Gela guarisce la sanità con la «231»

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di Lionello Mancini

Francesco Crimaldi, 45 anni, siciliano, è un medico prestato al management. Dalla società Sogesa, di cui è presidente, dipende la Casa di cura Santa Barbara di Gela, la prima clinica in Italia a essersi dotata di modello 231 e ad aver aderito al protocollo di legalità firmato nel 2010 tra l’Associazione ospedalità privata (Aiop) e Asp locale. Accordo firmato anche dalla Regina Pacis di San Cataldo (Caltanissetta).

«La sanità in Sicilia ha avuto dei gravi problemi. Noi vogliamo fare un passo avanti, prevenire i problemi – dice Crimaldi -. Certo, resto un imprenditore e non stacco gli occhi dal conto economico, ma nemmeno dimentico che produco il bene-salute».

Non serve dilungarsi su quanto il settore sia cruciale per i conti pubblici, né quanto sia esposto a vecchie pratiche corruttive oltre che alle pressioni criminali. Il fatto che nel cuore della Sicilia amministratori pubblici e manager privati si impegnino pubblicamente a seguire criteri di efficienza e trasparenza non è fatto di poco conto.

Alla base della scelta della clinica gelese, una filosofia imprenditoriale “olivettiana” (una mensa aziendale aperta a tutti, un micronido aziendale per le dipendenti mamme) e una stretta, dirimente collaborazione con l’Università di Palermo. Il fatto che Crimaldi sia anche il presidente dell’Aiop nissena non conferisce al caso un’irripetibile peculiarità: dimostra piuttosto l’importanza di porre le persone giuste al posto giusto.

Che cos’ha di particolare la Santa Barbara di Gela? Un codice etico, un servizio teso alla qualità, basato sul criterio-guida secondo cui è doveroso adeguarsi alla domanda e non «creare eccessi artificiosi di offerta, con un peso finanziario che spoglia la collettività a vantaggio di pochi». Strada impervia, specie in un settore nel quale i bilanci sembrano più affidati a “relazioni istituzionali” che non a capacità d’intrapresa.

L’Organismo di vigilanza della clinica di Crimaldi è nel Dipartimento di studi giuridici di Palermo, un’eccellenza in modelli di organizzazione aziendale mirati alla prevenzione dei reati. Proprio lì all’Università il think tank guidato da Giovanni Fiandaca ha creato un ambito interdisciplinare in cui si confrontano e si bilanciano tesi giuridiche e necessità aziendali. Un mix geniale, perché l’esperienza ha dimostrato che un modo troppo teorico di applicare i dettami della legge 231 può stroncare un’azienda, ma un’ottica troppo business oriented può – com’è accaduto – non essere sufficiente a dissipare i dubbi di qualche Procura.

Nel caso di Gela la spinta è venuta dalla volontà di non incorrere nelle sanzioni previste per l’errore di un primario, un medico o un manager. Perciò «ben consci di gestire in convenzione un servizio erogato con soldi pubblici» la mappatura del rischio ha analizzato le procedure nelle sale operatorie come i flussi d’acquisto, fino ai comportamenti dei singoli dipendenti/professionisti. Ponendo la stessa attenzione «alle pratiche burocratiche, per non complicarle o dilatarle inutilmente, sia alle liste d’attesa; tanto alla scelta dei fornitori, quanto al rischio ambientale dato dallo smaltimento dei rifiuti».

Non facile, certo: ma esistono altre strade, in Sicilia e altrove, per “guarire” e mettere in sicurezza la Sanità?

 

Sole 24 Ore 9.9.2013

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