Voti e mafia, spunta un imprenditore bresciano

Non si trattava solo di offrire voti in cambio di soldi. Parecchi. Il sistema criminale che nei giorni scorsi ha scatenato al Pirellone una bufera tale da far finire venti persone in carcere per associazione mafiosa intesseva ben altre trame illecite. Caratterizzate da «stretti vincoli soggettivi, scambio di attività illecite e reciproco sostegno in caso di problemi»: «un’associazione mafiosa sostanzialmente unitaria», come introduce il gip Alessandro Santangelo nelle sue 544 pagine di ordinanza, che si avvaleva «delle forza di intimidazione, della sua capacità persuasiva di controllo del territorio in Milano e nelle province limitrofe, e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà imposte nei confronti degli stessi membri dell’associazione ma anche di esponenti di commercio, imprenditoria, politica, istituzioni pubbliche locali». Elezioni, certo, ma in gioco c’erano anche appalti, commesse, potere. E nel mirino anche piccoli industriali, magari in difficoltà: bersagli perfetti per le cosche e i suoi fedelissimi.

Proprio come Angelo Mulé, nato a Licata (Siracusa) nel 1954 ma residente nel Bresciano, a Travagliato. Che con Eugenio Costantino, 51 anni, calabrese residente nel Milanese, attore operativo sul campo per conto delle famiglie calabresi ramificate in Lombardia – i Morabito-Bruzzaniti-Palmara, i Barbaro-Papalia, «l’ala militare» dei Di Grillo-Mancuso – avrebbe intessuto rapporti d’affari. Non solo. Dall’indagine emerge che insieme a Liberio Rossi (alias «Paolo»), bergamasco classe 1962, Mulé fosse «dedito a truffe societarie»: Costantino li avrebbe quindi «proposti quali vittime di condotte e di progetti estorsivi al gruppo criminale Di Grillo-Mancuso»… A Rossi il raggiro è costato 20 mila euro. E manco si era accorto delle persone con cui stava avendo a che fare, nel luglio del 2011. Perché stando alla ricostruzione degli inquirenti «l’affare viene procurato da Costantino, che conosceva da tempo Rossi e sapeva del suo coinvolgimento in una serie di truffe societarie.

Nel caso specifico, Costantino evitava di coinvolgere il gruppo capeggiato da Sabatino Di Grillo, avvalendosi per l’estorsione dell’apporto di Alessandro Gugliotta (che gli si presenta come “calabrese” di un non meglio specificato gruppo criminale) e Ciro Simonte», altro malavitoso, napoletano di Casoria. Gugliotta «gli chiede, dando prova di conoscere bene i suoi affari poco puliti e facendo ricorso a specifiche minacce per la sua incolumità, 60 mila euro». Ma ecco che l’imprenditore, spaventato, si rivolge proprio a Costantino, credendolo amico e sapendo – secondo l’accusa – dei suoi collegamenti con la cosca Di Grillo-Mancuso. Vuole protezione. E «la commedia» prosegue, fino a che la posta in gioco non si riduce a un terzo. Ed è stato proprio Costantino, fingendo di tutelare l’imprenditore, a organizzare un incontro a Settimo Milanese con Gugliotta (che non risparmia le minacce a Rossi: «Ti stacco la testa»).

Eccoli, i temi e i modi, le armi e la versatilità della criminalità organizzata, oggi. Quella che si avvale di uomini come Costantino, descritto dagli inquirenti come «un soggetto ambivalente, che da un lato occupa un ruolo di cerniera con gli ambienti politici e imprenditoriali…e, dall’altro, è in grado di intimidire e ricattare a più riprese l’assessore regionale Zambetti, eletto anche grazie ai suoi voti alle elezioni regionali 2010, e a partecipare a spedizioni estorsive…».

In sostanza, Costantino, per la magistratura risulta un esponente della ‘ndragheta per così dire «moderno»: «uno di quelli che non bada “alle capre”, non si sporca, sempre ben vestito e dotato di una certa cultura, capace di relazionarsi all’esterno della consorteria mafiosa. Gravato da un precedente per bancarotta fraudolenta e appartenente a una famiglia in origine non mafiosa che ha deciso di stringere, per sua convenienza, rapporti organici con esponenti di spicco della ‘ndrangheta lombarda». Ed è a lei che lui ma non solo mette quindi a disposizione «il suo patrimonio di conoscenze e la sua rete di relazioni», senza dimenticare di partecipare in maniera attiva ad alcune azioni criminali e violente.

È questo che fa, la criminalità organizzata: approfitta anche dell’inserimento dei «suoi» nel tessuto commerciale lombardo – come analizza il giudice – per individuare le pedine deboli del mercato. Imprenditori e commercianti in difficoltà finanziaria che si trasformano, per le cosche, in «operazioni di recupero crediti» da portare a compimento. Ricavi da ottenere con l’intimidazione. Ma «nei rapporti con gli imprenditori lombardi che alla cosca chiedevano aiuto, Costantino era autorizzato dai vertici ad offrire la protezione del sodalizio mafioso». 
Una sorta di business che non è mai bilaterale. E dal quale sganciarsi non è facile. Perché come ha spiegato anche il procuratore generale della Repubblica di Brescia «la ‘ndrangheta si presenta da coloro che gestiscono il potere non come una forza pericolosa, ma che seduce». Anche a suon di cultura, oltre che di quattrini. E di voti. E di appalti. Come quelli edilizi, dai centri commerciali ai supermercati, che alla malavita fanno gola tanto quanto lo smaltimento illecito di rifiuti.

Mara Rodella13 ottobre 2012 | Corriere della Sera