Di Lionello Mancini
Di Lionello Mancini
L’Autorità anticorruzione si avvia (non senza ostacoli: alcuni oggettivi, altri meno) a dispiegare la sua operatività, iniziando dalle urgenze dell’Expo e del Mose, dopo le scioccanti ramazzate giudiziarie sui due mega-appalti. Il sito dell’Anac (www.anticorruzione.it) si popola di rapporti, richiami e delibere, mentre il Governo sforna misure per completare il profilo dell’Authority guidata da Raffaele Cantone, definirne gli strumenti e gli ambiti di intervento. È dunque ovvio che l’articolo 30 del neonato Dl 90 (“Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”) si concentri sul caso-Expo. Qualche riflessione meritano, invece, le parti dedicate più in generale alla “gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione” (articolo 32). Riflessioni da “bicchiere mezzo pieno” – diciamolo subito – che intendono sottolineare l’importanza di quella prevenzione, che annuncia di voler perseguire il decreto in vigore dal 25 giugno, che però risulta incentrato sulla (giusta) necessità di non bloccare le opere pubbliche, quand’anche emergano “fatti gravi e accertati” di corruzione e simili, in un’impostazione ancora troppo legata alla capacità di controllo della rete di prefetti, procure e forze dell’ordine. L’impresa, con la sua etica e le sue energie, resta sullo sfondo, come soggetto che – nel migliore dei casi – va “sostenuto e monitorato” da esperti, amministratori di nomina prefettizia, commissari, tutori di diverso profilo, fino alla sostituzione degli organi sociali per il tempo necessario all’esecuzione del contratto. Al di là dei termini usati e dei titoli scelti dal Governo per i capitoli del decreto, bisognerebbe convenire che la precipitosa (ancorché necessaria) attivazione di questi rimedi, di preventivo ha ancora poco, se non un fugace riferimento alle white list. La vera prevenzione, a tutt’oggi è affidata a leggi come la 231 e a meccanismi quali il rating di legalità. Migliorabili, certo, ma solo queste sollecitazioni, se riconosciute e adeguatamente premiate, pongono l’impresa al centro di una nuova cultura che renda appetibile e conveniente la scelta della legalità e della pulizia, in grado – in un tempo medio lungo, ovviamente – di mettere “fuori mercato” l’opacità e la tangente. Lo strumento penale ha dimostrato per l’ennesima volta di essere una lama affilata utilissima per recidere un’escrescenza criminale rara e isolata, per permettere al corpo sano di svilupparsi. Ma quando è un intero sistema a essere criminogeno o a prestarsi largamente alle necessità dei ladri, il compito delle guardie diventa l’inseguimento della corruzione e il fendente è sferrato in ritardo di mesi o anni. Un esercizio defatigante, costoso, frustrante, inutile. Lo ripetiamo, a scanso di equivoci: è del tutto condivisibile l’intento di aggredire il sistema politico/affaristico con strumenti più affilati e maggior determinazione politica. E smettendola, finalmente, con i fumogeni antimafia che distraggono dai danni della corruzione, ben più diffusi anche se non altrettanto intensamente percepiti come depauperanti il bene pubblico. Ma la prevenzione del fenomeno è una storia diversa, purtroppo ancora da raccontare
Sole 24 Ore 30.6.2014