La responsabilità è il primo antidoto contro il malaffare

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Di Lionello Mancini
 

 
Di Lionello Mancini
 

È un peccato che certe notizie restino confinate nelle cronache locali perché, spesso, proprio negli episodi meno mediaticamente pompati si colgono le migliori lezioni su cosa significhi “legalità partecipata”, cioè poggiata sull’abitudine dei singoli a fare il proprio dovere.

Alcuni esempi lombardi. Il 14 maggio, a Trezzano sul Naviglio (Milano) finiscono in manette due assessori, il comandante dei vigili urbani, e poi professionisti, tecnici comunali, imprenditori. Secondo la Dda di Milano, in «un pesante quadro di corruttela e illegalità, agivano pubblici amministratori asserviti agli interessi di imprenditori e professionisti abili nel mascherare il pagamento di tangenti».

Tra gli episodi, anche il tentativo di spostare un asilo per far posto a un parcheggio, in cambio di una tangente da 500mila euro, già versata per metà. Proprio lo stesso giorno, a Desio (Monza), l’Arma arresta sette persone, tra cui funzionari pubblici e imprenditori locali in combutta tra loro per accaparrarsi appalti di manutenzione, sempre assegnati alle stesse ditte, peraltro collegate a mafiosi ben noti. Secondo gli investigatori, il giro di mazzette e regalìe andava avanti da anni. Un salto di un mese ci porta al 5 giugno scorso, quando (altra iniziativa della Dda milanese) scattano otto arresti di imprenditori del movimento terra che imbrogliavano sullo smaltimento dei rifiuti, trescando e lucrando con personaggi calabresi ben noti tanto alla giustizia quanto negli ambienti di lavoro. L’operazione eseguita la settimana scorsa è un ennesimo rivolo (il settimo) dell’inchiesta Infinito-Crimine che risale al 2010. I Carabinieri hanno analizzato «operazioni illecite che vanno dal 2007 agli inizi del 2012».

Cosa ci dicono queste cronache locali? Alla prima notizia va aggiunto un dettaglio: cinque mesi fa, uno degli assessori trezzanesi arrestati, era stato denunciato dalla GdF perché nella sua cartoleria erano stati trovati 70 chili di “botti” non in regola. In un Paese meno assuefatto all’illegalità, per un fatto simile un amministratore pubblico sarebbe saltato via dalla poltrona, si sarebbe scusato con gli elettori e sarebbe stato sostituito.

Nel caso dei rifiuti, è da escludere che per cinque anni nessuno (costruttori, direttori lavori, capicantiere, operai, sindacalisti, trasportatori, tecnici comunali, agricoltori) abbia saputo nulla né notato l’andirivieni di camion che riempivano di schifezze ettari ed ettari di cave. Il punto è che ripulire correttamente la terra inquinata costa 35 euro a tonnellata, mentre buttarla in discarica fingendo che sia pulita ne costa solo 10.

L’inchiesta di Desio, invece, è partita da una segnalazione del capo dell’ufficio Contratti e appalti del Comune, che lamentava un incongruo andirivieni di donne (per lo più romene) nell’ufficio del funzionario poi arrestato, il quale, oltretutto, abbandonava spesso il posto di lavoro per raggiungere proprio gli imprenditori con cui trescava.

Se ne deduce facilmente che se un capoufficio (o qualunque cittadino) assume le proprie responsabilità e fa semplicemente ciò per cui è pagato, anziché chiudere un occhio o entrambi per quieto vivere e disimpegno civico, certi fenomeni non potrebbero avvenire né radicarsi o potrebbero essere stroncati con la giusta tempestivitá.

Sole 24 Ore. 10.6.2013