cavaliero doveva battezzare il figlio – tra l’altro credo l’abbia chiamato Paolo, adesso non ricordo bene. Diego Cavaliero nella circostanza ci portò a dormire alla Baia, un albergo di Salerno, un albergo bellissimo, meraviglioso, sul mare. Siamo scesi la mattina giù a prendere il caffè.
PRESIDENTE. Torniamo all’appunto sull’agenda rossa.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. La sera invece siamo andati a cena con Diego Cavaliero e Alfredo Greco, credo qua o l’indomani, non ricordo bene. Comunque siamo andati a cena poi siamo andati a dormire alla Baia. La mattina il procuratore Borsellino si sveglia – erano le 6 del mattino – e mi viene a bussare alla porta. Da palermitano mi sono un po’ lamentato che fossero le sei di mattina. Mi disse che dovevo alzarmi perché avevamo da fare. Già si era preso addirittura un caffè. Mi sono premurato di farmi la doccia, l’ho raggiunto, lui era in camera. Qua ho dei dubbi se fosse seduto alla scrivania – c’era un piccolo scrittoio – o fosse seduto sul letto, non ho più ricordi. Aveva il vizio che la mattina pigliava sempre quel pettinino. Sono entrato quando lui stava finendo di pettinarsi e ridevamo sempre di questo pettinino che si portava sempre nel taschino. Ho visto che aveva davanti a sé l’agenda rossa. Si era seduto e stava incominciando a scrivere sull’agenda e così allora io, scherzando – da palermitano ho sempre avuto questo vizio, forse esagerando, di scherzare – gli ho detto se faceva il pentito, perché l’ho visto scrivere in maniera molto seria, non era una cosa normale, non lo vedevo mai così. Sull’agenda rossa scriveva, non sull’agenda grigia né sull’altra agenda, ma scriveva sull’agenda rossa che lui teneva là. Io gli dissi quella frase e lui mi disse: «Non si preoccupi che il tempo di scherzare è finito, ora queste sono cose serie – questa la sostanza – e ce n’è pure per lei», per farmi capire che stava scrivendo una cosa molto seria. Non lo so cosa ci fosse scritto e mai mi sarei preso la briga di vedere l’agenda del dottor Borsellino, con tutta la confidenza mai mi sarei azzardato a guardare, assolutissimamente. Finito di scrivere, chiuse l’agenda. Ora io non ricordo se era quando siamo andati a trovare Diego Cavaliero perché c’era il battesimo o sia stato il giorno prima che lui dimenticò l’agenda. Questo l’ha ricordato Diego Cavaliero in un processo, io non mi ricordavo più che lui «fece la guerra» per tornare indietro e andare a prendere questa agenda, perché non la lasciava mai, mai, mai. Siamo andati via, abbiamo fatto il battesimo, la sera siamo rientrati da Napoli Capodichino perché ci accompagnò all’aeroporto una macchina della sezione anticrimine di Salerno. Eravamo io e lui. Quando siamo arrivati a Palermo non c’era nessuno ad attenderci della scorta del dottor Borsellino. Per fortuna mia avevo il brigadiere Trementini – o lo chiamai o lo avvertii, non ricordo più – comunque Trementini era all’aeroporto. Allora godevo di una macchina blindata di terza categoria, non era una macchina blindata come quella che aveva Borsellino, se sparavano un colpo di pistola la sfondavano, la chiamavano blindata, ma in effetti non era niente di blindato. Salimmo sulla macchina e siamo arrivati verso le 11 di sera a Palermo. Sulla strada del ritorno a Palermo abbiamo dovuto mettere pure la sirena perché era un inferno. La signora Agnese Borsellino «fece una guerra» nel vederci arrivare da soli senza scorta però questo è il dato e questo mi pare di averlo raccontato.
PRESIDENTE. Perché ritenne che stesse scrivendo qualcosa sulla strage di Capaci? Per la serietà con cui lo faceva?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Lui non si era mai rivolto in quei termini con me, mai. Scherzavamo sempre, su tutto, avessimo parlato, che so io, di un funerale, lui rideva. La cosa mi colpì moltissimo, quando feci la battuta in palermitano se facesse il pentito: rispose che il tempo di scherzare era finito, e scriveva. Cosa ha scritto non lo so.
PRESIDENTE. A mia memoria, la parte dell’incontro con il Capo della polizia è un inedito, ma potrei sbagliarmi, e mi sorprende. Le domando se sa che poi fu proprio Pansa che chiese di non acquisire il traffico in entrata di Paolo Borsellino.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Questo non lo so, io l’ho sentito dire. Posso riportare però riportare l’episodio che ha visto contrapposto Paolo Borsellino a Giammanco allorquando noi carabinieri eravamo delegati a sviluppare le indagini che ci eravamo portati da Marsala con Paolo Borsellino a Palermo, e che gestiva in maniera egregia il dottor Lo Voi, con collaborazione del dottor Natoli, ma quello che gestiva in pieno era il dottor Lo Voi – ho un ricordo pieno di questo. Uno dei collaboratori di giustizia che ricordo era Calcara, loro gestivano Calcara. Il dottor Lo Voi a mano a mano che andava sviluppando gli argomenti che il pentito dichiarava, li mandava alla Sezione anticrimine, noi sviluppavamo le indagini e riferivamo alla magistratura sull’esito delle indagini. Gli ordini di custodia cautelare, se non erro, erano 35-40, non ho più ricordi certi, ma fu un buon numero di ordini di custodia cautelare, perché riguardavano, tra gli altri personaggi, anche l’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, che fu arrestato in quella circostanza, ma non solo per le dichiarazioni che faceva Calcara perché confluirono anche le dichiarazioni di Piera Aiello e Rita Atria, c’erano anche loro che parlavano di Partanna, perché allora a Partanna, prima di andare via con Paolo Borsellino a Palermo, avevamo la guerra in corso della famiglia Ingoglia con gli Accardo Stefano e Francesco, se volete possiamo continuare ore con questa storia. Arriviamo al dunque su cosa è successo con Paolo Borsellino. Praticamente il dottor Giammanco impone a Paolo Borsellino impone, dico la parola «impone» e so bene cosa significa, a Paolo Borsellino che nelle indagini doveva prendere parte la Polizia di Stato. Io «feci una guerra», successe l’ira di Dio tra me e Borsellino per questa storia, però purtroppo mi sono dovuto arrendere quando Paolo Borsellino disse: «Basta, chiudiamola qua, loro debbono lavorare» e, allora si fece un accordo con Giammanco, ma non io, partecipò il generale Subranni a questo accordo. Sponsorizzava questo accordo il capo della Polizia Parisi, poc’anzi ho nominato Parisi. Quando fu preso questo accordo fu stabilito – e potete chiamare Lo Voi o Natoli, che spero se lo ricordi – che i riscontri limitatamente alla Sicilia erano affidati alla Sezione anticrimine di Palermo, quindi i carabinieri, mentre che per quanto riguardava i riscontri che si dovevano andare a fare da Villa San Giovanni e per tutta l’Italia bisognava darli alla Polizia di Stato. Più avanti, dopo questa animatissima discussione tra me e il dottor Borsellino, dovuta al fatto che l’avevamo portato noi Calcara (quindi che c’entrava la Polizia di Stato? non c’entrava nulla!), dopo questa imposizione, che fu una cosa gratuita che Subranni accettò e non so perché accettò, il dottor Borsellino, me lo ricordo come se fosse oggi, volle organizzare, e io la feci organizzare da mio cognato, una cena. Questa cena fu fatta a Terrasini e c’era Antonio Ingroia sicuramente, non mi ricordo se ci fosse Lo Voi, poi c’erano tutti i carabinieri della sezione anticrimine di Palermo, tutti gli ufficiali miei – non ricordo chi ci fosse di Roma. La cena la pagò Borsellino, una cena a Terrasini dove lui si alzò alla fine per brindare e disse: «Questa è la cena delle persone oneste» e lo giuro su Dio. Antonio Ingroia non può non ricordare, fu a giugno questa cena, adesso devo cercare la data. Borsellino la definì la «cena degli onesti», scelga lei cosa voleva dire Borsellino, io non lo so. Quella sera fece pure un incidente con la macchina, sbatté in una macchina lì vicino. Fu a giugno, ma ora non riesco a trovare la data esatta. Agli ordini di custodia cautelare partecipò la Polizia di Stato, che non c’entrava nulla, nulla, nulla.
PRESIDENTE. La parola al senatore Scarpinato.
ROBERTO MARIA FERDINANDO SCARPINATO. Lei è stato sentito come testimone all’udienza del 6 maggio 2013 nel processo Borsellino quater. Ricorda di avere riferito in quell’udienza che il capitano De Donno consegnò personalmente a Marsala a Borsellino – quando Borsellino era ancora procuratore della Repubblica di Marsala – una copia del Rapporto mafia-appalti e ciò prima ancora che la procura di Palermo provvedesse a trasmettere formalmente copia di quel rapporto per quanto di competenza della procura di Marsala?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Lei sta sostenendo che il Rapporto mafia-appalti fu prodotto a Marsala prima ancora degli arresti di Siino Angelo? Questo ho capito, mi scusi, perché voglio capire. Siccome devo rispondere, vorrei capire cosa mi sta chiedendo, mi scusi se lo dico.
ROBERTO MARIA FERDINANDO SCARPINATO. Lei riferisca quello che risulta. Le risulta che De Donno consegnò personalmente a Borsellino una copia del Rapporto mafia-appalti e quando gliela consegnò?
PRESIDENTE. Sono diverse domande, se le segni.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Lei chiede quando fu consegnato.
ROBERTO MARIA FERDINANDO SCARPINATO. Ricorda di avere riferito nella stessa udienza che Borsellino le aveva chiesto di organizzare un incontro riservato alla caserma Carini con il capitano De Donno perché alcuni suoi colleghi magistrati gli avevano detto che forse era De Donno l’autore di un esposto anonimo, su cui Borsellino stava indagando, nel quale si parlava della latitanza di Salvatore Riina e dei rapporti di Riina con alcuni politici? Ricorda di avere detto che Borsellino non ricordava chi fosse De Donno seppure questi gli avesse personalmente consegnato una copia del Rapporto mafia-appalti quando Borsellino era ancora procuratore della Repubblica di Marsala.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Questa è tutta una domanda?
ROBERTO MARIA FERDINANDO SCARPINATO. Sì. L’ultima domanda. Ricorda di aver detto prima alla Procura di Caltanissetta in un verbale del 13 novembre 2012…
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. 2012?
ROBERTO MARIA FERDINANDO SCARPINATO. 2012, e poi all’udienza del 6 maggio 2013, del processo Borsellino quater, che prima di avere letto l’esposto anonimo di cui si sospettava fosse autore De Donno…
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. No. Scusi, sono imprudente, sono impaziente di dare la risposta.
PRESIDENTE. Lasci terminare la domanda.
ROBERTO MARIA FERDINANDO SCARPINATO. «Borsellino non aveva mai manifestato alcun interesse per l’indagine mafia-appalti e per incontrare De Donno», questo è quello che risulta dal verbale.
CARMELO CANALE, L’ho detto io? Evidentemente ho preso una cantonata ma non di quelle piene, di più, ho preso un palo e non me ne sono accorto. È molto probabile che abbia detto queste cose, mi fido di quello che dice lei, non ho il resoconto, però lei deve avere la bontà di ascoltare me, perché la circostanza di cui parlava lei ha un inizio ma anche una fine. Deve sapere, dottor Scarpinato, che il dottor Borsellino arriva a Marsala nel 1986. I primi arresti del dottor Paolo Borsellino nascono su un rapporto presentato da Germanà che faceva seguito a un lavoro fatto dalla compagnia di Marsala che, a parte la firma di Gebbia, porta il mio lavoro. Germanà lo rielaborò, presentò un grossissimo rapporto, fece un lavoro immenso e i primi ordini di cattura che subirono i signori della cosca mafiosa di Mazara del Vallo nascono per indagini del dottor Paolo Borsellino. Ci avevamo lavorato tutti, ma nessuno mai, salvo Palermo con il dottore Falcone (penso lo ricorderà, ad altri non dirà niente, Albert Gillet e compagnia bella) aveva lavorato per il traffico internazionale di stupefacenti. Ricordo a me stesso che Giovanni Falcone più di una volta si incontrò con me – allora io ero giovane brigadiere quasi maresciallo – e facemmo un’indagine assieme, ero delegato dal dottor Falcone di seguire alcune indagini per traffico di droga e arrestammo con la Guardia di finanza tutta una serie di esponenti di Campobello di Mazara e Palermo, non ultimo, all’interno di questo mandato di cattura, perché Giovanni Falcone era giudice istruttore, arrestammo il famoso Melluso che ricorderà essere legato alla vicenda Tortora. Il dottor Falcone l’arrestò con un suo mandato di cattura per traffico di droga – vado a memoria quindi se salto qualche cosa mi scuso, ma non credo di sbagliare. Il dottor Falcone cercava allora una raffineria di droga e la cercava nella provincia di Trapani, soprattutto era impegnato a cercarla nella zona tra il salemitano e il mazarese. Allora la compagnia carabinieri di Marsala aveva nel suo circondario Mazara del Vallo: come carabinieri della compagnia di Marsala, come territorio e quindi come investigazione, avevamo il compito di investigare fino a Mazara del Vallo, ai piedi di Campobello di Mazara. Successivamente ci fu una ripartizione e la compagnia di Mazara del Vallo e Salemi venne acquisita alla compagnia di Mazara del Vallo. Detto questo, il dottor Borsellino fa i primi ordini di cattura alla cosca di Mazara del Vallo e recano la firma del dottor Germanà, anche se una grossa mole di quel rapporto di Germanà era stato fatto dai carabinieri di Marsala, negli anni Ottanta. Siccome alla procura di Marsala allora c’era il procuratore Coci, non so se lei l’ha conosciuto, persona degnissima, ma sicuramente non propenso ai grandi processi, mi dispiace ma è così. Sono stato dipendente del procuratore Coci e ho lavorato con lui e per me è una persona degnissima però, quando si parlava di fare qualche cosa di robusto, lavorava molto lento, lavorava piano. Quando arrivò Borsellino, immediatamente fu presentato questo rapporto e immediatamente arrivarono i primi ordini di cattura contro Cosa nostra trapanese, immediatamente. Lei deve sapere a tal proposito che il primo ordine di custodia cautelare, il primo in assoluto, per Messina Denaro Francesco, nasce da indagini di Paolo Borsellino, legate al periodo in cui svolgevo le indagini sul pentimento di Rosario Spatola e la convivente di L’Ala Natale, di cui non ricordo il nome, sono fatti che io ho vissuto. Andiamo avanti.
Nella mia vita purtroppo ho avuto una cosa che non auguro a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico. Io ce l’ho un peggior nemico, seriamente, molto ma molto nemico, ma non gli auguro nulla. Purtroppo Gesù Cristo si ricordò di me e mi fece la cortesia di portarsi via mia figlia a 15 anni, dottor Scarpinato, a 15 anni lui si ricorda di mia figlia. I signori Brusca Giovanni e il signor Siino, che lei avrà conosciuto, per lavori di ufficio, attenzione, questi signori si sono permessi negli anni – non solo loro, ma tanti altri si sono accodati perché fu una guerra per venire a dichiarare prima, fu una guerra, eravamo in trincea, venivano a dichiarare tutti, chi più ne ha più ne metta – si sono permessi di dire che io andavo in Francia a divertirmi. Nel periodo che sono stato in Francia ho avuto mia figlia che è stata amputata di una gamba – non ne volevo parlare ma lei mi ci ha portato – mia figlia fu amputata di una gamba poi a un polmone, poi morì a distanza di un anno. Non mi sono abbattuto perché ho avuto la fortuna di avere per amico il dottor Paolo Borsellino il quale, in un momento tragico, dopo che ammazzarono Giovanni Falcone, in un momento in cui stavamo parlando delle cose tragiche della mia vita, ma anche della sua – era un discorso legato alla questione dei figli e lui purtroppo aveva in quel momento una figlia che gli creava molto dolore per un problema di salute – lui, dopo che era morto Giovanni Falcone, mi disse: «Non posso dirle di aver provato il dolore che ha provato lei a seguito della morte di sua figlia, ma le assicuro che la morte di Giovanni Falcone è stata per me devastante». Questo era Paolo Borsellino.
Allora Paolo Borsellino si mise in testa che dovevo svegliarmi, dovevo uscire fuori da questo stato comatoso. Non sapevo più se buttarmi in un pozzo o se continuare a lavorare. Siccome Paolo Borsellino mi convinse che dovevo camminare avanti perché avevo un’altra figlia e avevo l’onere e il dovere di portare avanti la mia famiglia, così come ho cresciuto mia figlia, mi misi in testa che dovevo lavorare. Il 26 gennaio muore mia figlia. Come carabiniere non si aveva la libertà che possono avere altri impiegati dello Stato di andarsene in ferie per uno o due mesi. Abbiamo un periodo stretto di pochi giorni che si chiama il GMF, gravi motivi di famiglia, dopodiché devi rientrare a lavorare perché non è che lo Stato ti manda lo stipendio perché è morta la figlia, no, devi andare a lavorare. Sono rientrato e in questo frangente mi si presentò l’avvocato Pavia – faccio il nome perché ormai sono trascorsi trent’anni. Tra l’altro ho visto Pavia pochi giorni fa io, ricoverato in una casa di cura per anziani di Marsala. Poverino non ha più la lucidità di una volta, ha novant’anni. Dunque, viene l’avvocato Pavia, che era un consigliere comunale del comune di Pantelleria, a lamentarsi che Pantelleria era in uno stato di abbandono e che c’era gente di fuori, come lui la chiamava, che vi si era insediata e che stavano facendo grossi affari con gli appalti. In uno di questi appalti si parlava di 120 miliardi, a Pantelleria, poi mi disse che c’erano pure appalti per i serbatoi idrici, per il mattatoio comunale – immagini che hanno fatto un mattatoio comunale a Pantelleria, vorrei sapere quanto ci hanno macellato in questo mattatoio comunale, a Pantelleria. Poi c’erano altri appalti. Recepisco quello che mi dice, guardi qua c’è gente che viene da fuori che sta facendo l’ira di Dio a Pantelleria, questo grosso modo il discorso che mi fa. Lei sa che noi ufficiali di polizia giudiziaria avevamo la possibilità a livello confidenziale di ricevere notizie, ma io non è che me la tenni. Salii dal mio procuratore e gli riferii quello che mi era stato detto. L’avvocato Pavia si era impegnato con me per farmi raccontare meglio la storia di Pantelleria da un consigliere comunale, tale Gaetano Valenza, che è morto, perché lui sapeva molto di più di Pavia. Feci di tutto perché Pavia venisse a Marsala perché se io fossi andato a Pantelleria, i panteschi, nel vedere un carabiniere di fuori arrivare là, si sarebbero insospettiti. Lui venne, raccontò gli episodi e mi citò due nomi. Mi dice che a Pantelleria si è insediato Rosario Cascio e mi si drizzarono i capelli perché a me Rosario Cascio diceva non tanto, tantissimo, perché era il consuocero di Accardo Francesco – morto ammazzato nella guerra fra gli Ingoglia di Partanna e la famiglia Accardo – e fratello di Stefano, che avevo avuto già l’onore di trattare, perché l’avevo portato in galera qualche volta, oltre ad aver fatto tutte le indagini necessarie. Mi parla poi di un certo Angelo Siino che a me non diceva assolutamente nulla, di Palermo, diceva lui. Riferisce che c’era una serie di appalti che stavano portando avanti e che immischiata c’è tale ditta di Pantelleria, Spezia, consociata con Siino e con Cascio. Cosa faccio? Lo saluto. «Mi farò sentire». Questa era la confidenza, per iscritto naturalmente, come lei sa non è che erano i tempi di oggi che la gente si pente e parla subito. Allora tutto andava in via confidenziale. Salgo dal mio procuratore e riferisco solo a lui, perché il contatto era diretto, riferisco. A lui bene parve di organizzare una gita a Pantelleria per svagarsi con le famiglie. La gita era di lavoro. Lui si portò sua moglie, sua figlia Lucia, il fidanzato di Lucia, un poliziotto che si chiamava Bartolo Iuppa, che ancora fa servizio a Palermo, poi venne Fiammetta Borsellino con il fidanzato di cui non ricordo il nome, da parte mia andammo io, mia moglie e mia figlia Manuela, giovanissima. Con noi si aggregò, visto che andavamo a villeggiare a Pantelleria, il professor Tricoli del Movimento sociale, che scriveva libri – una persona importantissima, onestissima, correttissima – e venne pure il figlio che credo ancora oggi lavori a Canale 5 con la allora fidanzata, ma non so che fine abbiano fatto, dico quello che allora successe. Siino poi dirà – questo glielo metto per inciso – negli anni dirà che con i soldi della mafia ce ne siamo andati a villeggiare a Pantelleria. Non ho visto mai nessuno della procura di Palermo alzare gli scudi e incriminarlo per calunnia, non per Canale, ma per Borsellino! Ce ne siamo andati con i soldi della mafia a villeggiare, questo fu detto da Siino. La invito, così come lei ha letto i miei verbali, a rileggere sui verbali cosa dice Siino. Andiamo avanti. Andiamo a Pantelleria. Faccio di tutto. Parlo con il comandante della legione Carabinieri di allora il quale mi autorizza a viaggiare sulla Campagnola che avevano a Pantelleria e che mi hanno ceduto i miei colleghi, con Paolo Borsellino che veniva senza auto per evitare di gravare sulla scorta. Camminavamo sulla Campagnola io, Paolo Borsellino, la signora Agnese, mia moglie, poi non mi ricordo se vi fossero stati pure i figli, comunque camminavamo con la Campagnola. In quello stesso frangente – ne ho ricordo lucidissimo – in Pantelleria villeggiava anche il dottor Taurisano con due macchine di scorta. Taurisano è il magistrato che mette in croce Borsellino quando lui sente Spatola, e che si fa raccontare da Spatola, dopo ben quattro mesi che aveva parlato con noi senza aver mai parlato né di Mannino né del Ministro repubblicano di Mazara del Vallo di cui non ricordo il nome, né dell’onorevole di Partanna, non aveva parlato mai di nessuno. L’Unità e credo l’Espresso pubblicavano che Borsellino praticamente era uno che, per quanto riguardava i politici, lasciava perdere. È successa una guerra allora. Borsellino fu pure sentito presso la Commissione antimafia, c’è il resoconto, se volete ve lo lascio, ma voi lo potete trovare meglio di me. Per questa storia fu pure sentito Borsellino, lui se ne uscì con questa battuta, ma lasciamo perdere tutti questi fatti, arriviamo agli appalti.
Riesco a organizzare un incontro – ma noi eravamo in ferie, eravamo in gita con le signore e quindi andavano tutti i giorni a passeggiare! – riesco a trovare un incontro con il consigliere comunale il quale, in mia presenza, dice a Borsellino se poteva parlare. Io l’ho guardato e gli chiesi se scherzasse, era il Procuratore della Repubblica che era venuto qua per lui, per sentire cosa stava succedendo a Pantelleria. Mi dimenticavo una cosa. Quando vado sopra e faccio il nome di Siino, il procuratore salta sulla sedia perché lui conosceva perfettamente Siino, io non lo conoscevo. Lui mi dice che era il genero di Bertolino di Partinico, quello della distilleria. Avevo prestato servizio a Partinico. Brusca allora diceva che io scortavo i camion di zucchero con la macchina di servizio, quindi conoscevo bene Partinico. Allora mi ricordai di Bertolino, e chiamai un mio maresciallo e chiesi di Siino e il mio collega di Partinico conferma che era il genero e mi avverte che era un tipo un po’ strano, pericoloso. Borsellino se lo ricordava bene perché il figlio Manfredi aveva avuto una discussione col figlio di Siino nel villaggio vicino a Palermo dove villeggiava Paolo Borsellino, Marina Longa. Quando sente il nome di Siino, lui salta in aria. Ecco perché andiamo a villeggiare a Pantelleria, perché lui sente i nomi di Siino e Cascio Rosario, che non erano due nomi buttati là. Mi sono scritto le date perché una domanda del genere me l’aspettavo. Il 30 aprile 1991 siamo andati a villeggiare – le famiglie Borsellino, Tricoli e Canale. Il tempo di rientrare a Marsala e preparare, come lei sa, un appunto da dare alla Procura perché il procuratore doveva emettere un provvedimento di sequestro degli appalti, il 15 aprile 1991 sbarco a Pantelleria con il decreto del procuratore Borsellino di sequestro di tutti – tutti – gli appalti che colà si stavano svolgendo. Nell’isola rimango fino al 20 aprile per fare quel lavoro. Poi ci ritorno in elicottero. Il comandante della legione, appresa questa discussione, che era molto seria, mi manda in elicottero per fare accertamenti, perché era un accertamento che dovevamo velocizzare perché il consigliere comunale mi aveva anche riferito nella circostanza che chi poteva sapere dove avvenivano gli incontri tra Siino e Cascio per discutere della questione degli appalti a Pantelleria, era l’ufficio dello Spezia dove ci lavorava una segretaria.
PRESIDENTE. Chiedo scusa, non voglio interromperla e voglio che risponda ovviamente alla domanda, faccio solo un inciso.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Se non dico questo, non posso rispondere alla domanda.
PRESIDENTE. Cascio e Accardo Francesco sono quelli citati nel rapporto?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Attenzione Accardo Francesco è un mafioso che muore ammazzato a Partanna. Accardo Francesco è il consuocero di Cascio Rosario, io non lo so se è citato nel rapporto, non me lo ricordo perché un rapporto del ROS non è che sono due paginette. Fatemi arrivare al dunque
PRESIDENTE. Arriviamo al dunque così rispondiamo al senatore.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Il dunque lo debbo spiegare perché a Pantelleria che succedono cose serie. Senatore io poi riesco a trovare la strada maestra come arrivare a mettere mano sugli appalti. In via confidenziale apprendo alcune notizie sulla ditta Spezia, che era associata a Siino, avevano una ditta associata, l’ho scritto, se vuole tiro fuori tutti i dati e glieli cito tutti. Nel frattempo riesco a convincere un tale che si chiamava architetto Maravigna. Era il progettista del porto. L’appalto era di 120 miliardi. Lui stava facendo una parte di appalto di 11 miliardi. Il sindaco di allora, Domenico Petrillo, convoca Maravigna e gli dice che se vuole continuare quei lavori deve una somma a lui. La somma è quasi 20 milioni di allora, 18-19, non ricordo bene, ma una somma considerevole. Altrimenti l’appalto se lo può scordare e non farà più niente. Di contro, ci sono altri soggetti che si presentano di continuo e cominciano a fare delle dichiarazioni a noi, e io allargo la sfera degli appalti di Pantelleria, l’allargo moltissimo. Nel frattempo il 14 maggio 1991, dopo aver convinto Maravigna a mettere per iscritto quello che ci serviva per arrestare chi si era inserito e aveva portato avanti questo appalto – c’era un reato di concussione – lo aiutai, lo accompagnai in banca a prelevare la somma e la fotocopiai. Il Maravigna l’indomani, cioè il 15 maggio, va a Palermo presso la ditta SAILEM dove ha appuntamento col sindaco Petrillo. Naturalmente il sindaco Petrillo non viene in aereo ma viene con la nave. Quando arriva con la nave a Trapani, viene agganciato dagli uomini del mio servizio. Sono a capo del servizio, i miei uomini lo agganciano. Arrivano a Palermo, Petrillo entra alla SAILEM, dove va Maravigna che consegna la somma a Petrillo. Maravigna esce, se ne va, io do ordine di seguire Petrillo senza toccarlo perché volevo capire se lungo la strada ci fossero incontri, non potevo chiudere la questione, volevo vedere se c’era qualche altro che intervenisse su questo progetto, io lo chiamavo di corruzione, mentre poi la Procura disse che era concussione, la Procura ha ragione, io pensavo fosse corruzione, la Procura pensò che fosse concussione, per carità. Petrillo arriva a Trapani. Sta per imbarcarsi: io lo faccio prelevare e lo faccio portare a Marsala. I miei naturalmente quando lo prendono per farlo salire sulla macchina, accortezza vuole che gli chiedano cosa avesse addosso e gli trovano un pacchettino, glielo tolgono, non lo toccano e vengono a Marsala. A Marsala ricevo il sindaco Petrillo e mi accorgo che lui ha una somma di quasi 20 milioni – adesso non ricordo se fossero 18 o 19, era comunque una bella somma, molto considerevole – che era quella che avevamo naturalmente fotocopiato. Dichiaro il sindaco Petrillo in stato di fermo di polizia giudiziaria, dopodiché viene emessa dal GIP l’ordinanza di custodia cautelare, ma non solo per lui perché in quella circostanza arrestiamo il segretario comunale di Pantelleria, tale Marino, la dottoressa Consentino, sovrintendente di Trapani che era, lasciatemi passare il termine, non saprei come definirla diversamente, l’amante dell’ingegner La Spisa. Arrestiamo dunque la dottoressa Consentino che aveva imposto al Maravigna che alla sua firma doveva seguire quella di La Spisa e quindi il progetto dovevano farlo insieme. Andiamo a prenderli entrambi in un albergo, credo di Siracusa, perché dormivano insieme. Arrestiamo tutti questi personaggi, siamo nel 1991. Nel 1991 – la sezione di PG dormiva, non facevamo niente, evidentemente ci lavavamo le mani! – nel frattempo su Pantelleria comincia a uscire la famosa notizia – la ricorderà o comunque faccia una ricerca e la trova – che era scomparsa una persona. Si parlava del famoso mostro di Pantelleria, tutti i giornali ne parlavano. Era scomparso un tale d’Angelo, commerciante, e non si riusciva a venire a capo di queste indagini. Un bel giorno si seppe che era stata trovata una pozza di sangue con dei denti e qualcuno ipotizzò fossero denti di pecora e non di persona. Quando vidi le foto mi mise a ridere con Borsellino perché c’erano dei ferri, e la mia battuta fu che le pecore a Pantelleria andassero pure dal dentista. Ci siamo quindi messi a lavorare anche su questo caso. Il caso degli appalti di Pantelleria fu affidato dal dottor Borsellino al dottor Ingroia. Per quanto riguarda invece il caso dello scomparso siamo riusciti, grazie all’astuzia e alla grande intelligenza della dottoressa Camassa, a convincere una donna che era madre di un bambino. Andammo a Roma io, Borsellino e la Camassa. Lei raccontò come era andato il fatto, trovammo il morto in un burrone dove andai a fare il sopralluogo con gli speleologi perché non si poteva scendere e ci andai io. Arrestammo anche i fratelli Bonomo che abbiamo fatto confessare.
Nel frattempo a Pantelleria scoppiò un altro caso. C’era la raccolta di denaro facile a Pantelleria e vi era una finanziaria – glielo debbo leggere perché è importante, poi arrivo agli appalti – che in maniera truffaldina aveva tolto quasi 2 miliardi ai poveri risparmiatori di Pantelleria. Anche là il dottor Borsellino si impegnò nelle indagini e io mi adoperai a svolgerle e arrestammo il signor d’Ambra e tutti i suoi consociati. Delegato alle indagini, siamo nel novembre del 1991, era il PM Russo, che era da poco arrivato. Da un lato c’era la dottoressa Camassa che si occupava dell’omicidio, un caso estremamente importante, dall’altro lato c’erano gli appalti che faceva il dottor Antonio Ingroia, dall’altro lato ancora c’era l’altro PM Russo che si occupava della finanziaria di Pantelleria, perché erano stati buttati via 2 miliardi.
Arriviamo a quella che è la sua questione. Il 19 giugno 1991, dottor Scarpinato, io mi reco a Palermo perché la notizia degli arresti ha naturalmente destato un’eco non di poco conto sulla stampa. Avevamo arrestato l’ingegner Michele La Spisa – vi prego di andare a verificare chi fosse – che era il numero 1 alla Regione Siciliana e aveva in mano tutti gli appalti. La Spisa, la Consentino, il Segretario comunale, il Sindaco Petrillo. Mi reco a Palermo. Il comandante della legione mi mandò a chiamare per congratularsi degli arresti che avevamo fatto. Mi sono dovuto andare a documentare – è la prima volta che lo faccio. Il 19 giugno 1991 mi recai a Palermo dove il comandante, colonnello Colavito, mi dice, fra le altre cose, che in quella zona c’è una sezione a Palermo che sta lavorando per conto del ROS e che ha fatto un grossissimo lavoro sugli appalti, e pensava che trattasse pure Pantelleria. Mi recai presso la sezione indicatami dal comandante della legione – erano distaccati all’interno della legione in particolari uffici messi in disparte. Parlo con un maresciallo che non capì da cosa nascesse questa dichiarazione. A Marsala riferii tutto al mio Procuratore della Repubblica. Su sua richiesta – non ricordo più in che modo – avvenne il contatto con il capitano De Donno. Il capitano De Donno si presenterà a Marsala assieme al capitano Raffaele Del Sole che comandava la compagnia di Mazara del Vallo, lo accompagna lui dal dottor Borsellino. Dissero che anche loro avevano fatto un lavoro su Pantelleria e che il rapporto era stato presentato. Fine. La discussione fu brevissima. Il procuratore gli chiede la copia del Rapporto, lui regolarmente, non dico che se ne frega, assolutamente non da nulla a noi. Dopo gli arresti, e siamo verso settembre, perché ho un ricordo lucido di questa storia, De Donno si ripresenta con Del Sole e porta questo benedetto Rapporto, era un bel malloppo. Mi era sfuggito di dirle che nel frattempo la segretaria di quella ditta aveva raccontato per filo e per segno come avvenissero gli appalti, come facevano gli accordi tra le ditte. Io andai alla posta a sequestrare tutte le raccomandate.
PRESIDENTE. Questo spiega come Borsellino sapesse qual era il ruolo degli imprenditori nella gestione degli appalti ed è per questo che poi nella riunione del 14 lo chiede.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. C’è un piccolo passaggio che manca su questo, vorrei finire di spiegarlo al dottore Scarpinato che mi ha fatto la domanda. Quando andammo a Palermo con Borsellino l’accordo qual è? Quando riceviamo questo rapporto, Antonio Ingroia manda il verbale a Palermo, Palermo ce lo rispedisce indietro, io non so chi l’ha firmata questa lettera, ma vi prego di andare a prendere i fascicoli così vediamo una volta per tutte chi ha rispedito il verbale della segretaria, che era devastante, perché lei spiegava come avvenivano i passaggi su questi appalti. Parlo di Pantelleria, io mi riferisco solo a Pantelleria. Io il resto non lo conosco, non so manco di che cosa stiamo parlando. Quando rispediscono indietro il verbale non è che ci rimane bene Borsellino. Si chiede perché viene rimandato indietro. Fu mandato perché era convinto. In quel Rapporto mafia-appalti si parla dei lavori di Pantelleria. De Donno o chi per lui ha fatto il rapporto, lo spiega. Io parlo della questione di Pantelleria, attenzione, perché quando ho avuto questo rapporto, leggo solo l’aspetto Pantelleria che rispondeva a quello che avevo accertato e che se volete tiro fuori perché ce l’ho qua, l’ho portato, come erano associate le ditte eccetera. Finisce la storia, ma Borsellino non è che si ferma. Nel frattempo siamo arrivati quasi a novembre e lui incominciò ad andare a Palermo a scavalco. Non è che noi abbandonammo il rapporto nostro di Pantelleria per cui avevamo arrestato tutte quelle persone. Per inciso non sono stato mai chiamato a testimoniare sul mio lavoro, nessuno mi ha mai chiamato, non sono mai andato a testimoniare in questo processo e non so nemmeno come è finito, so che hanno avuto delle condanne, ma non so nulla di più di quello che è successo al processo. Andiamo al dunque. Con Borsellino, rimaniamo che, una volta a Palermo, visto e considerato che nel rapporto c’erano di mezzo Siino e Cascio Rosario, noi ce lo saremmo tirato attraverso le dichiarazioni di questa signora e ce lo saremmo tirato a Palermo e sarebbe intervenuto Borsellino sul lavoro mafia-appalti, anche perché ci interessava vedere gli appalti di Pantelleria, si parlava di centinaia di miliardi di lire di appalti a Pantelleria. Quindi, come lei vede, il Rapporto mafia-appalti arrivò dopo. Poi Siino si prodiga a dichiarare che sono un colluso. Io l’ho querelato, dottor Scarpinato, la Procura di Caltanissetta ha archiviato, io ho la querela se la vuole. Mi mandò il giornalista. Ancora non ero indagato e arrivò il giornalista Mignosi, mandato da Arena, per dirmi che avrebbero pubblicato le dichiarazioni di Siino. Non ho visto qualche sostituto procuratore – generalmente la storia finisce che forse a dare gli atti o le notizie ai giornalisti sono o i cancellieri o i carabinieri – non ho visto nessun sostituto procuratore indagato a Caltanissetta, la mia querela venne archiviata radicalmente perché tanto io ero mafioso, che dovevamo fare? Nulla. Che Borsellino si occupava di mafia-appalti, se ne occupava eccome, perché poi siamo stati travolti arrivando a Palermo. Lei non dimentichi che ci sono stati l’omicidio Lima e l’omicidio Guazzelli. Eravamo impegnati. Io ero impegnato tutti i giorni avanti indietro da Agrigento. Ho fatto più di 20.000 chilometri nel giro di un mese. Andammo in Germania, fu una guerra continua, ma Borsellino non ha mai dimenticato il lavoro che dovevamo riprendere su mafia-appalti.
Ora le debbo rispondere sulla questione – mi pare che non ho detto nulla – sulla questione dell’incontro della caserma, vero? Un bel giorno il dottor Borsellino mi chiama, come sempre, e mi dice: «Carmelo, una cosa riservata», lui mi dava del tu mentre io ho sempre dato del lei al dottor Borsellino perché per me lui rimane il Procuratore della Repubblica e al Procuratore della Repubblica il «tu» non lo dà, perlomeno un maresciallo dei carabinieri, ma nemmeno un generale dei carabinieri: a ognuno il suo ruolo. Allora il procuratore mi chiama e mi dice che gli dovevo fare una cortesia, fargli fare incontrare il generale Mori, perché a Palermo ci sono dei colleghi che buttano fango, le parole sono sostanzialmente queste, nei confronti del capitano De Donno. «Chi è questo capitano De Donno?» mi chiede. E io dissi al procuratore come facesse a dimenticare che era quello che era venuto a Marsala a portare il Rapporto mafia-appalti. Se parliamo di lui perché, attenzione, c’è un altro De Donno a Palermo, ma che non c’entrava nulla con De Donno del ROS. Risposi che se ci riferivamo a De Donno del ROS io non avevo grossa conoscenza con De Donno, l’avevo conosciuto quando era venuto a Marsala assieme a lui quindi io non avevo confidenza, però potevo dirgli che gli ufficiali del ROS ne parlavano tutti benissimo come di un ragazzo valente e a livello investigativo una punta di diamante. Ne parlavano benissimo. Disse che doveva parlare con Mori perché a Palermo alcuni suoi colleghi in maniera infamante, usò espressioni brutte, lo davano come se fosse stato lui ad avere inviato un esposto anonimo o comunque avesse rielaborato un esposto anonimo, ora non mi ricordo più, ma è la questione è questa, che lui c’entrasse nell’esposto anonimo che riguardava Mannino, gli appalti, Felice Lima, qualcosa del genere. Ho un ricordo vago, su questo chiedo scusa, ma basterebbe andare a vedere cosa dice l’anonimo. Tra l’altro credo che il procuratore lo conoscesse perché se non vado errato lui era assegnatario di questo anonimo. Allora mi disse che dovevo organizzare l’incontro, ma che era una notizia non riservata, di più, non la doveva sapere nessuno, tranne lui e io. Lei conoscerà perfettamente la linea gerarchica dei Carabinieri, io appartengo alla vecchia scuola, perché nella nuova scuola ormai vedo che l’allievo da del tu al colonnello.
PRESIDENTE. Chiedo scusa, parliamo di Felice Lima o di Salvo Lima?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Felice Lima, il giudice. Mi disse che era una cosa talmente riservata che dovevamo saperla lui e io. Purtroppo ho appreso ora che il dottor Natoli nel 2017 venne interrogato dall’avvocato Basilio Milio, perché mi sono andato a prendere tutti i verbali, dottor Scarpinato, perché ora debbo dedicarmi a questa storia, e quindi non sono più un padre, non sono più un marito, io ho cancellato, io debbo occuparmi di questa storia perché è tempo che qualcuno si metta in testa di fare il proprio dovere e allora quello che so lo vengo a dire. Mi sono andato a leggere i verbali del dottor Natoli, nel 2012 o 2013, quando lo interrogano al processo, che lei conosce molto bene, Mori e Mauro Obinu, lo interroga credo l’avvocato Basilio Milio e lui non parla di questa storia di un incontro. Nel 2017, l’avvocato Milio, non so bene, gli voleva fare la contestazione, poi non è stato possibile, ma il dottor Natoli disse che non sapeva nulla di questo incontro. Nel 2014 – ho avuto modo di leggere la dichiarazione che il dottor Natoli fa dinanzi a questa Commissione – dice che conosce tutto perché io, Carmelo Canale, durante un lavoro che lui stava facendo assieme al procuratore Lo Voi per rivisitare la questione del pentito Calcara, perché si trattava di vedere la posizione di Vaccarino, lui dice che io entro là dentro, e nell’entrare là dentro io dico: «Dottore Borsellino, ma non è che si è scordato che c’è Mori che ci aspetta in caserma?». Non mi ricordo come dice esattamente, ma c’è il verbale e lo potete andare a consultare. Quando ho letto queste dichiarazioni sono rimasto parecchio colpito e i capelli mi sono diventati azzurri anziché bianchi, perché non è possibile che sia avvenuto questo perché, ripeto, l’incontro fu talmente riservato, ma talmente riservato che io allora organizzai la «fuga» del dottor Borsellino dal Palazzo di Giustizia e dalla sua scorta che non lo mollava nemmeno un secondo, io organizzai l’incontro, facendolo scendere, e lei si ricorda perfettamente che al Tribunale di Palermo, giù, c’è il nucleo dei Carabinieri, che allora facevano la traduzione, se lo deve ricordare, io presi le scale o l’ascensore non ricordo bene, e siamo scesi tutte e due, e, in maniera fuggitiva, siamo andati alla Sezione anticrimine di Palermo, dove ad attenderli c’erano il colonnello Mori e il capitano De Donno. Quando arrivò naturalmente vennero tutti gli ufficiali a salutarlo perché quando arrivava Borsellino non è che arrivava l’ignoto procuratore della Repubblica, arrivava il dottor Paolo Borsellino, e quindi lo andarono tutti a ossequiare. Si sono riuniti, io non sono entrato, volutamente, e lo metto per iscritto 100.000 volte, volutamente, perché la questione non mi apparteneva – mi scusi il termine volgare – a me non interessava questa questione dell’anonimo, di De Donno, degli appalti non mi interessava nulla, io stavo lavorando per l’omicidio Guazzelli, ero arrivato a un passo per prenderli tutti. Tant’è che poi – lo domandi al dottor Lo Voi – ci saranno circa 70-80 arresti per questa storia della mafia agrigentina dove nessuno, dico nessuno, ci aveva mai lavorato a quel tempo. Eravamo impegnatissimi, avevamo 30-40 arresti su Castelvetrano e Partanna per la guerra Ingoglia più altri 70-80. Poi, nel frattempo, muore il dottor Borsellino, e me ne sono dovuto andare. L’incontro era talmente riservato che lo sapevamo solo lui e io: sentire oggi dire il dottor Natoli che io mi sono presentato bussando alla porta, o ero là dentro, e gli ricordo che c’è un appuntamento alla caserma Carini, sapendo che il procuratore Borsellino sospettava dei suoi colleghi di cui io non conosco i nomi, se no le assicuro che li avrei già fatti, ma sarei stato un cretino, un maledetto cretino, non c’è dubbio. Io sono persona seria e non l’avrei mai fatto! Borsellino mi disse che era un segreto tra lui e me. Come dice il genero, il marito di Lucia, che lo chiama sempre carbonaro. Mi dà fastidio sentire dire che fosse carbonaro. Borsellino voleva capire che cosa stesse succedendo dietro questo anonimo: questa è la verità storica degli appalti, questa è la verità storica dell’incontro Borsellino, De Donno e Canale. Io non partecipai e lo torno a ripetere: volutamente non ho voluto partecipare. Quando uscì, non gli domandai nulla di ciò che aveva detto o fatto. Cosa mi interessava? Le dirò di più, quando siamo usciti, siamo andati a mangiare un panino con le panelle. Si figuri cosa me ne importava di sapere di De Donno e dell’anonimo, non mi interessava nulla! Mi hanno messo la croce per queste cose, dottor Scarpinato! Se vuole facciamo pure i confronti con coloro che dicono queste cose: è assolutamente inverosimile che con una persona come Paolo Borsellino che mi chiede un incontro riservato, io tradisca l’ordine di Borsellino dell’incontro riservato e pubblicamente ne faccia notizia davanti a Lo Voi e davanti a Natoli! Non era un cortile! Mi dispiace, ma non è così. L’incontro era segreto. Punto. Non so se ho risposto a tutte le sue domande.
PRESIDENTE. Mi sembra di sì. C’è un intervento sull’ordine dei lavori, poi prenderanno la parola i senatori Cantalamessa e Gasparri.
MAURO D’ATTIS. Sull’ordine dei lavori. Siccome nella prima domanda è stato riferito di un resoconto, e immagino sia nella nostra disponibilità, chiedo, se possibile, di mettere agli atti della seduta lo stralcio di quel resoconto che si riferisce alla prima domanda che ha fatto il collega Scarpinato.
PRESIDENTE. I verbali citati dal senatore Scarpinato sono ovviamente presenti in archivio e i colleghi li possono leggere senza interpretazioni. Il tenente colonnello Canale non l’ha potuto fare per l’evidente motivo che sono ancora sottoposti a segreto. Invito i colleghi ad andarli a leggere perché è corretto che sia così.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Il 5 giugno 1992 è stata la cena degli onesti, dottor Scarpinato. L’ho scritto qua, io mi sono fatto una relazione, peccato che non la posso consegnare.
PRESIDENTE. Se vuole la può consegnare.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Ci sono errori.
PRESIDENTE. Ce la consegna dopo che l’ha rivista. Solo una domanda prima di lasciare la parola ai colleghi.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. È andato via il dottor Scarpinato, mi dispiace. Avrei voluto che ascoltasse le mie risposte.
PRESIDENTE. Non perché debba tradire il dottor Borsellino, ma perché può aiutarci nella ricostruzione di quell’incontro, può dirci se Borsellino le disse di che cosa parlarono alla caserma Carini? La cosa girava comunque intorno alla questione degli appalti?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. No, mi dispiace. C’erano di mezzo dei sostituti, non so chi fossero i sostituti – io le posso dire gli schieramenti che allora c’erano in Procura, se vuole glieli indico – che parlavano male e buttavano fango su De Donno, sul fatto che De Donno avrebbe fatto o mandato un anonimo. La cosa era definita dietro un anonimo. Era il capitano De Donno che avrebbe fatto l’anonimo e sull’anonimo i sostituti sostenevano che De Donno ne era stato l’autore. Questa era l’accusa che veniva fatta a De Donno. È la levatura di Borsellino che voi non conoscete: se il procuratore Borsellino era così riservato sull’incontro che doveva ottenere con il colonnello Mori e il capitano De Donno, mi dica lei, Carmelo Canale era un benemerito cretino se si fosse presentato così pubblicamente a dirgli di sbrigarsi di andare alla caserma Carini?
PRESIDENTE. Ma perché dicevano che l’autore era De Donno?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Questo lo dobbiamo chiedere a quei sostituti, purtroppo io non lo so, mi dispiace, altrimenti glielo racconterei. Io so solo che contro De Donno veniva buttato fango.
PRESIDENTE. Però l’anonimo aveva a che fare con gli appalti. Quindi il collegamento è questo?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. E certamente sì. Il dottor Borsellino quando c’era la riunione del 14 luglio chiede spiegazioni non già del famoso Rapporto mafia-appalti, ma perché lui voleva intervenire, attraverso il lavoro che avevamo fatto a Pantelleria, con i dati certi degli arresti, voleva intervenire perché c’era quel verbale che era non interessante, di più! Andatelo a prendere, io non ce l’ho, la segretaria che riuscii a far confessare credo si chiamasse Cristina.
PRESIDENTE. Sempre per far seguire tutti, perché mi rendo conto che è più complicato, Spezia e Cascio, che lui ha citato su Pantelleria, sono nel Rapporto dei ROS.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Non c’è dubbio, la ditta Spezia è quella collegata, era consociata con Siino e l’appalto era di Siino.
PRESIDENTE. Cerco soltanto di far collegare i punti a tutti perché i nomi ovviamente sono molti da ricordare.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Chiedo scusa per il mio tono agitato a tutti i commissari, però molte cose mi fanno male. Poi le mando tutte le carte.
PRESIDENTE. Non deve chiedere scusa di niente. La ringraziamo noi per la disponibilità perché ci sta dando la possibilità di andare a fondo. Do la parola al senatore Cantalamessa.
GIANLUCA CANTALAMESSA. Grazie presidente, grazie colonnello. Due piccole premesse prima della domanda. La prima: grazie colonnello, oggi ho conosciuto un grande italiano, di quelli che hanno fatto grande questo Paese e sono eroi senza nome, quindi grazie per tutto quello che ha fatto e per la passione che continua a mettere. Un’altra premessa. Mi dispiace doverla fare. Il senatore Scarpinato è andato via e al collega Nave, capogruppo dei 5 Stelle in Commissione, che sa che cerco di essere una persona corretta, rivolgo quello che avrei rivolto al senatore Scarpinato. La presenza del senatore Scarpinato e le domande che ha fatto sono di una gravità inaccettabile per questa Commissione. Innanzitutto perché lui partecipava a quei lavori in quel periodo e poi perché, da evidenze giornalistiche – per non parlare di quello che abbiamo segretato in Commissione e che è arrivato da Caltanissetta – quindi parlo solo di evidenze giornalistiche, sono venuti fuori rapporti e conversazioni che ci sono state con Natoli, attualmente indagato. La presenza e le domande del collega Scarpinato sono un buttare fango sulla terzietà che questa Commissione deve avere perché questa Commissione deve essere terza. Nessun commissario, nessuno, di nessun partito, si può arrogare il diritto di avere una posizione di abuso dominante nei confronti degli auditi. Questo lo dico perché resti agli atti.
Ciò premesso, colonnello, volevo farle una domanda. Nella sua deposizione davanti al tribunale di Caltanissetta del 2013, quindi parliamo del Borsellino quater, sono richiamate alcune sue dichiarazioni alla stampa nelle quali afferma di aver sempre sostenuto che il dottor Borsellino era stato ucciso per l’indagine mafia-appalti.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. E lo confermo di nuovo.
GIANLUCA CANTALAMESSA. Due domande veloci. Riferì mai all’autorità giudiziaria questa sua convinzione? Può spiegare da cosa ha desunto questa sua convinzione?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Ripeto, non so quali siano queste dichiarazioni perché purtroppo, mi dispiace, stiamo parlando di trent’anni fa.
GIANLUCA CANTALAMESSA. Chiedo scusa. Lei aveva questa convinzione, come l’aveva maturata questa convinzione?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Gliene dico un’altra, se la volete sapere, dovrei stare 20 ore per raccontarvi quello che è successo allora.
PRESIDENTE. Possiamo aggiornarci.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Verrei volentieri di nuovo. Vorrei intanto far capire il clima della procura di Palermo. C’erano le fazioni a Palermo. Non mi pare che il dottor Scarpinato, mi dispiace che non ci sia, fosse vicino alle posizioni di Borsellino, poche volte ho visto parlare il dottor Scarpinato con Paolo Borsellino, pochissime volte, perlomeno in mia presenza. Può darsi pure che andassero a mangiare ogni sera assieme, ma là per là, non mi risulta questa grande amicizia. Mentre c’era un grande trasporto, perché lo stimava veramente, e il dottor Borsellino lo stimava tantissimo, verso Antonio Ingroia. Lo fece venire lui a Palermo. Se non ricordo male per un periodo fu aggregata la dottoressa Alessandra Camassa, che era un punto di riferimento per Paolo Borsellino soprattutto nella gestione delle collaboratrici donne che, per la prima volta, abbiamo trovato in Procura. Su questa storia delle collaboratrici potrei parlare altre due ore ma capisco che il tempo vola. Quando Borsellino parlò a Casa Professa, lei deve sapere che Paolo Borsellino non ci stava andando quella sera a Casa Professa, assolutamente. Ci fu un avvocato, il professor Galasso, che insistette a chiamarlo. Siccome se n’era dimenticato, andò. Nell’andare, il sindaco Leoluca Orlando di Palermo la prima cosa che disse a Paolo Borsellino fu: «Mi raccomando non mi attaccare». Lei non dimentichi gli attacchi che questi signori avevano fatto a Giovanni Falcone e lui non perdonava nessuno, lui non perdonava nessuno sugli attacchi personali a Giovanni Falcone, lui non perdonava nessuno. Quando andò a Casa Professa e fece quel famoso discorso in cui disse di aspettare di essere chiamato per poter parlare della questione Falcone di cui lui sapeva non tanto, di più, non lo chiamò mai nessuno. Ho sentito recentemente notizie – non so se siano notizie portate a questa Commissione, non ho un ricordo – ma ho sentito come se il dottore Borsellino fosse grande amico di Tinebra. Mi scuso con coloro i quali hanno detto questa parola «amico». Forse saranno stati della stessa corrente, non me ne intendo di correnti dei magistrati, posso parlare di correnti dei carabinieri, di magistratura non me ne intendo.
PRESIDENTE. Non ci sono correnti nei Carabinieri.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Casomai ci sono carabinieri di serie A, carabinieri di serie B e carabinieri anche di serie C, ma non ci sono correnti. Se io debbo fare un’indagine su un mio collega, le assicuro – non io ma tutti coloro i quali la pensano come me – fanno il loro lavoro, non c’è carabinieri che tenga, ognuno di noi faceva il suo lavoro. A Casa Professa, il sindaco Leoluca Orlando si premurò di chiedere a Borsellino con un bigliettino che non lo attaccasse. Aveva paura che a Casa Professa Paolo Borsellino, che non risparmiava nessuno, potesse attaccarlo, perché il signor Leoluca Orlando era il sindaco della città di Palermo. L’indomani o dopo due giorni avemmo una brutta discussione su questa storia perché quando sentii quello che aveva detto non rimasi contento perché non era bello dire: «Aspetto che mi chiamino». Il nemico ti ascolta: qualcuno si è impaurito, ed ecco dove penso ci sia stata la famosa «accelerazione». Poi io debbo smentire tutti: Borsellino non fu mai convocato a Caltanissetta, mai! Io l’avrei saputo. Mai convocato a Caltanissetta. Tutta questa grande amicizia con il dottor Tinebra non credo ci fosse. Forse c’era una colleganza di corrente, ma amicizia? Non ho mai sentito per la bocca di Paolo Borsellino dire: «Mi ha telefonato Tinebra», mai, per me era un benemerito sconosciuto, Tinebra per me era un emerito sconosciuto. Ho sentito dire che fossero amici, che addirittura fossero molto legati da amicizia: non so chi lo dice, ma preferisco non sentire questa cosa perché debbo smentirlo, perlomeno per quelle che sono le mie conoscenze. Mi sono scordato cos’altro mi ha chiesto, scusi.
GIANLUCA CANTALAMESSA. Da dove desumesse la sua convinzione.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Sono convintissimo che una delle concause, ma la più accreditata, secondo il mio pensiero, era che Borsellino voleva trattare non solo mafia-appalti di De Donno ma, vi ripeto, quello che ci portavamo dietro, quel mafia-appalti di Pantelleria, c’erano centinaia di miliardi a Pantelleria, parliamo di uno scoglio nero, come lo chiamo io! Centinaia di miliardi non era uno scherzo! E poi c’era l’ombra di Siino che noi – e quindi io – avevo trovato, salvo poi sentire Siino che io gli avevo consegnato il Rapporto mafia-appalti per 50 milioni, dopodiché questo signore se ne uscirà lungo i vari processi che era una boutade. Non posso dire come l’ho definita perché se no mi piglio l’oltraggio.
Lui l’ha definita boutade in francese, io non ho studiato francese o spagnolo, io ho studiato il palermitano e glielo direi io a questo signore come definire questa parola, che mi ha fatto fare 14 anni di processo! Sia maledetto lui e dove si trova – perdonatemi tutti – ma io per 14 anni ho perso la mia famiglia, mi sono indebitato per decine e decine di milioni di euro per andare a pagare gli avvocati e comprare le carte. Il PM di turno mi portò un registro degli ordini e mandati di cattura per i ricercati della provincia di Palermo che mi costò un milione! Il mio avvocato mi chiese a che servisse quel registro! Come se io per ogni latitante ci fosse telefonavo per sapere se fosse di Agrigento! Una follia! Sono stato processato – e vi invito a leggere le mie sentenze – perché avevo un brutto carattere. Non lo nego che aveva un brutto carattere: quando mi trovavo dinanzi a uno che interrogavo, sicuramente non mi mettevo i guanti gialli, mi dispiace io facevo il mio lavoro di carabinieri. Il carabiniere deve fare il suo dovere, deve ricercare le prove e assicurare alla giustizia i delinquenti di spazzatura come i mafiosi, questo facevo io e mi è costato 14 anni di processo, 14 anni di processo! Il PM fece 3000 pagine di ricorso in appello, 3000 pagine! Il giudice dell’appello la definì «ansia giustizialista»! Non vi dico altro, leggetevi le mie sentenze che poi sono da fare ridere perché io, per il mio comportamento, dovevo essere casomai giudicato in via disciplinare, questo fu il mio processo. 14 anni! Il Procuratore generale della Cassazione quando si alzò disse: «Per me questo processo non andava nemmeno iniziato». Punto. Presidente, poi io fui giudicato pure da un generale di corpo d’armata dell’esercito per vedere se, nell’ambito del mio processo, avessi commesso o meno azioni disciplinari indegne. Archiviò dicendo, zero, Canale non ha fatto nulla. Un generale di corpo d’armata dell’esercito, non un carabiniere che poteva essere «amico mio»! Questa è la rabbia che mi porto dietro perché ci ho lasciato una figlia dietro tutti questi guai. Ho risposto? Borsellino muore anche per gli appalti.
PRESIDENTE. La parola al senatore Gasparri.
MAURIZIO GASPARRI. Buonasera. Una domanda secca per una risposta secca. Lei per quanti anni è stato sotto processo?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. 14 anni.
MAURIZIO GASPARRI. Come sono finiti i processi?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Sono stato assolto in tutti i giudizi.
MAURIZIO GASPARRI. Hanno ricostruito la sua carriera e i gradi?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. È stata ricostruita. Debbo espressamente dire grazie a due politici. Di una non ricordo il nome. Dell’altro non lo dico. Era un signore che fa politica, che prese a cuore la vicenda e fece modificare in sede parlamentare la legge con cui Berlusconi – lo dico come lo dicevano i giornali – si era adoperato per Carnevale. Coloro i quali erano stati ingiustamente processati potevano rientrare in servizio e la legge ora è in vigore grazie a questo signore che allora credo fosse senatore. Con la signora che era onorevole parlai. Lei sposò questa mia causa e la portò avanti. Ho beneficiato della legge. Ho dovuto ripercorrere gli anni in cui ero stato sospeso – furono ben cinque. Subii cinque anni di sospensione a mezzo stipendio. Campavo perché mi prestavano i soldi. Mia figlia andava all’università e non doveva perdere l’università per colpa di suo padre.
MAURIZIO GASPARRI. Le dico questo perché lei è un carabiniere che ha subito 14 anni di processo ed è stato assolto. Prima si è fatto il nome di De Donno da un collega che, mi dispiace, non è presente, però condivido le affermazioni in toto del senatore Cantalamessa perché i conflitti di interesse, di cui molti si sono occupati, si appalesano in vari contesti. Il colonnello Canale è stato carabiniere, e si rimane carabinieri, il quale per 14 anni è stato processato e assolto con gradi restituiti.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Non togliamo mai gli alamari, per rifarmi alla buonanima del generale Dalla Chiesa!
MAURIZIO GASPARRI. Le volevo fare qualche domanda, la prego di rispondermi in sintesi alla fine. De Donno, che viene citato, era accusato di avere fatto un esposto anonimo su Riina e politici, lo ha detto il collega. De Donno è stato assolto. Chi ha partecipato al processo di De Donno, che è finito con un’assoluzione, dovrebbe avere la decenza di non usare la Commissione antimafia per ricordare accuse che ha fatto e che sono state smentite in sede giudiziaria, perché si crea una grande confusione sulla quale io riferirò questa sera al Presidente del Senato e anche al Presidente della Camera, perché sono in difficoltà di fronte a questo uso di notizie che poi sono state smentite in sede giudiziaria perché De Donno è stato assolto. Lo sappiamo, però qui ci sono quelli che lo accusavano. Borsellino va alla caserma Carini: è un momento centrale della vita di Borsellino perché poi, poco tempo dopo, è morto. Io sono convinto che Borsellino sia stato ucciso dalla mafia per l’inchiesta mafia e appalti, però lei sa che altrove si sostengono altre tesi. Va alla caserma Carini perché non si fida della procura, lo ha detto. A Palermo per molti anni sono stati processati, lei lo saprà, il colonnello, poi generale, Mori e il capitano, poi colonnello De Donno, sono stati processati e anche condannati in alcune fasi.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Non dimentichiamo il generale Subranni!
MAURIZIO GASPARRI. Il generale Subranni ne è morto di quelle persecuzioni.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Il generale Subranni era un galantuomo.
MAURIZIO GASPARRI. Sto dicendo che è morto di persecuzioni!
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Lo sa chi mi ha fatto trasferire a Palermo? Il generale Subranni, tramite Borsellino, ho una lettera.
PRESIDENTE. Un momento. Lasciamo finire le domande al senatore Gasparri. Poi lei risponde.
MAURIZIO GASPARRI. Io sostengo che a Palermo una serie di carabinieri sono stati perseguitati: Canale, Mori, De Donno, Subranni e sono stati assolti. Questo fatto che io affermo è fondamentale nella conoscenza dei fatti di cui stiamo parlando e coloro che hanno mosso le accuse o stanno ancora nella magistratura o stanno in altre parti, e rivangano la questione che De Donno non era buono, questo lo voglio dire per la storia e lei lo conferma. Qual è la tesi? Mori e De Donno tradivano Borsellino, la magistratura, la Repubblica, erano dei traditori che trattavano con la mafia. Se trattavano con la mafia, Borsellino non sarebbe andato alla caserma Carini con l’organizzazione che lei ha fatto anche di non farsi accorgere, da chi? Da quelli che stavano nel Palazzo di giustizia! E chi ci stava nel Palazzo di giustizia?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. I magistrati, i pubblici ministeri, lui parlava di colleghi suoi.
MAURIZIO GASPARRI. Bravo. Il dottor Borsellino cercava un contatto riservato con i carabinieri, tramite lei, i quali, dopo la sua morte, sono stati processati perché di quelli si fidava e della procura secondo me non si fidava. E nella procura c’erano: Pignatone, Lo Voi – lei ha detto che con Tinebra non aveva rapporti diretti – c’era Lo Forte. Di chi non si fidava Borsellino? Di quali persone Borsellino si fidava o non si fidava? Questo è il tema. A Palermo poi si perseguitano dei Carabinieri anche dopo e la verità giudiziaria poi è emersa, per fortuna. La domanda è semplice: Borsellino si fidava di Mori e di De Donno? Di chi si fidava e di chi non si fidava nella Procura della Repubblica? Dove c’erano, cito a memoria, Lo Voi, Pignatone, Lo Forte. Di Ingroia lei ha detto che si fidava.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Lo ha aggregato a Palermo.
MAURIZIO GASPARRI. Può ricordare chi erano i buoni e i cattivi? Non si è ancora capito. Hanno processato per anni i buoni, come lei, e li hanno fatti passare per cattivi e poi quelli che si sono autoproclamati buoni, forse non erano così buoni. Lei sa che è stata archiviata l’inchiesta mafia-appalti, in parte, si dice. Borsellino muore e ad agosto una buona parte viene archiviata, compromettendo in parte quel lavoro. Lei lo sa che è stata archiviata in buona parte e lei che ha pensato quando è stata archiviata nell’agosto del 1992 da magistrati della procura di Palermo? È stata archiviata, ci sono le firme e i documenti. Quindi che pensa? Chi sono i buoni e i cattivi?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Senatore. Lei parla sempre del rapporto mafia-appalti di De Donno, mi scusi – lei è un senatore di questa Repubblica e ora faccio una domanda a lei. Vuole andare a vedere che fine ha fatto il lavoro che hanno iniziato Borsellino e Ingroia su Pantelleria? Hanno restituito tutte le carte indietro dopo che è morto Borsellino o recentemente, non lo so. Tutti gli appalti che avevo sequestrato dove sono? Non sono stato manco chiamato al processo, lei lo sa questo? Vada a vedere. Io non sono stato mai chiamato, non so manco come è finito il processo e se sono stati condannati. Che cosa hanno fatto agli appalti che avevo sequestrato? Avevo portato il verbale di quella povera segretaria che avevo messo in croce per farmi dichiarare cosa facevano Siino, Cascio, cosa faceva il suo datore di lavoro Spezia. Cosa hanno fatto? Non lo so. È chiaro che Borsellino voleva capire perché io rammento a tutta questa Commissione che all’interno del lavoro di De Donno, nel bene e nel male, c’era un bussolotto che riguardava Pantelleria. Non è che potevo sapere cosa succedeva per gli appalti di Messina – credo che De Donno abbia trattato tutta la Sicilia, con Giovanni Falcone hanno trattato tutto – ma a me interessava partire da Pantelleria dove avevamo un punto fermo: c’erano delle ditte compromesse negli appalti che si mettevano d’accordo. Se vuole le dico come si chiamava la ditta: Spezia di Pantelleria. Che fine hanno fatto gli appalti? Non lo so.
Lei poi mi chiede di chi si fidasse allora Paolo Borsellino alla Procura di Palermo. Gliel’ho detto, Antonio Ingroia, la dottoressa Camassa, poi c’era la dottoressa Principato, che lavorava sempre con lui, ed era una donna che a livello investigativo – dovrei usare una parola forte palermitana per dire com’era questa donna – aveva veramente gli attributi. Ogni tanto mi parlava male del dottor Pignatone e del dottor Lo Forte, li chiamava il gatto e la volpe.
Lo domandi a Lucia Borsellino, lo domandi a Bartolo Iuppa se è vero quello che sto dicendo o no. Questi erano quelli che lavoravano con Borsellino, solo questi lavoravano, con gli altri non c’era feeling.
Le debbo raccontare un episodio e forse credo di aver concluso. A dicembre 1991 siamo andati a villeggiare con le famiglie, fu l’unica volta che siamo andati veramente a villeggiare. Ci ruppe la villeggiatura Manfredi, che andò sulla neve e per una sera l’abbiamo perso e l’abbiamo ritrovato a mezzanotte. Eravamo impazziti, non sapevamo più che fine avesse fatto Manfredi, si era divertito ma noi eravamo preoccupati, era il figlio di Borsellino non un qualunque ragazzo che giocava. Quando eravamo in Trentino, era l’unica volta che sarà presente Salvatore Borsellino perché io rammento a me stesso che Salvatore Borsellino fece pace con Paolo Borsellino grazie al mio intervento perché non c’era un buon rapporto.
MAURIZIO GASPARRI. Non avevano buoni rapporti?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. No. Attenzione, pure io con mio fratello ho avuto qualche problemuccio, quindi era un problemuccio a livello familiare, niente di più e niente di meno. Eravamo in alta Italia a fare un’indagine e poi andammo a trovare Salvatore Borsellino con Paolo Borsellino e là si sono ricuciti i rapporti tant’è che Salvatore Borsellino viene con noi in Trentino a fare il Capodanno. Al ritorno, finite le famose vacanze invernali – vacanze per modo di dire – siamo scesi lungo la strada. Credo che fossimo intorno a Pisa o giù di lì, non mi ricordo bene, con le macchine. Avevamo dormito in un albergo, se non ricordo male, e il dottor Borsellino vide in televisione che c’era stata la strage di Porto Empedocle e Agrigento. Il procuratore Borsellino vede che rilasciarono un’intervista il dottor Giammanco e il dottor Aliquò. Borsellino impazzì. Scusate il termine, ma lo debbo dire come l’ha detto lui: «Mi stanno fottendo, questi continuano a fare abusi nei miei confronti». Si fa venire a prendere dalla polizia di Stato, va a Pisa, prende il primo aereo per scendere giù in Sicilia e prendere lui le redini dell’indagine. Era lui il titolare di quella zona, non già Aliquò. Giammanco era il capo e lo poteva fare, ma Aliquò che c’entrava? Giammanco si portò Aliquò. Borsellino era impazzito per questa cosa. Sono dovuto ritornare con le famiglie senza Paolo Borsellino. Questa era Paolo Borsellino, che ci lasciò tutti in asso.
PRESIDENTE. Colleghi, per completezza, così lo dico anche al tenente colonnello, il citato Spezia, che viene più volte richiamato da Canale sugli appalti di Pantelleria ed è presente nel Rapporto del ROS su mafia-appalti, viene archiviato il 13 luglio 1992.
È iscritto a parlare il senatore Sallemi.
SALVATORE SALLEMI. Grazie presidente e grazie tenente-colonnello, anche, mi consenta di dirlo, per gli spaccati simpatici in una vicenda che ha sfumature tragiche, non solo per tutti noi, come commissari, come italiani, come figli di questa Nazione, ma anche per lei, per quello che ha raccontato e per quello che ha vissuto nella sua vita privata. Mi allaccio a una domanda del presidente. Lei sa se Spezia è stato archiviato da Natoli?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Mi dispiace, non le saprei rispondere. Sono stato «deportato». Purtroppo ci fu un Comandante generale, mi dispiace perché gli volevo bene, il generale Viesti, che mi fece prelevare a Palermo e mi deportò a Roma. Praticamente non feci più nulla se non quando arrivò il generale Federici che mi rivalutò, perché mi trasferì, contro la volontà di tutti gli altri, al Nucleo antisofisticazione di Napoli dove arrivai come ufficiale addetto al gruppo e allora mi rimisi in carreggiata e lavorai con la procura di Napoli, con la procura di Nola, se vuole le mando i risultati di queste attività. Però alla sua domanda non saprei rispondere.
SALVATORE SALLEMI. Tenente colonnello, facciamo un passo indietro alla sua introduzione, dove lei parlò del giudice Vaccara.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Un brav’uomo, attenzione. Solo non aveva competenze in materia antimafia.
SALVATORE SALLEMI. Dopo la strage di Capaci, il dottor Borsellino intrattiene un rapporto con il dottor Vaccara, e, l’ha detto, si trattava di un rapporto che aveva anche delle sfumature di carattere personale. Il dottor Vaccara era applicato a Caltanissetta ma sostanzialmente, di fatto, era il collegamento tra Palermo e la procura di Caltanissetta. In alcune sue deposizioni, sia a Caltanissetta sia a Palermo, lei si è soffermato sui rapporti tra il dottor Borsellino e il dottor Vaccara. Per esempio, nel 2004, in una udienza a Caltanissetta lei racconta, leggo letteralmente: «che il dottor Borsellino lo portava pure a casa sua a mangiare, gli diceva devi fare questo, devi fare quest’altro. Borsellino era un fiume».
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. In piena.
SALVATORE SALLEMI. Mi faccia completare. Poi lei aggiunse: «Sono convinto che ha riservato le sue conoscenze a Vaccara». Ora, partendo da questo dato, che è un dato chiaro che lei ha confermato in un pubblico dibattimento, il dottor Borsellino le ha mai parlato dei contenuti dei loro colloqui? In particolare, ha mai riservato su di lui qualcosa? Su Vaccara, in generale.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. No, onestamente. Se no lo direi. Credo di aver detto una volta, in maniera poco ortodossa, poco elegante, in maniera, oserei dire, quasi cattiva, che il dottor Vaccara, come si esprimeva il dottor Borsellino quando parlavamo di lui, potrebbe occuparsi di altro ma non di Cosa nostra. Lui gli spiegava che cos’era Cosa nostra. A Palermo gli avevano dato pure una stanza. Vorrei sapere chi ha fatto la perquisizione, ci sono andati con me e credo che ci fosse proprio Vaccara, ma non c’era niente nell’ufficio, credo ci debba essere un verbale di perquisizione dell’ufficio.
SALVATORE SALLEMI. Borsellino non le ha mai parlato dei contenuti dei colloqui con Vaccara?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. No. Conoscendo Paolo Borsellino, non credo che si spingesse – così come non l’ha mai detto a me – su quello che c’era, perché lui partiva dalla linea Falcone, la sua mira era Falcone, attenzione, non perdiamo di vista che lui voleva risolvere il problema Falcone.
SALVATORE SALLEMI. Lasciamo un attimo quello che Borsellino poteva dire o non poteva dire a lei. Andiamo a un passo dopo. Lei sa se, dopo la strage di via d’Amelio, l’autorità giudiziaria ha utilizzato in qualche modo le informazioni acquisite dal dottor Vaccara? Ha avuto mai la percezione o comunque la possibilità di acquisire informazioni dirette o indirette sul fatto che l’autorità giudiziaria avesse utilizzato quello che Vaccara poteva sapere o non sapere?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Poc’anzi mi pare di essere stato abbondantemente chiaro.
PRESIDENTE. Si fanno domande per segnare dei punti.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Due minuti fa ho detto che praticamente sono stato preso di forza e portato a a Roma. Non ho visto più nulla. L’unica vacanza che mi fecero fare per vedere mia moglie e mia figlia è quando mi mandarono a Pantelleria, naturalmente a spese mie andai a villeggiare, sono stato una settimana a Pantelleria. Lei però mi fa ricordare una cosa, se la posso dire. Non credo che l’abbiate mai avuto, ma mi piacerebbe che la Commissione sentisse il saluto che Paolo Borsellino fece il 4 luglio 1992 alla Procura della Repubblica di Marsala. Ho le registrazioni e ve le lascio, ve ne do due copie, le gestisca come crede. È il saluto che fa Paolo Borsellino nell’occasione in cui parte da Palermo per venire a salutare, perché lui purtroppo il saluto non aveva avuto tempo di farlo e viene il 4 luglio 1992. È molto interessante sentire cosa dice Paolo Borsellino durante il saluto.
Volevo rispondere a lei su una questione. Credo ne abbiate parlato in questa Commissione, e se non l’ha detto nessuno, lo dico io. Si ricorderà della vicenda legata alla questione della dottoressa Ferraro – non è stato detto mai? Questo per farle capire il clima della Procura della Repubblica di Palermo. Credo di avere già detto com’era arrabbiato Borsellino quel giorno dopo il mio sfogo. Come vede, non sono di carattere tanto facile, me lo dice sempre mia figlia, ho un carattere piuttosto strano, non è facile che lei mi pieghi, ma non perché sono un duro, assolutamente no, perché poi in fondo sono un buono, però per certe cose mi farei ammazzare, soprattutto per la verità e più di una volta ho chiesto a qualcuno: «Mi faccia fare il confronto con chi dice determinate cose». Spero che qualcuno dica di fare il confronto dopodiché ognuno è libero di decidere se il confronto dia ragione a me o al mio interlocutore. Arriviamo a questo passaggio, che è interessantissimo. Borsellino è di ritorno con la signora Agnese Borsellino. Lo prendo perché è importantissimo. Le lascio o le mando poi la copia, come vuole. Credo che Borsellino sia andato a una riunione, adesso non ricordo bene, con la moglie in Puglia. Delle volte comincio a capire che molte cose le confondo, ma è la vecchiaia. Un incontro che il dottor Borsellino fa in un aeroporto proveniente da un convegno di una parte della magistratura. Si incontra all’aeroporto dove apprende un fatto dalla dottoressa Ferraro, che poi ricoprì il posto di Giovanni Falcone.
PRESIDENTE. Credo che sia l’incontro all’aeroporto di cui parlò Trizzino a Giovinazzo.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Sì, però c’è una cosa importante. La dottoressa, che era direttore degli affari penali, e prese il posto di Giovanni Falcone dopo aver collaborato con lui, si incontrano all’aeroporto e c’è anche la signora Agnese. Nella circostanza la dottoressa, di cui non ricordo il nome, comunica a Paolo Borsellino se aveva saputo della storia delle minacce arrivate nei suoi confronti. Paolo Borsellino cadde dalle nuvole perché non sapeva niente. Nella circostanza si incontrò anche con Andò il quale riferisce la cosa. Praticamente lui era il destinatario delle minacce, ma nulla sapeva di queste minacce, nessuno gli aveva detto niente. Sono andato a fare una ricerca e ho trovato il documento, elaborato dal Comando generale dell’Arma dei carabinieri e inviato – io ce l’ho, se volete lo cerco, se no ve lo mando. Sono andato a guardare questo documento delle minacce perché i fatti sono due: questa è la prima minaccia che apprese Borsellino, della seconda, se volete, ve ne parlo pure, ma la prima minaccia la apprese in aeroporto e non ne sapeva nulla. Questa minaccia si riferisce a un attentato contro Andò, contro Mannino, contro Umberto Sinico, capitano del ROS di Palermo, contro di me e una riservata mandata ai servizi segreti e anche alla procura di Palermo, ma la procura di Palermo a Borsellino di queste minacce non disse nulla. Io non sapevo nulla perché si figuri se il SISDE, i servizi segreti, scrivevano a me.
SALVATORE SALLEMI. Lei ce l’ha questi documenti?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Certo che ce l’ho, io ho portato tutto, è un problema cercarli. Ho l’aereo. Non voglio rimanere qua con voi perché stasera vorrei vedere mia moglie perché sta sulle spine. Ve li mando, così non perdo tempo a cercarli. L’indomani va da Giammanco e lo fa nero, si ammazza con Giammanco. «Come, c’è una minaccia nei miei confronti e tu non mi dici niente?» Di tutto questo, che ci fosse una minaccia a Borsellino, men che mai a me, non sapevo nulla. Negli anni, parlando con Tizio, parlando con Caio, riesco a ottenere in fotocopia il documento e io l’ho portato perché questa Commissione è bene che lo veda e che lo metta agli atti.
Ma ce n’è un’altra di minaccia per Paolo Borsellino, non so se ne ho parlato, non lo so, ma credo che ne abbia parlato il capitano Umberto Sinico, e io sono testimone di questo incontro. Il capitano Sinico assieme al capitano Giovanni Baudo – uno era della sezione anticrimine di Palermo, Sinico, Giovanni Baudo credo che fosse comandante della compagnia di Carini o era già passato al ROS pure lui, non lo ricordo – e alla buonanima di mio cognato. Dovete sapere che sono il cognato di Antonio Lombardo, tecnicamente si dice suicidatosi in caserma, mentre i figli attualmente sono in contrasto con le indagini della procura di Palermo che dice che si è suicidato, mentre loro sostengono che il padre fu ammazzato: io questo non lo so, non entro nel merito, ma andiamo avanti. Mio cognato, Antonio Lombardo, era un maresciallo molto più antico di me a livello di investigazione. Viveva di confidenti, tutto quello che doveva sapere, lo doveva sapere in confidenza, era bravissimo nel ricercare notizie dai confidenti. Aveva un buon rapporto, a livello carabiniere contro il mafioso, con il capomafia di Terrasini, di cui non ricordo il nome, d’Anna Girolamo forse, detenuto allora a Fossombrone. Mio cognato assieme a Sinico si presenta da me e mi chiede la cortesia di agevolare in Procura un colloquio investigativo. Non so stamattina chi mi ha chiesto dei colloqui investigativi, io non ne ho mai fatti. Mi chiede di adoperarmi affinché avvenga il colloquio investigativo al carcere di Fossombrone. Qualche giorno dopo mio cognato ritorna assieme al capitano Umberto Sinico e credo ci fosse pure Giovanni Baudo, e siamo andati dal procuratore Borsellino a comunicargli che nell’ambito carcerario c’era la notizia che lui sarebbe saltato in aria. Questo avviene intorno a fine giugno, ce l’ho e vi posso pure prendere la data perché il capitano Umberto Sinico ne parla in un processo, credo. Questa storia per esempio mi ero dimenticata di raccontarla, ma nel tempo poi, non mi ricordo se l’ho raccontata, e comunque la racconto, ma fu vero che lui andò a fare questo incontro. Questa fu la seconda minaccia che ricevette Borsellino mentre era a Palermo, per lo meno nell’ambito carcerario – credo che fosse il cugino o il cognato di Badalamenti, quindi stiamo parlando di una mafia altissima non di basso livello. Queste confidenze le ricevette mio cognato che le trasferì agli ufficiali Sinico e Baudo. Di Sinico sono sicuro, di Baudo no, e lo raccontano a Borsellino. Borsellino, dopo la morte di Falcone, diceva di essere sempre stato il secondo. Ne parlavamo sempre io e lui. «Fino a quando c’è Falcone vivo a me non ammazza nessuno, se non muore Falcone io non muoio, voi dovete stare tranquilli, io non muoio» e così è stato, perché lui si definiva sempre il secondo: «Io sono il secondo, il primo non lo sono stato mai».
PRESIDENTE. Passiamo alle ultime due domande così poi la mandiamo a prendere l’aereo. Ci sono il senatore Nave e poi il senatore Russo.
LUIGI NAVE. Grazie presidente. Mi consenta, attraverso di lei, innanzitutto di rispondere al collega Cantalamessa al quale voglio ricordare che proprio la terzietà di questa Commissione che permette ancora, almeno per il momento, fintanto che non ci saranno cambiamenti, di poter partecipare all’attività parlamentare. Quindi rimando al mittente anche le lezioni che vogliono essere rimandate. Così come sento che è proprio la terzietà di questa Commissione, di cui sono sicuro, che ci permette di andare avanti, altrimenti ad ascoltare il collega il senatore Gasparri abbiamo già la verità in tasca quindi possiamo già chiudere domani perché le sentenze già sono pronte. Su tutta la situazione delle stragi abbiamo già concluso secondo lei, così come è libero di poter fare quello che vuole e appellarsi a chi vuole. Lei ha tutta questa libertà e non sono certo io a doverla concedere.
Ritorno invece alla domanda, presidente, e la leggo pedissequamente, così come ha fatto anche il collega Scarpinato, che ha riportato una domanda di un’udienza. Ha già dato contezza di questa cosa. Lei è stato sentito come teste all’udienza del 6 maggio 2013 nel processo Borsellino quater. Ricorda di aver riferito in quell’udienza di aver assistito a un dialogo a Roma nel corso del quale Falcone disse a Borsellino di aver scoperto che Bruno Contrada era responsabile dell’attentato dell’Addaura e che Borsellino gli raccomandò di non dire niente a nessuno, neppure al dottor Ingroia, per non mettere in pericolo la sua vita e che dopo la strage di Capaci, Borsellino cercava il collegamento tra gli autori dell’attentato dell’Addaura e le stragi di Capaci. Conferma di aver dichiarato alla Procura di Caltanissetta il 26 novembre 1992 che Falcone disse a Borsellino che se fosse stato nominato Procuratore nazionale antimafia avrebbe messo ai ferri Contrada?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Io lo confermo e lo metto per iscritto, perché il colloquio avvenne in mia presenza. Sono entrato per caso e il dottor Falcone a me voleva bene: non eravamo ai livelli di Borsellino, attenzione, ma io conoscevo benissimo il dottor Falcone dall’inizio degli anni Ottanta. Ho conosciuto anche il dottor Chinnici, se vuole le dico pure come e quando ho conosciuto Chinnici e cosa è successo con Chinnici. Perché se vuole le racconto anche cosa disse Chinnici in uno sfogo a proposito di qualche sostituto della Procura di Palermo, se vuole io glielo racconto e glielo metto per iscritto, non ho nulla da temere e tutto quello che dico lo posso documentare. Questo glielo confermo: io sono entrato e il dottor Falcone non si è interrotto quando io sono entrato, ha continuato nel suo racconto, tanto che sono rimasto colpito da questa storia che il dottor Falcone diceva al dottor Borsellino. Era convintissimo che l’attentato all’Addaura l’aveva organizzato il dottor Contrada, questo era il sunto della discussione e che lui, se fosse diventato Procuratore nazionale antimafia, avrebbe messo i ferri, contrariamente a quello che si dice che forse è un uso improprio quello che ho fatto io, dicendo ferri perché generalmente si usa dire manette. Ma chi l’ha detto? Una volta si mettevano i ferri. Qualcuno che ha fatto il carabiniere o il magistrato lo sa che noi carabinieri usavamo anche i ferri oltre alle manette. Il dottor Falcone aveva l’idea fissa che Contrada fosse l’autore dell’attentato all’Addaura. Questo l’ha detto Giovanni Falcone. A me è successo questo e io ho il dovere di dire quello che mi è successo e lo confermo. Non mi ricordo la testimonianza che cita lei perché mi hanno chiamato talmente tante volte che non ricordo più dove l’ho detto e quando l’ho detto, ma le confermo passo passo quello che lei mi ha detto e cioè che il dottor Falcone riteneva responsabile dell’Addaura il dottor Contrada. Guardi che io l’ho testimoniato al processo Contrada, l’ho dichiarato nel processo Contrada questo. Non so se in quel processo a Caltanissetta, ma io l’ho detto a Palermo. Pubblico ministero forse erano proprio Natoli e il dottor Ingroia. Ingroia sicuro, ma Natoli ho i miei dubbi che ci fosse, non me lo ricordo. Lo confermo.
PRESIDENTE. Grazie mille. Prego senatore Russo.
RAOUL RUSSO. Ringrazio il colonnello Canale per la sua testimonianza che per noi è molto importante perché, a differenza di altri, coltiviamo il dubbio e la cultura di accertare i fatti, quindi nessuno di noi – intendo rispondere simpaticamente al senatore Nave – ha verità precostituite, ma poiché in trent’anni non sono venute verità, forse è importante che questa Commissione con la sua terzietà, con chi, con imparzialità, può fare domande, acquisisca informazioni importanti, come quelle di oggi perché ad esempio molti di noi non erano a conoscenza di questa particolarità relativa alla inchiesta di Pantelleria, a questi che non sono aneddoti, ma ricostruiscono un passato importante e quindi sono sicuro che le nostre domande, di chi realmente vuole la verità, non volevano fare il processo a qualcuno ma vogliono accertare fatti. La ringraziamo anche per quello che ha detto perché quello che lei ha detto – 14 anni di persecuzione – è estremamente importante e lo dico anche perché per inciso sono palermitano e quindi conosco meglio alcuni passaggi che per altri sono giornalistici mentre sono vita vissuta.
Volevo farle tre domande. Sulla vicenda di Pantelleria lei ha detto che avete avuto questo breve colloquio con De Donno in cui avete cercato di mettere insieme il rapporto ROS con il vostro lavoro. Da quello che percepisco, De Donno non penso che abbia avuto bisogno di approfondimento perché pensava di lavorare addirittura a qualcosa di molto più importante e il vostro fosse un pezzo di un qualcosa di molto più importante, perché nella vicenda di Pantelleria si parlava di 120 miliardi, ma chi conosce i dati dell’epoca sa che si parlava di migliaia di miliardi e per migliaia di miliardi si uccide. Quindi volevo capire che impressione ha avuto da questo punto di vista e poi così risponde con competenza.
Torniamo alla vicenda dell’immediatezza successiva alla strage, post 19 luglio. Dai verbali di Caltanissetta, lei ha partecipato al sopralluogo nella casa privata del giudice Borsellino, quindi ha avuto modo di verificare lo stato delle carte del dottor Borsellino. Immagino fosse una casa di cui avesse frequentazione e quindi ha potuto verificare se ci fosse disordine o un qualcosa di diverso nell’ordine delle carte. Le chiedo se ne ha tratto, credo di sì, un processo verbale di acquisizione. Come ha detto, è stato trasferito – ha usato il termine «deportato». Le chiedo se lei ha avuto modo poi di scrivere su quanto aveva acquisito in quella perquisizione nell’immediatezza della strage.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Per rispondere all’ultima domanda, non ricordo se ho scritto, ma credo di aver riferito al dottor Vaccara perché fu lui che mi disse di verificare. Il dottor Borsellino a casa sua aveva la scrivania. Appena si entrava c’era la scrivania dove c’erano le cose sue. Io guardai sulla scrivania e non è che andai nelle stanze, assolutamente. Non era una perquisizione mirata e soprattutto – purtroppo non c’è più la signora Agnese, ma glielo avrebbe potuto dire Agnese Borsellino – la drammaticità del momento era di cercare l’agenda rossa. Di questa agenda rossa, scusi il termine, se ne sono fregati tutti, tutti, non si salva nessuno! L’agenda rossa non l’ha cercata mai nessuno, io l’ho dichiarato a novembre 1992, nessuno ha mai dato una risposta sull’agenda rossa. Il signor capo della squadra mobile di Palermo disse ad Agnese Borsellino che l’agenda era andata distrutta, questo è quello che mi disse Agnese Borsellino all’indomani, quando andai a trovarla. Poi arrivò questa famosa borsa che io ho in fotografia perché la famiglia Borsellino l’ha regalata a Manuela Canale. La borsa la detengo io a casa mia, la volevo affidare all’Arma dei Carabinieri, ma qualcuno mi disse che era meglio di no perché era una reliquia tutta particolare e non avrebbero saputo come fare. Non voglio fare polemica con i miei superiori. La borsa conteneva finanche la batteria del cellulare di Paolo Borsellino, perfettamente funzionante, tant’è che la batteria andò a finire a Bartolo Iuppa che la usò per un anno-due anni. Quindi com’è che l’agenda si era persa? Com’è che si era persa, dov’era l’agenda? Ricordo perfettamente che quei giorni vidi il professore Tricoli che mi disse che Paolo Borsellino stava scrivendo sull’agenda qualcosa legato all’interrogatorio. L’indomani, il lunedì o il martedì, saremmo dovuti ripartire per la Germania. Avevamo aperto uno squarcio nel mondo agrigentino di inimmaginabile portata, siamo stati i primi ad arrivare ad Agrigento. Volevamo capire cosa ci fosse dietro alla morte del maresciallo Guazzelli, cosa ci fosse dietro la morte del povero magistrato che quando siamo arrivati da Marsala io e Paolo Borsellino sul luogo, era ancora là buttato a terra senza un lenzuolo, Livatino. Eravamo in servizio a Marsala e con Borsellino siamo partiti e siamo arrivati per primi sul posto. La Procura di Caltanissetta arrivò molto dopo. È successa una guerra tra Borsellino e i suoi colleghi. Fu una cosa impressionante vedere quel povero Cristo buttato a terra senza che nessuno si adoperasse.
PRESIDENTE. Può dirci qualcosa di più, perché Borsellino aveva raggiunto dei risultati su questo punto.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Ma certo! Stavamo lavorando su Agrigento. Mi ero fatto affiancare, grazie alla cortesia dei miei superiori, quando ero al ROS di Palermo, da un brigadiere che era un eccezionale sottufficiale dell’Arma dei carabinieri che si chiama Arturo Trementini e aveva prestato servizio nella zona di Palma di Montechiaro. Conosceva molte cose e io me lo affiancai. Siccome a Marsala in quel periodo c’era confinante uno della famiglia Ribs, non ricordo come si chiamava, mi adoperai e cominciai a contattare questo signore. Speravamo con Paolo Borsellino che attraverso Ribs Pietro – pensavamo da sempre questo con Paolo Borsellino – volevamo arrivare alla cattura di Totò Riina perché eravamo convinti che ci fosse un legame fra Riina e la provincia di Agrigento, che era abbandonata a livello di indagini.
PRESIDENTE. Era uscito il nome di Salamone?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Del costruttore? Di Salamone, non mi ricordo bene. Però Salamone l’ho trattato quando ho lavorato su un appalto che c’è stato a Marsala. L’ho denunciato assieme ad altri della ditta perché si erano fatti anticipare 6 miliardi per un lavoro, la famosa bretella a scorrimento veloce di Marsala. Feci le indagini e denunciai Salomone e qualche altro, con Paolo Borsellino, indipendentemente dal fatto che fosse fratello di Salamone, magistrato di Agrigento. A noi nulla importava.
PRESIDENTE. Grazie, la lascio alle risposte al senatore Russo.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. La questione di De Donno è un fatto incidentale per noi. Noi non sapevamo che De Donno stava lavorando non solo su Pantelleria, attenzione, ma su una serie di appalti per tutta la Sicilia. Ricordo che ci fu un’espressione brutta detta da De Donno, mi dispiace doverla ripetere. De Donno disse – credo che l’abbia detta Borsellino o a me, non ho più ricordi – che: «Questi con niente hanno fatto tutti sti arresti e noi con una montagna di cose non abbiamo fatto nulla!». Quasi quasi De Donno mi invidiava per la verità, perché io avrei operato con niente, secondo lui, per me invece quello che avevo trovato io era un mostro. Ho detto che c’erano il porto di Pantelleria per un totale di 120 miliardi di lire di allora, poi tre serbatoi idrici dove era interessato il signor Siino con il signor Cascio, poi la litoranea, poi il mattatoio. Quando ho preso tutti quegli appalti, avevamo un mondo là dentro. Nominai un ausiliario di polizia giudiziaria, un ingegnere di cui non ricordo il nome, per farmi elencare matematicamente tutti questi appalti e poi lavorarci. Nel frattempo, ci sono stati il morto a Pantelleria, i soldi dei risparmiatori su cui abbiamo fatto arresti: però io non li ho mai trascurati. Solo che Antonio Ingroia si occupava degli appalti, la dottoressa Camassa dell’omicidio di Enzo d’Angelo, il dottor Russo si occupava dei soldi truffati – 2 miliardi ai panteschi e guardi che i panteschi vivono tutti di pensione, guai a toccare loro la pensione. Avevano truffato 2 miliardi, arrestai tutti, feci il fermo di polizia giudiziaria, li portai tutti in carcere, mica scherzavo, ecco perché mi considerano un pessimo maresciallo perché sono molto cattivo. Non sono cattivo, ho cercato di fare giustizia, non cattiverie, assolutamente, mai cattiverie, mai. Quindi De Donno praticamente lamentava questo. Che noi avessimo fanno tutto questo lavoro e loro con un gran malloppo niente. Continuo a parlare sempre della figura di Giovanni Falcone. Quando Paolo Borsellino telefonò a Falcone per chiedere notizie di questo rapporto – io seppi che l’avevano consegnato a Giovanni Falcone – Falcone negò a Borsellino inizialmente, tant’è che gli dissi che bell’amico che aveva. Credo di aver riportato nei verbali una cosa del genere, non ricordo più, sono passati trent’anni. Falcone spiegò poi il perché. Lui se n’era andato via sostanzialmente pure per questa storia, lui non faceva più il pubblico ministero, erano gli altri che facevano i pubblici ministeri, ma lui zero, era un benemerito passacarte, era diventato un cancelliere Falcone. La figura di Falcone non andava trattata così, ma qualcuno ha chiesto mai spiegazione a Giammanco? Lascio a lei di andare a verificare se qualcuno chiese a Giammanco, soprattutto quando dissi che Borsellino si preparava ad arrestare Giammanco, non credo che Borsellino l’abbia detto perché era impazzito. Io dico che aveva qualche cosa nelle mani che bruciava veramente e qualcuno si è spaventato, non lo so chi, ma certamente nel mondo dei palazzi ci sarebbe da verificare chi è stato, ci sarebbe da verificare, a cominciare dal capo della Polizia con il quale sono avvelenato per questa storia, perché lui ci impose, tramite Giammanco, la polizia di Stato e Borsellino fece la cena degli onesti. Il capo della polizia era Parisi, anche se io sono stato portato a dire che era in buoni rapporti con Borsellino. Che dovevo dire? Ma non era vero. Era una mera bugia, la prenda come uno sfogo.
PRESIDENTE. Stiamo andando a conclusione.
SAVERIO CONGEDO. Velocissimo. Anzitutto la ringrazio, colonnello, per la lucidità con cui ha relazionato.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Ho 77 anni, vorrei che fosse chiaro alla Commissione.
SAVERIO CONGEDO. Portati straordinariamente bene, le ore sono volate grazie anche alla sua verve. Lei ha già detto che accompagnava spesso il dottore Borsellino nelle sue trasferte romane o anche all’estero.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Fu Giammanco a negarmene alcune.
SAVERIO CONGEDO. Lo ha accompagnato anche in quella trasferta romana del 17 luglio?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. No, l’ho spiegato purtroppo. Era vietato per Carmelo Canale seguire Paolo Borsellino perché se no io sarei qua a raccontare tutto quello che era successo. So solo una cosa che la cena, la famosa cena che fece con il dottor Natoli, l’altro sostituto, il dottor Lo Forte, e l’onorevole Vizzini, chi ha pagato fu Paolo Borsellino, me l’ha detto lui.
SAVERIO CONGEDO. Le ho fatto questa domanda per ragioni che non sfuggiranno né a lei né ai colleghi perché fa parte della storia d’Italia. Volevo chiederle le sensazioni che aveva provato in quel ritorno dal viaggio insieme a Paolo Borsellino, quando non passò dal tribunale e andò direttamente dalla signora Agnese con la quale si fece una passeggiata e pronunciò quella frase rimasta storica che la signora Agnese ha raccontato ai PM, cioè che aveva visto in faccia la mafia.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Questa frase, credo di poterla collocare, non proprio così, sui viaggi che fa su Roma. Sono i tre viaggi che lui fa su Roma. Uno lo fa con il dottor Aliquò e lì incontra Parisi e vicino a Parisi c’è Contrada e Contrada sa di Mutolo. Beh non gliel’ha raccontato mica Carmelo Canale di Mutolo a Contrada. Qualcuno lo doveva anche accertare chi è che si è mosso per dire a Contrada che c’era Mutolo che collaborava.
SAVERIO CONGEDO. Sembrerebbe fosse di ritorno da un interrogatorio.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. Sto arrivando a quello che diceva lei. Credo di collocare questa storia durante questi tre viaggi. Il primo credo fosse il primo luglio. L’altro viaggio che lui fa con me, ed è il secondo viaggio – però prima andiamo in Germania – andiamo anche a Roma. C’è il terzo viaggio, che è l’ultimo, dove non ci sono purtroppo e dove io mi sento con Borsellino. Sono stato quasi non creduto del fatto che io chiamai Borsellino o chiamò lui me alla Sezione anticrimine, non ricordo più, però stranamente ebbi successivamente la contezza di vedere che Borsellino con me non si era mai parlato con il cellulare. Per carità, ho un ricordo diverso. La domenica, alle 7 del mattino, testimoni i figli di Borsellino, fatevelo dire – la signora Agnese purtroppo non lo potrà più riferire – tutte le domeniche alle sette squillava il telefono di casa mia perché voleva sapere che stavo facendo. Si può chiamare un maresciallo dei carabinieri, che per un giorno è a casa, alle 7 del mattino? Lui aveva questo pensiero di sapere che stava succedendo. Alle 7 del mattino svegliava la famiglia, eravamo in tre, mia moglie era felicissima, mia figlia poi non ne parliamo. Magari poteva chiamare alle 9, ma lui doveva fottere i palermitani un’ora prima!
PRESIDENTE. La ringrazio e vado a chiudere questa audizione con una domanda che forse le suonerà strana e poi veramente la lascio. Il dottor Borsellino le parlò mai di sue indagini sul terrorismo?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. No, mai. Non ricordo che Borsellino facesse queste indagini. Nulla vieta che magari le stesse facendo con la Polizia o la Finanza. Posso parlare delle indagini che faceva con i Carabinieri, ma io non ho mai sentito da Borsellino parlare di terrorismo, ma nulla vieta che le facesse, non posso azzardare nulla.
PRESIDENTE. Mi sembra che avevate un rapporto che racconta che forse sapeva abbastanza di quello che faceva. Proprio sulle cose che sa di Borsellino, lei in una sua deposizione dice che Falcone, una volta arrivato alla Procura nazionale antimafia, avrebbe voluto mettere su uno staff che riprendesse quello che aveva fatto il generale De Donno e si occupasse di mafia-appalti e dice anche: «È poco ma sicuro che Borsellino pensava che tra le cause della morte di Falcone ci potesse essere anche mafia-appalti». Questa è una sua deduzione o Borsellino glielo disse?
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. No, Borsellino ne parlava, noi ne parlavamo di mafia-appalti, tra l’altro, dopo il famoso incontro alla caserma Carini, ne abbiamo parlato diverse volte!
PRESIDENTE. Lei capisce che fa la differenza se è una deduzione o se è un ricordo.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. No, niente deduzione, qua è un ricordo certo e assoluto di quello che diceva Paolo Borsellino, ma io mi ricordo ancora una volta – e mi dispiace se non mi sono fatto capire – che lui legava mafia-appalti alla nostra questione perché io volevo andare fino in fondo, noi avevamo centinaia di miliardi a Pantelleria. Poi avevo preso un impegno con dei consiglieri comunali, mi ero spinto fino a oltre con questa gente, dicendo di stare tranquilli che la giustizia sarebbe arrivata. Non lo so poi cosa hanno fatto, questo non glielo so dire.
PRESIDENTE. Speriamo di poterlo dire anche noi. La voglio ringraziare e la mando da sua moglie. Siccome apprezzo quello che ha fatto qui oggi, tutto quello che lei può mandare a questa Commissione, che ha preparato o che sta preparando, lo faccia, perché per noi è importante che la giustizia, che lei ha avuto con una assoluzione, la possano avere anche tutti gli attori di questa storia triste che ha bisogno di verità.
CARMELO CANALE, tenente colonnello in congedo. La mia assoluzione va legata alla figura della buonanima di Borsellino. Io non ho tradito Borsellino, sono stati altri che l’hanno tradito, ma veramente, disonesti e mascalzoni.
PRESIDENTE. La sua commozione parla per lei. Dichiaro conclusa l’audizione.
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