Fiammetta Borsellino in carcere dai Graviano alla ricerca di verità

 

 

 

 

Da 8.629 giorni (ad oggi 20 maggio 2018)  in attesa di giustizia (prima udienza Borsellino uno  4 Ottobre 1994)

Sulla strage del 19 luglio 1992, dopo ben quattro processi, tre appelli e tre sentenze della Cassazione, anche a causa dei molteplici depistaggi più volte vigorosamente denunciati dalla figlia del magistrato, Fiammetta Borsellino, non è stata ancora fatta piena luce e non è stata restituita completa e convincente verità e giustizia alle vittime e ai loro familiari. Del processo Borsellino Quater, concluso il 20 aprile dello scorso anno,  a distanza di 395 giorni, non sono tuttora note le motivazioni della sentenza.  

Agli assassini di mio padre ho detto: raccontate la verità, solo così sarete uomini liberi

La lettera della figlia di Paolo Borsellino dopo la visita in carcere ai fratelli Graviano, accusati della strage. “Può vivere e morire con dignità anche chi è capace di riconoscere il male che ha inflitto”

di FIAMMETTA BORSELLINO

L’incontro in carcere con Giuseppe e Filippo Graviano è stato guidato unicamente da un lungo, complesso percorso personale e dettato da una forte e urgente esigenza emotiva. Ho sentito la necessità, in quanto figlia di un uomo che ha sacrificato la propria vita per i valori in cui ha creduto e per amore della sua terra, di dovere attraversare questo ulteriore passaggio importante per il mio percorso umano e per l’elaborazione di un faticoso lutto. Un incontro che ha assunto come unico motore la necessità di esprimere un dolore profondo inflitto non solo alla mia famiglia, ma alla società intera. La richiesta di incontro con Giuseppe e Filippo Graviano nasce dunque come fatto strettamente personale. E chiedo che tale debba rimanere.

Sono andata da Giuseppe e Filippo Graviano con l’idea che può vivere e morire con dignità non soltanto il magistrato che sacrifica la propria vita, ma anche chi pur avendo fatto del male è capace di riconoscere il grave male che ha inflitto alle famiglie e alla società, è capace di chiedere perdono e di riparare il danno. Riparare il danno per me vuol dire non passare il resto della propria vita all’interno di un carcere, ma dare un contributo concreto per la ricerca della verità. Si tratta di un contributo di onestà che gli uomini della criminalità organizzata devono dare principalmente a loro stessi, perché chi uccide, uccide la parte migliore di sé. E poi soltanto contribuendo alla ricerca della verità, i figli potranno essere orgogliosi dei padri.

Ora è importante che io possa continuare quel dialogo che è stato interrotto, con enorme dispiacere registro la mancanza di una risposta ufficiale da parte delle istituzioni preposte a fronte di una mia richiesta reiterata alcuni mesi fa.

E voglio fare un’altra considerazione. Pur nell’ambito del profondo rispetto che nutro per le istituzioni, e pur cosciente della complessità del percorso che deve portare i giudici della corte d’assise di Caltanissetta alla stesura delle motivazioni della sentenza del Borsellino Quater, da figlia ritengo che il passaggio di più di oltre un anno per il deposito del provvedimento sia un tempo troppo lungo. Anche dal deposito di quelle motivazioni dipende un ulteriore prosieguo dell’attività giudiziaria, della procura di Caltanissetta e del silente Consiglio superiore della magistratura, per far luce su ruoli e responsabilità di coloro che hanno determinato il falso pentito Scarantino alla calunnia. A causa di questo depistaggio, sono passati infruttuosamente 25 anni.

Giuseppe Graviano (Palermo, 30 settembre 1963) è il terzo per età dei quattro fratelli Graviano. Affiliato alla Famiglia di Brancaccio insieme al fratello maggiore Filippo, nel 1990 divenne reggente del mandamento di Brancaccio-Ciaculli insieme al fratello, sostituendo il boss Giuseppe Lucchese che era stato arrestato. I fratelli Graviano ebbero un ruolo importante nell’organizzazione delle stragi del 1993 a Firenze, Milano e Roma[1] e nell’omicidio di don Pino Puglisi. Sta scontando la pena all’ergastolo nel carcere di Opera, a Milano; è stato accusato da vari pentiti di essere stato lui ad azionare il telecomando dell’autobomba che uccise il giudice Paolo Borsellino e 5 uomini della scorta. Filippo Graviano (Palermo, 27 giugno 1961) sta scontando la pena all’ergastolo nel carcere di Parma. I due vennero arrestati il 27 gennaio 1994 a Milano.

 

RASSEGNA STAMPA

  • FATTO QUOTIDIANO 15.12.2018

Maggio 2018

FIAMMETTA BORSELLINO: ignorata mia richiesta avanzata un paio di mesi fa. Il silenzio è la cosa peggiore. Fiammetta ha appreso “in maniera ufficiosa” del no delle procure antimafia a rivedere i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano.

“Hanno ignorato la mia richiesta di un altro incontro e questa è la cosa peggiore che si possa fare”. Lo dice Fiammetta Borsellino, che ha appreso “in maniera ufficiosa” del no delle procure antimafia a rivedere i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss già incontrati dalla figlia di paolo Borsellino lo scorso 12 dicembre nelle carceri di Terni e L’Aquila. “Ho avanzato la nuova richiesta al Dap un paio di mesi fa – dice, per quanto il tempo in sia ormai una dimensione aleatoria, ritengo che il silenzio stia durando tanto”.   

 Il no dei pm a Fiammetta Borsellino ad un secondo incontro: ”Dai Graviano possibili depistaggi

Il ‘no’ agli incontri coi Graviano per tutelare Fiammetta Borsellino. Il rifiuto espresso da parte delle procure anche per salvaguardare gli sviluppi delle indagini

Il no delle procure antimafia alla richiesta di Fiammetta Borsellino di incontrare nuovamente Filippo e Giuseppe Graviano sarebbe stato deciso al fine di garantire la regolarità di eventuali futuri sviluppi processuali, e nel contempo tutelare la stessa figlia del magistrato dal rischio di sovraesposizione. Queste, secondo quanto appreso nel capoluogo toscano, le motivazioni del rifiuto espresso in modo unanime dalle procure di Firenze, Palermo e Caltanissetta. Fiammetta Borsellino era riuscita a incontrare i due boss il 12 dicembre scorso, nelle carceri di Terni e L’Aquila, per avere delle risposte sulla strage di via D’Amelio del ’92, dove il padre Paolo Borsellino perse la vita insieme agli agenti della scorta. Successivamente, un paio di mesi fa, la decisione di avanzare una nuova richiesta al Dap, che ha avuto parere negativo dei pm. (ANSA) 24.5.18

 Vedi anche

Strage di Capaci, il procuratore generale della Corte d’ Appello di Palermo Scarpinato: “In tanti sanno ma restano in silenzio”

L’accusa del magistrato sul “processo Borsellino” durante incontro a Palermo per ricordare Falcone e Borsellino.

L’atto d’accusa, durissimo, arriva alla vigila del 26esimo anniversario della strage di Capaci del 1992. Arriva dal procuratore generale Roberto Scarpinato che parla del “processo Borsellino” sui depistaggi, durante un incontro organizzato in occasione delle commemorazioni a Palermo per ricordare i magistrati uccisi dalla mafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: “È inquietante che ci sono tante, troppe cose, e quello che ancora più inquietante è che ci sono tante persone che sanno e che continuano a tacere. Perché?”, ha detto il magistrato che poi fa nomi e cognomi. “I Graviano, ad esempio, hanno ancora 50 anni e potrebbero rifarsi una vita, eppure stanno in silenzio. C’è una storia inquietante anche da questo punto di vista. Abbiamo avuto uno degli infiltrati, Luigi Ilardo, il primo che ci ha dato notizie preziose sull’artificiere della strage di Capaci, ci fece arrestare 15 capi importanti di Cosa nostra. Incontrò anche Provenzano per mesi, aveva anticipato che avrebbe rivelato degli scenari politici dietro le stragi. Ma è stato assassinato poco dopo. C’è una parte della storia che è segreta, ma purtroppo non è una novità”

Processo Borsellino, summa di tutti i depistaggi. Scarpinato, durante il suo intervento, ripercorre anche altre tappe dolorose della storia d’Italia: “Questo è un paese che non è riuscito a sapere la verità sulla strage di Portella della Ginestra del 1947, che inaugurò la strategia della tensione in Italia. Un paese che non è riuscito a conoscere la verità sulle stragi neofasciste. Sappiamo, però, con sentenze definitive che, ad esempio, per la strage di Bologna ci sono stati i servizi segreti che hanno depistato le indagini. Ed è angosciante dovere prendere atto che la storia dei depistaggi non si ferma alle stragi neofasciste, ma arriva fino ai nostri giorni. E il processo Borsellino è una summa di tutti i depistaggi della storia italiana”. E’ la denuncia del Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, nel corso di un incontro per ricordare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino alla vigilia del 26esimo anniversario della strage di Capaci. “Documenti spariti, la famosa agenda rossa, che sparisce nella immediatezza di un fatto immane- dice Scarpinato – quando ancora tutti sono stravolti dell’esplosione, c’è qualcuno che lucidamente prende la borsa e pochi minuti dopo la rimette nell’auto in fiamme. E non si capisce perché, perché se prendi la borsa la dai ai magistrati come corpo di reato”.

E continua: “Abbiamo dei falsi collaboratori, c’è un processo a carico di esponenti delle forze di Polizia che sono accusati di avere costruiti a tavolino questi falsi collaboratori – dice – abbiamo una intercettazione tra il collaboratore di giustizia Santino Di Matteo (il padre del piccolo Giuseppe Di Matteo sciolto nell’acido ndr) e la moglie, che parlano dopo pochi giorni dal sequestro del figlio. La moglie dice al marito: ‘Hai capito perché hanno sequestrato nostro figlio? Ricordati che abbiamo un altro figlio, non parlare mai degli infiltrati Pella polizia nelle stragi’ e non abbiamo mai saputo niente su questa”.

da Repubblica 22.5.2018

 

A cura Uficio Comunicazione Centro Studi Sociali contro le mafie – PSF