Solo 4 aziende su 100 confiscate alle mafie sono ancora oggi attive sul mercato. Una sconfitta per lo Stato che su 1.516 imprese sottratte definitivamente alla criminalità organizzata ne vede morire giorno dopo giorno 1.449: senza ordini e dipendenti. In due parole: senza futuro.
Basterebbero questi numeri, nudi e crudi, per ricorrere ai 63 manager (tra cui 10 donne, selezionati tra più di 250), inseriti nella white list che oggi Assolombarda, nel corso di un convegno organizzato a Milano con l’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati, Fondirigenti e Aldai, consegnerà allo Stato per contribuire alla gestione del patrimonio tolto alle mafie.
Per attingere a questi professionisti (e a coloro che saranno formati nell’ambito di un progetto nazionale tra la stessa Assolombarda, Fondirigenti, Aldai e Agenzia nazionale) bisognerà però modificare – a costo zero – la legge relativa all’Albo degli amministratori giudiziari al fine di avvalersi anche di figure manageriali non iscritte all’albo stesso. «L’impiego di queste professionalità, al fianco di quelle dell’amministratore giudiziario in maniera strutturale, fin dall’inizio del procedimento cautelare, nelle fasi di valutazione, gestione e definizione delle opzioni di destinazione, potrebbe dare un decisivo contributo alla sopravvivenza e allo sviluppo delle imprese», afferma da tempo l’Associazione degli industriali lombardi.
Quella odierna rappresenta l’ennesima tappa di Assolombarda verso il recupero di migliaia di beni confiscati. La tappa più strutturata, visto che i risultati dello studio condotto dai 63 manager su un gruppo di aziende, non lasciano dubbi. Solo quattro aziende sulle 67 complessivamente attive in Italia, operano in Lombardia, (terza regione dopo Sicilia e Campania per numero di confische) e occupano appena 16 dipendenti.
Se il presente è fosco, il futuro è nero, motivo in più per accelerare sulla gestione manageriale dei beni. I dati del ministero della Giustizia indicano in 4.102 le aziende per le quali sono stati emessi provvedimenti cautelari negli ultimi cinque anni ma di queste l’Agenzia nazionale non dispone di alcun dato circa la consistenza patrimoniale, il settore, il modello di business, l’andamento economico e commerciale, l’organico, tutti dati che dovrebbero essere invece messi sotto osservazione già dalle prime fasi del procedimento e ritenuti fondamentali per una corretta gestione delle imprese e per la preparazione del progetto di destinazione, qualora si giungesse alla confisca definitiva.
«Ciò ridurrebbe sensibilmente il rischio di depauperamento del potenziale di business – si legge nel rapporto che giungerà sul tavolo del ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri – e in ultima analisi di fallimento delle imprese sottratte alla criminalità organizzata, che invece sembra manifestarsi ad una analisi a posteriori del fenomeno».
Le analisi di Assolombarda – che da anni sta attirando l’attenzione di politica e classe dirigente sulle infiltrazioni al Nord, visto che il suo presidente, Alberto Meomartini, ne fa un punto irrinunciabile della cultura industriale – vanno in profondità, sottolineando che nelle regioni settentrionali il fenomeno mafioso assume connotazioni diverse, più complesse da decifrare e far emergere.
«La contaminazione, il contagio – si legge nel rapporto – avvengono attraverso il mercato dei capitali, grazie ai quali masse di denaro sporco giungono alle imprese creando meccanismi di dipendenza e zone grigie in cui liberamente si muovono, esercitando potere e controllo, i rappresentanti più evoluti e competenti della criminalità organizzata».
Per questo, conclude Meomartini, è richiesta una evoluzione del modello di gestione delle imprese sottratte alla criminalità rispetto a quello finora adottato soprattutto al Sud.
Sole 24 Ore
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