Una giornata di polemiche. La Fondazione in una nota aveva ricostruito quanto accaduto il 23 maggio, attaccando l’ex sindaco di Palermo. “Non possiamo dimenticare che lui fu uno dei peggiori nemici istituzionali di Falcone”. E in serata scoppia un altro caso, sul Web. La Fondazione: “Sembrava un profilo fake”.
E’ una giornata carica tensione dentro l’antimafia. La Fondazione Falcone replica a chi ha parlato di “strumentalizzazioni politiche” dietro l’anticipo della commemorazione del 23 maggio, “per evitare le contestazioni del corteo”: “Si è trattata solo di una papera”. Nello stesso comunicato, si bacchetta l’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che proprio sull’anticipo di dieci minuti aveva espresso parole pesanti: “Gli chiediamo un silenzio dignitoso”, dice la nota della Fondazione, accusandolo di essere stato “negli anni più difficili, uno dei peggiori nemici istituzionali di Giovanni Falcone”. Lui replica: “Sono stupito di questo attacco”. Replicano anche le associazioni che hanno organizzato il corteo, definendo “insoddisfacenti” le parole della Fondazione Falcone. A tarda sera, scoppia un altro caso.
A denunciarlo è Salvatore Borsellino, il fratello del giudice Paolo: “La Fondazione Falcone ha cancellato il mio commento a un loro post su Facebook. Lo trovo penoso”.
Ma cosa diceva quel commento sul profilo della Fondazione Falcone? Salvatore Borsellino bacchettava la Fondazione per aver scritto che Pietro Grasso aveva fatto parte del pool antimafia: “Spero non siano queste le informazioni che date al Museo del Presente”, questo il commento. La Fondazione replica: “Da un’analisi dei nostri social media manager, il post in questione proveniva da un profilo con pochi follower, per questa ragione quel post è apparso non attendibile”.
Salvatore Borsellino aveva scritto dalla sua pagina personale, che ha 4833 amici, non proprio pochi. Lui rilancia: “Adesso, mi hanno pure bannato dal loro profilo Facebook, questo è un gesto proprio spudorato. Non riesco a crederci. Eppure – prosegue il fratello di Paolo Borsellino – qualche giorno fa la signora Falcone aveva dichiarato che con Salvatore Borsellino lei non ha mai litigato. Infatti non ha litigato, aveva solo dichiarato in passato che bisogna ignorarmi. Che mi ignori pure, ma qui non si tratta di ignorare, si tratta di cancellare quello che scrivo, questa è una offesa non accettabile”. Intorno alle 22.30 Salvatore Borsellino accusa: “Adesso, mi hanno pure bannato dal profilo. Stessa cosa accaduta a persone che avevano fatto commenti ritenuti non in linea”.
Il comunicato della Fondazione
La giornata era iniziata con la replica della Fondazione Falcone alle polemiche per il 23 maggio. Questo il comunicato: “Ogni anno, Palermo si stringe attorno all’Albero Falcone. E ogni anno, puntualmente, c’è chi cerca di trasformare un momento di memoria collettiva in un pretesto per polemiche di parte ideologica, facendo politica con l’antimafia. Oggi come allora. Quest’anno, “l’errore imperdonabile” che ha scatenato indignazioni costruite è stato l’anticipo di pochi minuti della lettura dei nomi delle vittime, affidata – con senso di responsabilità e profondo rispetto, come accade da sempre – a Pietro Grasso. Un gigante nella storia della lotta a Cosa Nostra, componente storico del Pool antimafia, già procuratore nazionale antimafia e presidente del Senato, amico vero di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e anche componente della nostra Fondazione”.
Così la Fondazione Falcone ricostruisce quanto accaduto il 23 maggio davanti l’albero Falcone, ammettendo di avere fatto una “papera” con un riferimento implicito alle papere collezionate dal magistrato esposte al Museo del Presente. “È stato lo stesso Grasso – prosegue la nota – ad assumersi la responsabilità di quanto accaduto. Ma il presidente non si deve scusare di nulla, perché – come abbiamo scritto pochi minuti dopo la lettura dei nomi – la memoria non è un cronometro, ma impegno in ogni momento della nostra vita. Sotto l’Albero, sul palco organizzato dalla Fondazione come ogni 23 maggio, non c’era alcun politico a parlare. Non una passerella, ma un presidio di memoria. C’erano le voci di migliaia di studenti arrivati da tutta Italia, orgogliosi di essere lì per ricordare i loro eroi. Le loro mani alzate, le lacrime, gli abbracci, i cartelloni: tutto raccontava la verità di un Paese che non dimentica”.
La Fondazione Falcone, prosegue la nota, “non ha mai avuto paura delle contestazioni, né ha mai fatto politica. Tra le tante voci che si sono levate in questi giorni, una su tutte – straordinario simbolo di incoerenza – respingiamo con forza, sul piano morale prima ancora che politico: quella del professor Leoluca Orlando. Perché non possiamo dimenticare che lui fu, negli anni più difficili, uno dei peggiori nemici istituzionali di Giovanni Falcone, contribuendo con parole e azioni a isolarlo e a delegittimarlo, fino a costringerlo a difendersi davanti al Csm. E non si è mai scusato. A lui, e solo a lui, chiediamo almeno per una volta – con rispetto ma con fermezza – un silenzio totale. Un silenzio dignitoso. Un silenzio dovuto. La memoria non si difende con l’applausometro. Si difende con la coerenza, con l’impegno, con la verità. E soprattutto con la responsabilità. Anche ammettendo, come adesso, che abbiamo fatto una ‘papera’”.
La replica dell’ex sindaco Orlando arriva nel pomeriggio: “Ho letto con stupore la nota della Fondazione Falcone nella parte in cui vengo attaccato esclusivamente per avere espresso un’opinione che qui ribadisco: anticipare il minuto di silenzio non è mai accaduto in trentadue anni di commemorazioni e i tanti giovani del corteo chiedevano solo verità storica oltre la verità giudiziaria spesso incompleta o depistata sulla stagione delle stragi del 92 e del 93”. Secondo Orlando, “aver suonato il minuto di silenzio in anticipo ha contribuito ad alimentare un clima di sfiducia, tensioni e divisioni nel mondo dell’antimafia che da sempre ha visto nell’Albero Falcone un luogo e un momento di memoria e di impegno civile”.
“L’attacco alla mia persona – conclude Orlando – si unisce allo spazio dato a politici organica espressione di condannati per mafia quali Cuffaro e Dell’Utri. Insieme a quell’unica mia dichiarazione resa al termine della manifestazione all’Albero ribadisco, oggi come in passato, il diritto di chiedere la verità storica essendo spesso la verità giudiziaria incompleta o depistata. Ribadisco, inoltre, la necessità di contrastare non soltanto i mafiosi che sparano, ma il sistema di potere mafioso nelle sue articolazioni istituzionali deviate, con tutte le sue coperture politiche e con i collegamenti con trame eversive e massoneria”.
La protesta delle associazioni
Nel pomeriggio arriva anche una pesante replica degli organizzatori del corteo: “Prendiamo atto delle scuse di Pietro Grasso, rilasciate a Repubblica Palermo, prendiamo atto anche della sua disponibilità a incontrare le realtà promotrici del corteo. Tuttavia, quanto accaduto non può essere liquidato come una semplice papera, come invece ha banalizzato la Fondazione Falcone con un comunicato a dir poco deplorevole e offensivo, che auspichiamo venga rettificato”. Lo scrivono in una nota Our Voice, Collettivo giovanile, Attivamente, Giovani Cgil Palermo, Udu Palermo, Collettivo Rutelli, Sindacato Regina Margherita, Collettivo Sirio.
“Alle parole di Grasso ci saremmo aspettati scuse e spiegazioni credibili e dettagliate da parte di Maria Falcone, presidente della Fondazione. È troppo comodo – aggiungono le sigle – scaricare tutta la responsabilità sull’ex senatore Pietro Grasso, quando l’organizzazione dell’evento era nelle mani della Fondazione Falcone. Il corteo si trovava visibilmente nei pressi dell’Albero Falcone, al grido ‘Fuori la mafia dallo Stato’. E invece, alle 17.58, sul palco non c’era più nessuno, e la Fondazione, insieme alle autorità, si era già allontanata a bordo delle berline, quasi di corsa, come testimoniato da molti presenti, tra cui Giovanni Paparcuri, già collaboratore di Falcone e autista di Rocco Chinnici“.
“Come già accaduto nel 2023, con le manganellate delle forze dell’ordine, anche stavolta – osservano i promotori del corteo – si è aperta una ferita profonda, che impone una risposta da parte di Maria Falcone. All’epoca non espresse alcuna solidarietà. E venerdì scorso si è ripetuto lo stesso copione: un comunicato stampa sterile, in cui ha cercato autoassoluzioni, affermando che ‘la memoria non è un cronometro’. Una frase offensiva per un’intera città. Terribile, invece, è l’immagine che da troppo tempo la Fondazione restituisce alla città: quella di isolamento e indifferenza verso le istanze popolari”.
Salvo Palazzolo (La Repubblica) 25.5.20225
FONDAZIONE FALCONE
Memoria, verità e responsabilità: oltre le polemiche
La bella Intervista dell’ex Presidente del Senato e già Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso chiarisce in modo limpido e inequivocabile quanto accaduto lo scorso 23 maggio sotto l’Albero Falcone.
Le sue parole ci commuovono e ci trovano perfettamente d’accordo. Condividiamo pienamente la sua volontà di spiegare, di dialogare e soprattutto di ricucire e unire: era ed è questo lo spirito del precedente comunicato, abbiamo sbagliato nei tempi, non ce ne siamo accorti e abbiamo ammesso l’errore avendo piena consapevolezza che le 17.58 del 23 maggio segnano la coscienza di tutti gli italiani.
L’Albero Falcone è di tutti, non appartiene a nessuno e nessuno può rivendicarne la paternità. È un luogo simbolico, collettivo, universale. Dal 23 maggio 1992, sotto di esso si riunisce la parte migliore del Paese: chi crede nel sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, chi si commuove ancora nel pronunciare i loro nomi, chi – senza bandiere, senza veleni – continua a ritrovarsi ogni anno in quel presidio di legalità, memoria e speranza.
È questo lo spirito che da sempre anima la Fondazione Falcone: fare della memoria un luogo di coesione, non un pretesto per spaccature ideologiche.
Eppure, oggi più che mai, sembra essere il giorno degli haters.
Siamo di fronte a un’ondata di attacchi livorosi, in tanti provenienti – guarda caso – da profili social appena creati senza storia né identità, mossi da un’unica regia: colpire la Fondazione, denigrarne l’impegno, infangarne la credibilità. Una strategia codarda e organizzata, che nulla ha a che fare con il confronto democratico e con la libera critica.
Per questo la Fondazione Falcone non replicherà più a chi, nonostante le parole di Pietro Grasso, nonostante le spiegazioni già fornite, continua a chiedere scuse che non spettano, e a distribuire responsabilità infondate. Non risponderemo più a chi, anziché custodire il 23 maggio come giorno sacro di memoria, lo trasforma in un’arena di aggressione.
Sorprende chi continua a insistere sull’anticipo di pochi minuti nella lettura dei nomi delle vittime sotto l’Albero Falcone, ma evita accuratamente di rispondere all’accusa ben più grave: quella di essere stato, in vita, uno dei più feroci delegittimatori di Giovanni Falcone. Questa non è un’opinione, ma una verità storica del nostro Paese. Una pagina che nessuno potrà mai cancellare.
Con lo stesso rigore, rifiutiamo i toni irricevibili usati da chi, come la famiglia Falcone, ha vissuto in prima persona le stesse tragedie e gli stessi dolori ma ha scelto ancora una volta l’attacco personale. La Fondazione Falcone non accetta lezioni di coerenza né di verità da chi si arroga il diritto di decidere chi sia degno e chi debba essere censurato, chi possa ricordare e chi debba tacere.
Chi pretende rispetto, deve per primo praticarlo. Noi continueremo a lavorare in silenzio, con determinazione, nel solco tracciato da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
La memoria non è un trend da cavalcare, né una bacheca social su cui riversare rancore. È un impegno quotidiano, un’eredità da onorare con coerenza, studio e passione civile. La memoria non si difende con l’odio, ma con la responsabilità. Non si coltiva nella polemica, ma nel servizio quotidiano alla Giustizia. La Fondazione continuerà a farlo, come ha sempre fatto, senza rispondere più a chi cerca visibilità con il veleno e con la rabbia.
Il 23 maggio è e resterà il giorno dell’Italia migliore. Il giorno del ricordo, dell’impegno, della speranza.
E noi continueremo a difenderlo da ogni tentativo di profanazione con la voce serena di chi cerca la verità.
Povera Palermo con le sue vergogne e la sua antimafia fuori orario
La strage di Capaci si è commemorata con una decina di minuti d’anticipo. Un silenzio partito alle 17,48 anziché alle 17,58, l’ora esatta del massacro, per evitare un contatto fra chi stava sul palco e chi stava protestando per strada. Due mondi lontanissimi in una città ripiombata nella sua palude
Ma cosa passa per la mente dei detentori ufficiali del ricordo, dei proprietari del pensiero dei loro (ma oserei dire anche nostri) eroi, dei grandi cerimonieri degli anniversari di Palermo? Cosa passa per la loro testa quando, ormai assuefatti nel piegare i fatti a esigenze molto personali o politiche, riescono perfino a cancellare le date, spostare le lancette dell’orologio, stravolgere il tempo? Ho sempre saputo di una mafia spaventosamente puntuale, adesso ho fatto conoscenza anche di un’antimafia che può andare fuori orario.
Forse dovremmo vergognarci come si è vergognato Giovanni Paparcuri, l’uomo al quale il giudice Falcone aveva affidato ogni suo segreto d’indagine, che l’altra sera, quella del 23 maggio, se n’è tornato a casa sconvolto perché la strage di Capaci all’Albero Falcone si è commemorata con una decina di minuti d’anticipo. Un silenzio partito alle 17.48 anziché alle 17.58 – ora esatta del massacro – per paura di proteste contro alcuni uomini politici e per non farsi contaminare da padri con i figli in braccio, sindacalisti, studenti, rappresentanti di associazioni. Tre squilli di tromba frettolosi e poi tutti via per evitare una vicinanza fra chi stava sul palco e chi per strada, più che due antimafie ormai due mondi lontanissimi, due Palermo che non si parlano più e che non si parleranno ancora per molto tempo.
C’è qualcosa di perverso in ciò che sta accadendo in Sicilia trentatré anni dopo la bomba di Capaci e l’auto saltata in aria in via Mariano D’Amelio, Falcone e Borsellino, simboli agitati alla bisogna, usati per fini non sempre dicibili ma diventati fonte di fratture insanabili. “La memoria non è un cronometro”, ha ribattuto la Fondazione Falcone, cioè Maria Falcone, sorella del giudice, a coloro i quali non hanno digerito la rapidità della celebrazione.
C’è qualcosa di grottesco in questa povera Palermo che si ritrova ogni 23 maggio in mezzo a beghe e a scandali, protervie e finzioni. Una volta il sindaco che non c’è, una volta la polizia che carica, oggi le lancette dell’orologio truccate. Povera Palermo. Attraversata da una retorica sempre più insopportabile, nascosta dietro un’ipocrisia pericolosa, la città “formale” si specchia anche in un Museo del Presente inaugurato da Maria Falcone e al suo fianco il governatore Renato Schifani, nominato campione dell’antimafia sul campo. Paradossi siciliani. Con lui che ricorda, dopo più di tre decenni, «di avere avuto l’onore di collaborare con Giovanni Falcone quando era giudice fallimentare e ho conosciuto una persona pratica e schietta e da lui ho imparato il pragmatismo delle decisioni».
Ormai tutti possono dire tutto e su tutti tanto nessuno li smentirà mai, nessuno mostra più rossore, nessuno ha più confini in una Palermo che non riesce a liberarsi da sé stessa dopo avere lottato e sperato. È ripiombata nella sua palude con tutti che gridano “abbiamo vinto e la mafia è stata sconfitta”.
L’ha fatto un anonimo signore sul palco vicino all’Albero Falcone poco dopo i tre beffardi squilli di tromba e l’ha fatto il governatore Schifani, più solennemente e prudentemente, aggiungendo un meno perentorio “quasi”.
Ma l’aria che tira e già da un po’ è questa. La mafia in ginocchio, lo Stato che ha vinto, i boss tutti in galera, le persone perbene libere e fuori. E sempre in nome e per conto di Giovanni Falcone.
Andarono così le cose anche nei mesi a cavallo fra la fine del 1987 e l’inizio del 1988. Si era appena concluso il maxi processo in primo grado con una raffica di ergastoli, tutti urlavano che lo Stato aveva vinto e la mafia aveva perso grazie a Giovanni Falcone e al suo genio. Meno di tre mesi dopo l’eroe Falcone fu implacabilmente bocciato al Consiglio superiore della magistratura come consigliere istruttore, messo fuori gioco dai colleghi che cento giorni prima l’avevano osannato. Gli preferirono un collega più anziano che non si era mai occupato di mafia: una garanzia.
Tanto la mafia era stata sconfitta per sempre. Poi sappiamo bene cosa è successo.