Di Lionello Mancini
Di Lionello Mancini
«I costruttori – ha spiegato il vicepresidente dell’Ance, Vincenzo Bonifati – torneranno a chiedere l’obbligatorietà dell’iscrizione alle white list», perché «su base volontaria il sistema non funziona» e perché serve «un criterio di valutazione omogeneo da Reggio Calabria a Milano. Questo lo può fare lo Stato, non un privato». Perplessità che paiono condivisibili, perché sarebbe assai positivo che ogni impresa ammessa a qualunque titolo in cantiere fosse già stata ufficialmente dichiarata al riparo da infiltrazioni mafiose; così come sarebbe auspicabile l’adozione di un criterio omogeneo di valutazione per definire gli standard di affidabilità.
Ma dato che la realtà è ancora diversa, resta sospesa una domanda: perché, da quando si parla di white list, una parte della filiera delle costruzioni ne chiede la rigida e obbligatoria applicazione ad alcuni segmenti, ma non a tutti? Il nodo non è stato ancora sciolto e restano altissimi i rischi per entrambi i contraenti di un accordo che si rivelasse segnato da contagio criminale e dunque da rescindere sui due piedi, in base alle leggi e ai protocolli di legalità.
Proviamo a spiegare. Prendiamo l’Osservatorio interministeriale sul calcestruzzo che segnala casi di anomalia, oppure la magistratura che pone sotto sequestro una ditta di movimento terra, di smaltimento rifiuti o di guardiania, per il sospetto di mafia. In casi simili – basta leggere i giornali – emergono due possibili contesti: o all’origine del rapporto fornitore-cliente c’è una imposizione, una prepotenza magari armata, ma allora non si comprende perché manchi una denuncia per minacce o per estorsione; oppure risulta che quel calcestruzzo, quella guardiania o quello smaltimento, hanno trovato spazio sul mercato proprio perché costano meno grazie alla violazione di standard e leggi (mezzi, sicurezza, contributi, eccetera), falle del tutto percepibili dal contraente, cliente, committente.
La conseguenza di questo meccanismo è che il fornitore affidabile e qualificato non viene messo fuori mercato dalla mafia, ma dall’atteggiamento di una clientela che “premia” la violazione delle regole, perché nell’immediato ciò pare garantire un risparmio. Falso: il risparmio miope, basato sull’assenza di controlli e non su un’idea forte di impresa, innesca costi ben più alti perché quando un costruttore si trova a dover tagliare un contratto di fornitura, a cacciare una ditta irregolare, a resistere davanti al Tar contro il suo inevitabile ricorso e, magari, a essere schizzato dal fango di un’inchiesta penale, tutto il risparmio se ne va in avvocati e in reputazione. Perciò, non sarebbe più sicuro per i costruttori stessi – i quali giustamente pretendono di interloquire con fornitori radiografati e garantiti – chiedere a loro volta di essere esaminati, controllati e inseriti in una white list o qualificati dalle stellette del rating di legalità.
Sole 24 Ore 29.4.2013