di Lionello Mancini
di Lionello Mancini
La pattuglia scelta delle imprese con il bollino del rating di legalità ha appena raggiunto quota cento (www.agcm.it/rating-di-legalita/elenco.html). Davvero poche, considerando che decine di migliaia di realtà produttive possiedono le necessarie caratteristiche di base (fatturato di almeno 2 milioni, niente pendenze giudiziarie “pesanti”, carte in regola su ogni versante). Ma sono tantissime se pensiamo che dopo più di un anno la legge sul rating di legalità è rimasta monca proprio nella sua parte premiale. Ovvero, lo Stato e il sistema creditizio non hanno rispettato l’impegno loro spettante per legge e – perciò – questa élite non riceve alcuna contropartita se non quella reputazionale. Che nel nostro Paese resta purtroppo residuale. Dello stentato decollo del rating portano grande (anche se non esclusiva) responsabilità le banche: la norma prevede vantaggi nelle gare pubbliche e nell’accesso al credito, ma mentre il numero delle aziende con il bollino dell’Antitrust cresceva fino a 100, tutto il resto si è impantanato. Ed ecco allora un campione di frasi ricorrenti (anonime, ma rigorosamente autentiche) raccolte da chi sul rating ha scommesso, s’è impegnato e l’ha ottenuto.
Banche e appalti pubblici: «La banca con cui lavoriamo di più non ha dimostrato particolare attenzione, né ci sono state concesse migliori condizioni»; «Con le banche, almeno fino adesso, nessunissimo vantaggio. Speriamo di verificarne presto, al momento del rinnovo degli affidamenti»; «I rapporti con le banche sono rimasti invariati, la nostra azienda era affidabile prima e affidabile è rimasta; la burocrazia è inalterata, nessuna semplificazione nelle procedure di partecipazione a gare pubbliche»; «Il rating va bene com’è, però mancano del tutto la parte attuativa e operativa, manca il regolamento; e così le banche possono continuare a non riconoscere alcun vantaggio»; «Va sensibilizzata la committenza pubblica, per noi sarebbe un alleato indispensabile. Invece gli episodi deprecabili continuano».
Vantaggi: «No, non ci siamo pentiti di aver scelto la via del rating e anzi lo vogliamo migliorare»; «Al momento nessun vantaggio effettivo però, è la nostra esperienza diretta, il rating è stato utile per superare un problema di certificazione antimafia a un nostro amministratore»; «Rifarei la richiesta perché lo reputo un buon riconoscimento alle tante aziende fatte da persone oneste, corrette, che cercano di svolgere l’attività in base a certi valori. È chiaro che dovrebbe concretizzarsi qualche premialità»; «Il rating ha procurato all’azienda una notevole visibilità ed è un bene per noi che siamo ogni giorno in contatto con migliaia di utenti/clienti. Purtroppo, niente di più».
Per fortuna quei 100 pionieri del rating non si arrendono davanti a quanti boicottano trasparenza e legalità, cioè quelle lobby sorde e potenti che tirano giù la saracinesca in faccia alle imprese – a partire dalle più affidabili e meritevoli – proprio mentre il costo del denaro sarebbe più accessibile (al netto dei 3-4 punti di spread che viene appiccicato sopra) e mentre i capitali di mafia dilagano portando ossigeno velenoso a chi cerca con fermezza aria pulita.
Sole 24 Ore 3.2.2014