Quando ci preoccupavamo di come fosse possibile far quadrare i conti a fronte del Fiscal Compact non sapevamo che l’Eurostat aveva in serbo una soluzione geniale in grado di risolvere i nostri problemi. Incorporare dal 2014 nel Prodotto interno lordo le attività illegali di «traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (di sigarette o alcol)» per far decollare il valore assoluto del Pil. Con una rettifica dei conti che, verosimilmente, ridurrà i rapporti debito e deficit/Pil ridando smalto ai tanto temuti indicatori e riducendo il carico dell’aggiustamento richiesto dall’Unione Europea.
Peccato che l’economia illegale non paghi le tasse sui redditi (forse qualcosa di quelle sui consumi) e quindi quel Pil aggiuntivo che fa scendere gli indicatori del debito non porta in realtà risorse fiscali in grado di coprire gli oneri sul debito degli Stati.
La grande idea di Eurostat ci costringe a riformulare daccapo il mirabile discorso di Kennedy del 18 marzo del 1968 agli studenti del Kansas nel quale si elencavano tutti i “tesori” di una società (salute delle famiglie, qualità della loro educazione, gioia dei loro momenti di svago, solidità dei valori familiari, onestà dei nostri pubblici dipendenti, giustizia dei tribunali, equità..) invisibili al Pil. E tutte le sue “ferite” (code nel traffico che aumentano consumi di benzina, spese in sicurezza e cause legali, in armamenti, spese di ricostruzione dopo calamita o conflitti sociali) che lo fanno salire.
A questa seconda lista possiamo oggi aggiungere droga, contrabbando e prostituzione. In un elenco che così arricchito va a rinforzare la bellissima conclusione del discorso, nel quale Kennedy sottolineava come il Prodotto interno lordo «misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani». La revisione di Eurostat è una miniera d’oro per gli studiosi del famoso paradosso di Easterlin che sottolinea il disallineamento tra dinamica del Pil e della soddisfazione di vita. Come gli esperti del settore sanno, esistono almeno altre quattro spiegazioni per il disallineamento.
Primo, i beni materiali producono molta più assuefazione dei beni non materiali (adattamento edonico) generando un impatto sulla soddisfazione di vita limitato e di breve periodo.
Secondo, viviamo di confronti con i nostri simili e pertanto il miglioramento di benessere economico individuale in un contesto di diseguaglianze crescenti produce effetti molto ridotti sulla soddisfazione di vita.
Terzo, se anche vogliamo concentrarci sul solo benessere economico l’indicatore più opportuno è il reddito familiare disponibile dopo aver pagato beni e servizi pubblici essenziali e non il Pil.
Quarto, il forte declino della qualità della vita di relazioni dovuto all’atrofizzazione di virtù come gratuità, fiducia, capitale sociale nelle società occidentali spiega una parte importante della divaricazione nella soddisfazione di vita/Pil osservati (e anche la ridotta fertilità economica di organizzazioni ed imprese).
Quinto, il mercato spinge sempre più ossessivamente verso il consumo di beni di comfort che producono dipendenze e quindi domanda stabile riducendo però la qualità della vita delle persone.
Da tempo le istituzioni internazionali hanno costruito indicatori compositi alternativi al Pil per misurare il benessere. E l’Italia è, da questo punto di vista, all’avanguardia per essere stata tra le prime ad aver seguito le indicazioni della commissione Stiglitz con la costruzione dei 134 indicatori di Benessere Equo Sostenibile (Bes) negli 11 domini indicati dai rappresentanti delle parti sociali (salute, istruzione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, qualità dei servizi, benessere economico, ambiente, paesaggio e territorio, sicurezza, istituzioni, relazioni sociali, ricerca e innovazione).
Il Bes è stato anche indicato nell’ultimo documento di economia e finanza del governo come criterio da considerare per la valutazione d’impatto delle leggi. Se dopo questa geniale rettifica di Eurostat sarà ancora e solamente il Pil, e non anche un indicatore di benessere composito come il Bes, ad indicare la rotta non potremo poi lamentarci del fatto che la nostra società ha smarrito la bussola del ben-vivere e del bene comune.
Avvenire 26.5.2014