Premessa storica – Dalla Sentenza – BORSELLINO TER

  

Il 19 luglio del 1992 alle ore 16.58 innanzi al numero civico 19 di via Mariano D’Amelio, in Palermo, lo scoppio di una carica di esplosivo del peso stimato di circa 90 KG. occultata all’interno di una Fiat 126, poneva fine alle vite di sei persone, il Procuratore della Repubblica Aggiunto presso quel Tribunale dott. Paolo BORSELLINO, e gli agenti preposti alla sua protezione Agostino CATALANO, Vincenzo LI MULI, Claudio TRAINA, Emanuela LOI ed Eddie Walter CUSINA.

Veniva invece ferito altro appartenente alla Polizia di Stato addetto alla scorta del magistrato l’autista Antonino VULLO, scampato all’eccidio perché allontanatosi di qualche decina di metri verso il fondo cieco della via per fare inversione di marcia con la vettura.

La deflagrazione causava gravi danni ai palazzi circostanti, alle autovetture in sosta ed il ferimento di numerose persone che si trovavano nel raggio d’azione dell’ordigno.

Le modalità efferate dell’azione delittuosa, minuziosamente architettata e preordinata, erano del tutto simili a quelle che, neppure due mesi prima in Capaci, il 23-5-92, avevano portato all’uccisione del magistrato dott. Giovani FALCONE, direttore generale pro tempore degli Affari penali del Ministero della Giustizia, a lungo, in precedenza, Giudice Istruttore del Tribunale di Palermo e da ultimo Procuratore della Repubblica Aggiunto presso lo stesso Tribunale, della di lui moglie Francesca MORVILLO e degli agenti di scorta che viaggiavano con lui dilaniati sulla vettura fatta saltare con una potente carica di esplosivo, occultata sotto un cunicolo autostradale per il deflusso delle acque ed azionata da un telecomando a distanza lungo il tragitto dall’aereoporto di Punta Raisi verso il centro di Palermo.

Le inconfondibili connotazioni dell’attentato di via d’Amelio, rendevano di intuitiva evidenza, sin dalla fase immediata d’avvio delle indagini, che il fatto doveva ricondursi alla spietata strategia stragista posta in essere dall’associazione criminosa Cosa Nostra con le caratteristiche di una vera e propria sfida alle istituzioni della Repubblica.

Tanto veniva poi confermato dagli ulteriori sviluppi investigativi e dalle dichiarazioni dei collaboranti, non avendo allo stato assunto concretezza processualmente apprezzabile l’ipotesi pur da più parti avanzata circa la possibile sussistenza di piste alternative, ovvero di confluenze o di convergenza, rispetto alla ideazione ed alla consumazione mafiosa del crimine, di fonti e di apporti di altra natura, tra cui quelli legati ad apparati deviati dello stato o a gruppi portatori di diversi interessi politici ed economici con finalità destabilizzanti.

Le indagini preliminari sulla strage, dovevano subire una svolta sostanziale nell’estate del 96 (mentre gli altri due procedimenti cd “uno” e “bis”, rispetto al presente denominato “ter”, erano ormai in fase dibattimentale) a seguito del susseguirsi di concomitanti collaborazioni di alcuni soggetti di spicco in Cosa Nostra.

Il dott. Paolo BORSELLINO, obiettivo principale della strage, era stato recentemente nominato Procuratore Aggiunto presso il Tribunale di Palermo, dopo avere ricoperto le funzioni di Procuratore capo della Repubblica di Marsala e, prima ancora, di Giudice Istruttore sempre nel capoluogo siciliano, componendo tra l’altro, unitamente al dott. Giovanni FALCONE e ad altri Magistrati, il gruppo di altri colleghi formato in un primo tempo dal Consigliere Istruttore Rocco Chinnici e successivamente coordinato da Antonino Caponnetto. Il Magistrato aveva trattato i principali procedimenti di criminalità organizzata del distretto di Palermo, conosciuto le vicende storiche e criminali di Cosa Nostra – della quale comprendeva natura, pericolosità ed in gran parte organigramma – affrontando i gravi problemi scaturiti dalle dichiarazioni dei primi collaboratori di giustizia.

Proprio in quest’ottica il dott. BORSELLINO – da sempre ritenuto un pericolo per Cosa Nostra, secondo le dichiarazioni di numerosissimi collaboranti che hanno ricordato il suo inserimento nella “lista” dei soggetti da eliminare già molti anni prima – era divenuto un vessillo istituzionale nella lotta alla criminalità organizzata.

La strage di Capaci, avvenuta soltanto due mesi prima dell’assassinio del dott. BORSELLINO, aveva segnato, poi, un momento di particolare intensità nella vita del Magistrato per la scomparsa dell’amico Giovanni FALCONE, con cui condivideva conoscenze particolarmente approfondite del sistema mafioso siciliano e palermitano sfociate tra l’altro nell’istruzione del primo maxi-processo poi celebratosi a Palermo.

In particolare, sia Giovanni FALCONE che Paolo BORSELLINO avevano dato un sostanziale contributo alla formale istruzione del procedimento scaturito dai rapporti congiunti in data 13-7-82 della Questura e del Nucleo Operativo CC di Palermo c.d. ”de 162”  e sfociato nella sentenza – ordinanza del 8-11-85 di rinvio a giudizio di ben 466 imputati tra cui i componenti della  c.d. cupola o commissione provinciale di Palermo, ed i principali esponenti mafiosi regionali, per rispondere di complessivi 453 capi d’accusa tra cui quelli relativi a molti efferati omicidi susseguitisi nell’arco di quasi un decennio, oltre ai reati associativi ed a quelli concernenti estorsioni ed un ingente traffico di sostanze stupefacenti, con le connesse fattispecie satelliti. Il procedimento – indicato come I° Maxi-processo – era stato definito con la sentenza della Corte d’Assise di Palermo del 16.12.87 parzialmente riformata dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo in data 10.12.90, irrevocabile dal 30.1.92, affermativa di responsabilità per molti degli imputati di spicco nell’ambito dell’organigramma di Cosa Nostra, di cui venivano, per la prima volta, irrevocabilmente accertate, la natura unitaria, pur nella estensione territoriale all’intero ambito siciliano, e la struttura piramidale al vertice della quale si collocava l’organo centrale denominato Commissione o Cupola (Cass. Sez. I° 30/1/92 n.80 pagg.304-309).

Proprio in conseguenza della individuazione delle specifiche funzioni di governo effettivo, con funzioni anche punitive, di tale organismo di vertice la Corte di Cassazione nella stessa pronuncia (con radicale mutamento di indirizzo rispetto alla precedente giurisprudenza) aveva annullato con rinvio i capi assolutori dell’impugnata sentenza della Corte di Assise di Appello di Palermo relativi ai numerosi cd “omicidi eccellenti”, (ivi compreso quello del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Russo Domenico, avvenuto in via Carini di Palermo il 3-9-1982)  ascritti ai personaggi di vertice, primi tra essi RIINA Salvatore e PROVENZANO Bernardo, capi della fazione corleonese (uscita vincente dalla II° guerra di mafia) in qualità di mandanti, come appartenenti alla cupola mafiosa di Cosa Nostra nelle sue varie articolazioni territoriali.

La morte del collega FALCONE nell’immediatezza dell’affermazione in sede di legittimità del nuovo principio, già evidenziato nell’ordinanza di rinvio a giudizio del cd ‘Maxi 1’ relativo alla natura e alla struttura dell’associazione criminale Cosa Nostra, aveva, per altro verso, immediatamente illuminato Paolo BORSELLINO, sui pericoli che egli stesso correva da quel momento – fondati, come l’esperienza doveva poi dimostrare – di essere divenuto in realtà l’obiettivo primario da eliminare nella nuova ottica stragista, propugnata da Cosa Nostra, per ispirazione della dominante fazione corleonese. D’altro canto il Magistrato, per quanto i testi escussi sul punto hanno riferito nei diversi procedimenti, sembrava pervaso dal desiderio di portare avanti nel più breve tempo possibile – proprio per il consapevole timore di cadere vittima dell’attacco mafioso al pari di Giovanni FALCONE – alcune piste logico/investigative che gli avrebbero definitivamente chiarito il reale motivo della strage di Capaci.

Con esso il dott. BORSELLINO, si riproponeva di scoprire l’inversione di tendenza che sospettava Cosa Nostra avesse iniziato ad operare mediante l’aggressione ad esponenti simbolo degli organi istituzionali, tra cui taluni soggetti, connotati da un’opera di forte contrasto nei confronti della consorteria criminale, ed  altri (tra i quali On. Salvo LIMA) invece considerati vicini ad essa, cui quest’ultima addebitava però di non aver saputo prevenire l’esito infausto del cd maxi processo avanti la Corte di Cassazione.

Tali riflessioni, già da tempo in animo al dott. BORSELLINO e definitivamente maturate dopo la strage di Capaci, sono emerse da quanto hanno dichiarato i testi ed, in particolare, la vedova Agnese PIRAINO la quale, escussa nel procedimento a carico di Scarantino V. + 3 testualmente riferiva:

(mio marito) era preoccupatissimo e mi diceva “sino a quando ci sarà Giovanni vivo mi farà da scudo” Giovanni è morto ed era sì, molto, molto preoccupato. Mi diceva “faccio una corsa contro il tempo, devo lavorare, devo lavorare tantissimo, se mi fanno arrivare…Io ho capito tutto della morte di Giovanni…”