Il 19 aprile del 2017 la Corte d’Assise di Caltanissetta ha condannato all’ergastolo Madonia e Tutino, accusati di strage e a a dieci anni di carcere i due pentiti minori che con le loro false dichiarazioni hanno mandato in carcere sette innocenti. Non doversi a procedere, invece, per Scarantino, grazie all’attenuante di essere stato “indotto a false dichiarazioni.
Le bugie che hanno tenuto in carcere sette innocenti per quindici anni costano dieci anni di reclusione ai falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci mentre la prescrizione salva incredibilmente il protagonista assoluto dei depistaggi della strage di via D’Amelio, Vincenzo Scarantino. I giudici hanno quindi accolto una nuova versione dell’eccidio riferita nel 2008 dal pentito Gaspare Spatuzza e hanno condannato all’ergastolo altri due mafiosi che fino ad ora erano rimasti fuori dalle indagini, Salvuccio Madonia e Vittorio Tutino, entrambi accusati di strage. Una sentenza, quella emessa dalla corte d’Assise di Caltanissetta, che incredibilmente riapre per l’ennesima volta la partita. Perchè Scarantino ha ottenuto a prescrizione grazie alla concessione delle attenuanti per essere stato indotto a rendere false dichiarazioni. Ma indotto da chi? Un interrogativo ancora senza risposte visto che, l’indagine aperta a Caltanissetta sui poliziotti accusati di aver costretto il pentito a rendere false dichiarazioni è stata archiviata. Ora, però, a riprendere in mano il fascicolo potrebbe essere il nuovo procuratore Amedeo Bertone che, dopo un duro confronto con le parti civili, nella sua conclusione davanti ai giudici aveva parlato di un “comportamento scorretto” dei poliziotti. Dopo la sentenza, Bertone commentò: ” Le indagini sulle stragi di mafia non sono ancora finite. L’impianto accusatorio ha retto, quindi sono soddisfatto per l’esito del processo. Credo che lo siano anche i familiari delle vittime, e comunque credo che sia stato un ottimo risultato, almeno dal mio punto di vista”. Il principale protagonista di quello che è stato definito un depistaggio di Stato, dunque, è stato salvato proprio da quei 26 anni che sono passati dalla strage ad oggi. Le sue prime dichiarazioni sono datate 1993, quando viene arrestato dall’allora capo del gruppo stragi Arnaldo La Barbera e si autoaccusa di aver rubato la 126 che, imbottita di tritolo, saltò in aria in via D’Amelio il 19 luglio 1992 all’arrivo di Paolo Borsellino. Solo undici anni dopo e dopo ben nove processi che in tutti i gradi di giudizio avevano accolto le false dichiarazioni di Scarantino, il pentimento di Gaspare Spatuzza ha acceso i riflettori sul grande depistaggio, indicando nel gruppo di fuoco di Brancaccio i veri esecutori dell’eccidio. Quella sancita dal verdetto del processo-quater resta comunque una verità monca perchè nulla dice di chi volle questo depistaggio e delle responsabilità di chi, tra investigatori e magistrati di allora, accreditò quella versione da subito sbugiardata da altri ben più solidi pentiti. In precedenza, il procedimento a carico di tre poliziotti del gruppo stragi accusati di aver costretto Scarantino a fare quelle dichiarazioni sotto minaccia e di aver suggerito le versioni da dare, si è concluso con un’archiviazione. Nessuna trattativa o depistaggio per l’Avvocatura dello Stato. Come vigorosamente denunciato da Fiammetta, terzogenita di Paolo Borsellino, neanche questo verdetto riesce a sciogliere i tanti buchi neri di questa inchiesta infinita. Il CSM, dal canto suo, a seguito delle sollecitazioni della famiglia Borsellino, ha acquisito le suddette motivazioni per valutare se dar corso o meno alla procedura di verifica sull’operato dei magistrati che si occuparono delle indagini su Via D’Amelio. La Procura di Caltanisetta l’8 marzo 2018 ha chiuso l’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio notificando a tre poliziotti l’accusa di calunnia in concorso. Conferme, e una raffica di condanne dalla sentenza di primo grado del processo alla c.d. Trattativa Stato-mafia.