Quattro modi di (non) essere imprenditori

 di Lionello Mancini

di Lionello Mancini
 
Nel suo libro “Operazione Penelope” (Mondadori, 2012), il magistrato Raffaele Cantone ripropone una classificazione dell’imprenditoria quanto a relazioni con la criminalità organizzata. Le quattro tipologie indicate da Cantone – frutto della sua esperienza come pm antimafia in terre di camorra – hanno una caratteristica che le rende interessanti.
Come indica lo stesso autore, il libro trae spunto dai suoi articoli scritti per alcuni quotidiani a partire dal 2007, rivisitati alla luce di eventi e conoscenze successivi. Dunque le definizioni, forgiate nel calore delle inchieste (da “Spartacus” in poi) hanno confermato la loro fondatezza, tanto da venire riproposte. Valide – dunque – le analisi di allora, ma purtroppo ancora attuali le figure descritte da Cantone.
Il camorrista imprenditore. È un soggetto inserito appieno nell’organizzazione criminale, spesso con ruoli di vertice, che marginalmente svolge attività commerciali o imprenditoriali.
L’imprenditore vittima. È ‘estorto, quello che paga il pizzo, non necessariamente in denaro. In questa categoria rientrano molti imprenditori onesti che non hanno la forza di sottrarsi alle intimidazioni. Talvolta, però, specie nei piccoli centri di provincia, il rapporto vittima-carnefice può evolvere in qualcos’altro, l’imprenditore può essere tentato di chiedere favori in cambio dei pagamenti di lavoro, e rischia di trasformarsi in un “imprenditore fiancheggiatore”.
L’imprenditore di riferimento. Si presta a intestazioni fittizie di beni, aziende e attività. Imprenditori magari tecnicamente capaci, che mettono il loro know how a disposizione delle mafie, ottenendone commesse e appalti pubblici. Questo impresario, formalmente in regola con certificazioni e iscrizioni, subappalterà parte dei lavori a imprese vicine ai clan. In questo modo, elargendo posti di lavoro e guadagni, procura quel consenso sociale necessario al controllo criminale del territorio, godendo di vantaggi sui concorrenti anche per l’utilizzo delle cosche per risolvere qualunque tipo di problema.
L’imprenditore fiancheggiatore. Di solito è l’evoluzione della vittima che, essendo estranea alle cosche, chiede (e ottiene) favori ai suoi estorsori: per recuperare crediti, ottenere finanziamenti agevolati (un’usura a basso interesse), risolvere controversie con i dipendenti, accedere più facilmente alla Pa. In questa categoria rientrano anche grandi imprenditori che vincono grossi appalti pubblici in aree controllate dal crimine organizzato. Per prevenire problemi, attraverso opportuni mediatori, il fiancheggiatore si garantisce tranquillità nei cantieri e si offre di pagare i boss locali.
Questa, in estrema sintesi, la classificazione. E così conclude lo stesso Cantone: «Un punto risulta chiaro: è necessario recidere i rapporti “incestuosi” tra le mafie e l’impresa se si vogliono raggiungere risultati concreti nella lotta alla criminalità organizzata. Non si otterrà mai nulla arrestando solo estorsori o sicari. Va infatti bonificato quel terreno di coltura che consente ai germi negativi di proliferare. Terreno che, purtroppo, è rappresentato spesso da imprese che lavorano in modo illegale e spregiudicato.
 
Sole 24 ore. 3 settembre 2012