Fiammetta Borsellino news

Fiammetta 400 aran

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15 Novembre 2019 – Appello Borsellino Quater conferma le condanne

Fiammetta Borsellino: “Sentenza? Dal Csm silenzio indegno”  Denuncia “un silenzio indegno” da parte “del Consiglio superiore della magistratura” perché “non si è saputo assumersi la responsabilità di un procedimento, ma ha fatto da scaricabarile”. E’ la denuncia di Fiammetta Borsellino, la figlia minore, del giudice Paolo Borsellino, dopo la sentenza d’appello che ha confermato le condanne all’ergastolo dei due boss mafiosi Vittorio Tutino e di Salvino Madonia e dei due pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci. “Un silenzio non degno dei ruoli di questo organismo”.

E rivela anche di avere avuto un incontro “informale” con il vicepresidente del Csm David Ermini. “Dopo una intervista rilasciata a Fazio dice – Ermini mi ha chiamata e mi ha detto che voleva avere un incontro e voleva che restasse informale. In quella occasione cominciò a dare giustificazioni varie, tra cui che l’ex Procuratore generale della Cassazione Fuzio, che non aveva fatto l’istruttoria dopo che io, un anno prima ero stata da Fuzio. E poi lo scorso 18 luglio lo stesso Fuzio mi fece una lettera aperta vergognosa”.

Riccardo Fuzio, dopo aver lasciato il suo incarico perché il suo nome era comparso nelle carte dei pm che indagano su Luca Palamara, scrisse una lettera alla figlia minore del giudice. Nel documento sosteneva di non aver fatto in tempo ad aprire l’azione disciplinare contro i suoi colleghi indagati per depistaggio. “Doveva produrre atti e lavorare invece aveva altro da fare – dice oggi Fiammetta – tanto è vero che è stato coinvolto nella vicenda del Csm.”. “Ermini voleva che questo nostro incontro restasse informale – dice – ma non posso perché il silenzio del Csm è stato arricchito ora da chi ha preso parte a quella anomalia…”.

“Lo abbiamo ben chiaro che c’è stato il depistaggio, ma è frustrante dovere constatare che tutte le anomalie che sono state portate avanti dagli uomini delle istituzioni e che sono stati funzionali al depistaggio, oggi non sono chiarite. O, comunque, sono stati avviati dei procedimenti. Auspichiamo che si possa andare più a fondo”. “Alla luce di tutto questo – dice – c’è la conferma che si possa arrivare a un approfondimento” anche se continuiamo a constatare il silenzio indegno del Csm…”.

“Mi aspetto che ci sia un accertamento di responsabilità a più livelli, morale e giudiziaria. C’è la responsabilità disciplinare e gli accertamenti vanno fatti a più livelli“. E torna a parlare di Riccardo Fuzio, ex procuratore generale della Cassazione: “Non è stato capace di avviare una istruttoria che desse impulso al Csm – conclude – . Anche Ermini mi ha detto che se avesse avuto impulso dalla Procura generale potevano fare qualcosa”.

Fiammetta Borsellino, ‘frustrante che uomini Stato furono funzionali a depistaggio’  “Lo abbiamo ben chiaro che c’è stato il depistaggio ma è frustrante dovere constatare che tutte le anomalie che sono state portate avanti dagli uomini delle istituzioni e che sono stati funzionali al depistaggio, oggi non sono chiarite. O, comunque, sono stati avviati dei procedimenti. Auspichiamo che si possa andare più a fondo”. Così, all’Adnkronos, Fiammetta Borsellino, la figlia minore di Paolo Borsellino, commentando la sentenza d’appello del processo che ha confermato il depistaggio sulla strage. “Alla luce di tutto questo – dice – c’è la conferma che si possa arrivare a un approfondimento” anche se continuiamo a constatare il silenzio indegno del Csm…”.

ADNKRONOS

BORSELLINO SI ALZERA’ IL SIPARIO SU COLLUSIONI & CONNECTION PER IL DEPISTAGGIO? Borsellino, ci si avvia al quinto processo. Incredibile, da un lato, perché occorrono ben 5 processi dopo la strage di via D’Amelio, per provare a portare in un’aula di giustizia la vera storia di quel massacro fino ad oggi impunito e sperare che vengano finalmente sbattuti in galera i depistatori di Stato.

Il procuratore generale Lia Sava. In alto il processo Borsellino quater Una fortuna, dall’altro, perché è la prima volta che ci si avvicinerà alla verità, una verità atroce, perché potranno essere finalmente inchiodati alle loro responsabilità coloro i quali hanno ucciso Paolo Borsellino e la sua scorta per la seconda volta. E, fatto ancora più grave, non si tratterà in questo caso di mafiosi e capi cosca, ma di personaggi delle istituzioni, alte cariche fino ad oggi rimaste regolarmente a volto coperto.

Tutto ciò emerge a chiare lettere dalla sentenza d’Appello al Borsellino quater e, soprattutto, dalle dichiarazioni del procuratore generale Lia Sava all’esito, appunto, della sentenza.

Ma vediamo i tasselli dell’ennesimo mosaico: speriamo uno degli ultimi prima che venga fatta, una buona volta, giustizia su uno dei più atroci buchi neri nella storia del nostro Paese, per di più condito con il più grosso depistaggio di Stato, come è successo solo nell’omicidio di Ilaria Alpi Miran Hrovatin.

DALLA CORTE D’ASSISE LA CONFERMA DEL MAXI-DEPISTAGGIO La Corte d’Assise d’appello di Caltanissetta ha confermato in pratica la sentenza di primo grado e, accogliendo la richiesta della Procura Generale, ha condannato all’ergastolo i boss Salvo Madonia Vittorio Tutino, il primo come mandante ed il secondo come esecutore della strage di via D’Amelio. Condannati a dieci anni i falsi pentiti Francesco Andriotta Calogero Pulci, accusati di calunnia. E prescritto, sempre per il reato di calunnio, Vincenzo Scarantino, il personaggio chiave di tutta la vicenda. Ricordiamo che proprio sulle false accuse di Scarantino si sono basati i due primi processi taroccati, il Borsellino 1 e il Borsellino 2.

Arnaldo La Barbera Abbiamo più volte disegnato quello scenario. Il falso pentito Scarantino venne letteralmente costruito a tavolino, per fare in modo di trovare subito il mostro da sbattere in prima pagina. Anzi sette mostri, visto che proprio in base alle sue accuse vennero condannati in primo secondo e terzo grado (e liberati dopo aver scontato 16 anni) sette innocenti, mafiosi che comunque niente avevano a vedere con quella strage. Ad organizzare il tutto, secondo le accuse, che ora si stanno traducendo in un altro processo sempre in corso a Caltanissetta, alcuni poliziotti (quattro per la precisione) che all’epoca dei fatti avrebbero agito sotto la supervisione dell’ex questore di ferro Arnaldo La Barbera, che militava anche tra i servizi segreti. Ma La Barbera a quelle accuse non può più rispondere, perché è deceduto 15 anni fa. Sotto processo, quindi, i componenti del suo team di polizia, che costruirono il falso pentito Scarantino, minacciando lui e i suoi familiari, e insegnandogli a memoria il copione che avrebbe dovuto recitare in aula processuale. E così fu. Scarantino recitò quel copione, gli imputati vennero condannati. E solo le seguenti verbalizzazioni di Gaspare Spatuzza, molti anni dopo, hanno consentito di smontare quei castelli di bugie, false accuse, ricostruzioni del tutto inventate. Tanto per trovare colpevoli qualunque usa e getta e, soprattutto, costruire quel mostruoso depistaggio. Ed è stato poi lo stesso Scarantino a ricostruire in aula dettagli e tappe di quel taroccamento, facendo anche i nomi dei magistrati coinvolti in quella scientifica, perversa architettura giudiziaria.

IL MISTERO DELL’AGENDA ROSSA Ma eccoci alla terza inchiesta in corso alla procura di Messina. Riguarda appunto i magistrati che – di tutta evidenza – hanno coordinato le prime inchieste che hanno portato a quegli aberranti risultati del Borsellino   del Borsellino 2. Perché è chiaro che se la polizia si è mossa, non poteva farlo di sua spontanea iniziativa, ma erano necessari dei precisi imput da parte dei magistrati inquirenti. Elementare.

E così, sotto i riflettori della procura di Messina, sono finiti i primi pm del caso, Anna Maria Palma Carmine Petralia.

Nino Di Matteo E’ sfuggito per un pelo Nino Di Matteo, l’attuale icona antimafia, perché si è aggiunto solo in un secondo momento al team investigativo (e comunque la figlia di Paolo, Fiammetta Borsellino, l’ha tirato in ballo).

Il nome di Anna Maria Palma rimbalza anche nel giallo dell’agendina rossa di Paolo Borsellino, forse il più grosso mistero nel mistero. La famiglia Borsellino è convinta che lì si trovi una delle chiavi di tutto, che non sia mai sparita e che ad esserne in possesso siano ad oggi personaggi delle istituzioni.

A fornire una lettura della story è stata, due anni fa, la giornalista d’inchiesta Roberta Ruscica, autrice del libro “I Boss di Stato”. Nel corso della presentazione del suo libro a Napoli, infatti, raccontò di aver conosciuto proprio in quegli anni a Palermo Anna Maria Palma, la quale le aveva raccontato di quelle indagini e, soprattutto, del fatto di essere entrata in possesso di quella agenda rossa. Oggi più bollente che mai. Come mai Palma non ha mai fornito una esauriente spiegazione su questa vicenda?

E IL CSM TACE Ma torniamo alle ultime del processo d’appello che si è appena concluso a Caltanissetta. A Vincenzo Scarantino è stata riconosciuta (e si tratta di una ulteriore prova del depistaggio) l’attenuante di essere stato “indotto a mentire”. Nella sentenza si parla di “suggeritori esterni”. “Soggetti i quali, a loro volta, avevano appreso informazioni da ulteriori fonti rimaste occulte”. Una fitta rete di complicità, collusioni, connection e via delinquendo.

Commenta a caldo il legale di Scarantino, Antonio Balsamo: “Il dispositivo non ci coglie di sorpresa perché siamo consapevoli del fatto che sarebbe stata necessaria una gran dose di coraggio per assolvere Scarantino. Probabilmente i tempi non sono ancora maturi per dichiarare una simile verità. Prendiamo atto della sentenza e attendiamo le motivazioni per decidere sul da farsi”.

Eccoci alle molto attese dichiarazioni del pg Lia Sava: “Ci sono ulteriori sviluppi delle indagini che possono portare ad un Borsellino quinquies”. E poi: “Secondo la procura generale lo sviluppo delle indagini sta via via delineando altre strade che, se ovviamente riscontrate, possono far individuare altri soggetti che hanno potuto contribuire alle stragi”.

Oppure a depistare le indagini stesse, come fa capire: “I magistrati devono continuare a raccogliere prove certe di responsabilità penali che consentano di addivenire a sentenze definitive di condanna per tutti coloro, anche in ipotesi, esterni a Cosa nostra, che possono aver concorso, a qualunque titolo, e per qualsivoglia scopo, alla realizzazione della strage di via D’Amelio e che, successivamente ai tragici eventi, possono avere mosso i fili, in maniera da determinare il colossale depistaggio delle relative indagini”.

Commenta uno dei legali della famiglia Borsellino, Fabio Trizzino, marito della figlia Lucia: “Questa è una pietra miliare perché si afferma che Scarantino è stato indotto a depistare le indagini”. Poi: “il depistaggio è come aver ucciso Paolo Borsellino una seconda volta, è più grave della strage medesima, perché che i mafiosi fossero nemici del giudice si sapeva, che un tradimento di questi tipo potesse venire da uomini delle istituzioni la famiglia certo non se lo aspettava”. Anche se, pochi giorni prima di essere ammazzato, Borsellino diceva alla moglie: “A tradirmi saranno degli amici”.

Ribadisce l’avvocato Roberto Avellone, legale dell’unico agente sopravvissuto, Antonino Vullo: “E’ una ulteriore conferma che il depistaggio è stato perpetrato da uomini dello Stato, creando l’occultamento della verità”.

Durissime, nei confronti del Consiglio Superiore della Magistratura, le parole della figlia, Fiammetta Borsellino: “Un silenzio indegno. Il Csm non si è saputo assumere la responsabilità di un procedimento, ma ha solo fatto da scaricabarile”.

Ancora: “Lo abbiamo ben chiaro che c’è stato un depistaggio, ma è frustrante dover constatare che tutte le anomalie portate avanti dagli uomini delle istituzioni e funzionali al depistaggio oggi non sono ancora chiarite”. VOCE DELLE VOCI 16.11.19

FIAMMETTA BORSELLINO: Processo? 25 anni buttati al ventoSono venticinque anni buttati al vento, con pentiti creati a tavolino tra lusinghe e torture, condannati ingiustamente all’ergastolo“. Lo ha detto Fiammetta Borsellino lasciando la Prefettura dopo essere stata audita dalla Commissione nazionale antimafia. Riferendosi alla frase sulla “Procura massonica” di cui ha parlato, ha voluto spiegare: “Non parlo di Procura massonica, ma notoriamente si sapeva che Giovanni Tinebra avesse appartenenze di questo tipo. Si è detto in varie occasioni. Non mi risulta che ci siano mai state smentite. Ora ovviamente mi preme ribadire questo aspetto perché lo leggo a quelli che sono stati gli esiti dei processi”.  In questi 25 anni di conduzioni di indagini e processi doveva esserci una vigilanza, a nostro avviso questa vigilanza non c’è stata nella maniera più assoluta” , ha commentato.    “Da questa audizione in Commissione antimafia – ha detto – mi aspetto che ognuno faccia la sua parte, io non mi aspetto qualcosa in particolare, se non tutte quelle azioni che ciascun organo competente può mettere in campo. Ognuno per le proprie competenze”.  “Chiedo pubblicamente scusa – ha continuato parlando dell’ultimo processo di revisione di Catania che ha assolto gli imputati accusati dal pentito Vincenzo Scarantino – per uno dei più colossali errori giudiziari“.  “Non parlo in particolare di Nino Di Matteo. Sicuramente – ha detto -, durante i primi processi per la strage di via D’Amelio ci sono state gravissime omissioni e gravissimi errori e molte anomalie. E non sta a me stabilire se sono frutto di colpa, o frutto di dolo, o di inesperienza. Non sta a me deciderlo, L’unica cosa che rilevo è che sicuramente l’eccidio come quello di via d’Amelio non si meritava magistrati alle prime armi, questo è sicuro. Gli stessi magistrati hanno confermato di non essersi mai occupati di processi di mafia”.  “Mio padre voleva riprendere il dossier su Mafia e appalti dei Carabinieri del Ros“, ha poi sottolineato. “Posso ricordare l’intervista rilasciata ai francesi nei 57 giorni in cui si parlava di quei ‘cavalli’ che arrivavano e che erano altro – dice -. Mio padre non avrebbe rilasciato un’intervista di questo tenore se non avesse avuto a cuore questo tema”.  “Dopo la strage di via D’Amelio io e la mia famiglia abbiamo vissuto in solitudine, una solitudine – ha detto ancora Fiammetta Borsellino – che poi è stata confermata dal fatto che tutte quelle persone, amici, colleghi, poliziotti, che per 25 anni sono stati a casa nostra per sostenerci, ora si sono dileguate”. Alla domanda su quale spiegazione si sia data, dice: “Tengo per me queste riflessioni che riguardano una sfera emotiva e intima che non intendo condividere”.   Al termine della sua audizione in Commissione antimafia ha consegnato alla Presidente Rosy Bindi un dossier contenente una serie di documenti, tra cui la requisitoria del processo di Caltanissetta, la vicenda del collaboratore Vincenzo Scarantino e la lettera inviata da Ilda Boccassini alla Procura di Caltanissetta. “Nessuno sa se il depistaggio è stato frutto di incapacità o di un comportamento penalmente perseguibili”, ha commentato Rosy Bindi. ADNKRONOS 19.7.2017

FIAMMETTA BORSELLINO: La rivoluzione della normalità e la verità che non c’è  “E’ la prima volta, dopo tanti anni, che parlo in pubblico di mio padre, del nostro rapporto, oppure, più semplicemente, della mia scelta, fatta propria da tutta la mia famiglia, di fare qualche passo indietro rispetto ai tanti, troppi, che, senza averne titolo, hanno ritenuto opportuno appropriarsi di quegli spazi che noi familiari desideravamo non venissero occupati da nessuno.”“Amo ricordare di mio padre quella sua incredibile capacità di non prendersi mai sul serio ma al tempo stesso di prendersi gioco di taluni suoi interlocutori; queste qualità caratteriali l’hanno aiutato in vita ad affrontare di petto qualsiasi cosa minasse il suo ideale di società pulita e trasparente e ne sono sicura lo avrebbero accompagnato ancora in questo particolare periodo storico, in cui l’illegalità e la corruzione continuano ad essere fenomeni dilaganti nel nostro paese. Ancora oggi ringrazio mio padre per avermi fatto capire il reale significato della parola ‘vivere’ e del ‘combattere per i propri ideali’ per il raggiungimento dei quali, come disse più di una volta ‘è bello morire’.”Oggi ho trentanni, nel mio piccolo cerco di applicare ogni giorno al mio lavoro gli insegnamenti che mio padre mi ha trasmesso della sua stessa vita, cioè quell’intransigenza morale che, spiace rilevarlo, nella società palermitana nella quale opero e vivo appare davvero eccessiva, fuori dai tempi , anacronistica. Perdiamo il diritto dovere di educare alla legalità se non siamo i primi a dare l’esempio, anche dare l’esempio ci può costare l’isolamento.” – 20 luglio 2012

FIAMMETTA BORSELLINO:«Non far luce su tutte queste anomalie rischia di creare quei tanti buchi neri della storia italiana, dove convergono quegli attori e quelle inconfessabili ferite di un Paese che ha avuto molto da nascondere.  Aspettiamo non più procrastinabili risposte istituzionali, ma sembra quasi impossibile fare luce su questa storia, mai come oggi l’accertamento di questa verità sembra connesso all’accertamento delle ragioni di chi doveva attivarsi – spiega – Credo che chi sa debba dare un contributo di onestà che non è dovuto solo ai familiari, ma a tutti coloro che hanno avuto fiducia nella giustizia. E lo devono principalmente a loro stessi “La Radio Ne Parla – Radio Uno”

FIAMMETTA BORSELLINO:«Il nostro obiettivo è cercare la verità su quanto accaduto, fare luce sull’operato dei magistrati all’epoca in servizio alla Procura di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, Carmelo Petralia, Anna Maria Palma, Nino Di Matteo, quest’ultimo arrivato nel novembre 1994.  Bisogna fare luce anche sull’operato dei poliziotti del gruppo d’indagine sulle stragi “Falcone e Borsellino”, tutti hanno fatto una brillante carriera». «Questo ridurre tutto a una mera polemica fra me e il dottore Di Matteo è una semplificazione di una parte della stampa che sta facendo molto comodo a chi, oltre a lui che era ovviamente uno degli attori, ha grossissime responsabilità e in questo momento sta ben nascosto nell’ombra. E invece il fine del nostro grido di dolore è quello di addivenire a una verità che non sia qualsiasi, vogliamo trovare le ragioni della disonestà di chi questa verità doveva trovarla».